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STEEME COMUNICATION snc

Un “vaccino sociale” per contrastare le fake news

di Chiara Laura Riccardo e Emanuele Davide Ruffino|


Già nella seconda decade del 1500 (la data è incerta), lo storico, politico e diplomatico della Repubblica fiorentina Niccolò Machiavelli nel suo famoso trattato “De Principatibus”, noto come “Il Principe”, ammoniva che “sono tanto semplici li uomini, e tanto obbediscono alle necessità presenti, che colui che inganna troverà sempre chi si fa ingannare…”.

Il 7 agosto 2021 l’Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato sul suo portale, citando anche l’ECDC (European Centre for Disease Prevention and Control) un vademecum che replica con precisione alle fake news sui vaccini anti Covid. Questa è solo una delle tante azioni messe in atto dalle istituzioni per contrastare, con ragionevolezza, il fenomeno del “sentito dire”. Infatti, la pandemia da COVID-19 ha acceso i riflettori sul fenomeno, non inedito, del “negazionismo scientifico”, dove le persone, seppur poste di fronte a spiegazioni supportate dall’evidenza dei dati, rifiutano ogni argomento, alimentando talvolta pensieri cospirativi e pseudo-credenze lontane dalla realtà e senza alcun fondamento tecnico scientifico. L’opinabilità del vero e la “certezza” del falso

La psicologia e le scienze sociali sono, ovviamente, entrate a gamba tesa nell’analizzare tale fenomeno, soprattutto ora, nel suo manifestarsi in correlazione ad un’emergenza sanitaria mondiale dove, nonostante l’evidenza, qualcuno cerca di far apparire “sensate” delle argomentazioni che negano la realtà stessa a favore di proprie e originali interpretazioni cui seguono poi comportamenti opinabili e pericolosi per la salute pubblica. Sappiamo che i comportamenti dipendono da numerosi fattori legati da un lato al contesto e dall’altro all’esperienza e agli aspetti emotivi che rendono l’esito di processi psicologici ed elaborativi complessi e articolati, anche quando questi sono lontani da un’apparente ragionevolezza condivisa. In questa cornice, consapevoli che, nei più svariati campi, oggi si contano milioni di negazionisti (un fronte variegato, sia socialmente che politicamente), osservando il fenomeno del negazionismo legato alla Covid-19 e aspetti correlati, viene da chiedersi come possano esserci così tante persone e soprattutto mosse da quali principi, che rigettano l’idea dell’esistenza del virus, della sua trasmissibilità o addirittura della sua mortalità. L’importanza delle fonti di informazione

I servizi giornalistici ci mostrano da tempo piazze gremite di manifestanti, una sorta di galassia complottista che ha visto primattori prima i no-covid, poi i no-vax e ora i no-green pass. Si tratta di una platea di persone che nelle interviste riporta pensieri e opinioni chiaramente frutto di interpretazione di contenuti letti sui social network e introiettati come veri, ma che veri non sono. Questo deve farci riflettere su come la comunicazione sui social-media non è mai fine a se stessa ma, su certe tematiche, al pari di quelle sanitarie, è spesso un vero e proprio intervento di educazione sanitaria, di prevenzione e informazione che va condotto con competenza e con obiettivi chiari e coordinati tra le istituzioni e professionisti esperti. Ora però sorge spontanea una domanda: cosa accomuna e cosa spinge i singoli individui e gruppi di persone a costruirsi una seconda verità, ai confini del diniego psicologico, che però non ha attinenza con la realtà? Su questo è intervenuto lo “Scientific American” che a novembre dello scorso anno ha pubblicato “The denialist playbook”, il manuale del negazionista, all’interno del quale il biologo Sean B. Carroll, partendo da alcuni pensieri antievoluzionisti e antivaccinisti, ha declinato quelli che sembrano essere i punti chiave dei movimenti negazionisti. Tra questi, tralasciando i più scontati (rifiutare prove scientifiche, mettere in discussione l’integrità degli scienziati, ingigantire i disaccordi tra questi ultimi, alimentare la paura per esagerare la percezione del rischio di effetti collaterali) troviamo l’appellarsi alla libertà personale come valore da difendere e il rifiutare di accettare una teoria scientifica perché contraddice convinzioni personali. Luoghi comuni e rischio di paralisi sociale

Nascono così slogan di facile presa su chi non vuole uniformarsi alla scienza ufficiale, atteggiamento dettato più da una insoddisfazione interna che non da un ragionamento su come far crescere la società. All’ombra degli striscioni sulla “dittatura sanitaria” prendono corpo contestazioni fini a se stesse, per il piacere di ribellarsi (fase che da adolescenti abbiamo vissuto tutti): il dubitare su tutto e tutti è sicuramente una conquista dell’intelligenza umana, ma quando questa diventa semplice esibizione di non adeguamento ad un mondo non ancora perfetto (e non lo sarà mai) si generano comportamenti contradditori che portano alla paralisi sociale. I messaggi che contengono inviti a non rispettare le misure necessarie per combattere il contagio non rappresentano un messaggio di libertà, ma solo un comportamento autolesionistico che, trattandosi di infezioni, non si ferma al singolo individuo, ma coinvolge tutta la società. Considerato che, prima o poi lo scontro con la realtà negazionista sarà inevitabile, l’Aspen Global Congress on Scientific Thinking, nel marzo scorso, ha riunito 100 esponenti di scienza di oltre 50 Paesi, orientando i lavori del congresso alla definizione di linee programmatiche per meglio gestire e implementare la comunicazione in ambito scientifico su temi di carattere universale tra cui il negazionismo, il “populismo” scientifico e la questione vaccini. Certamente sarà necessario allontanarsi da un modello di informazione scientifica di tipo “sensazionalistico” e poco chiaro che, abbiamo toccato con mano, può provocare danni, a volte, irreparabili in termini di influenza del pensiero della comunità, per puntare invece ad una modalità informativa efficace, stimolatrice di fiducia e credibile, continuando a sostenere la comunicazione di dati scientifici veicolati da soggetti autorevoli e competenti cosicché i dubbi delle persone vengano chiariti e non alimentati. Questo potrebbe favorire il processo tanto auspicato che vede il lavoro della scienza anche come strumento chiarificatore in un giusto dialogo con la politica e i suoi decisori, promuovendo un accordo sull’utilizzo degli standard per giudicare l’evidenza. Una scienza esatta, ma chiusa in un laboratorio, non ha alcun valore. Il buon senso comune unitamente al suo concretizzarsi in specifiche normative che devono indicare gli asset fondanti le modalità del vivere civilmente, possono costituire gli “ingredienti” per un vaccino sociale quanto mai auspicabile.

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