Un New Deal anche morale per la società
Aggiornamento: 10 apr 2023
di Gian Paolo Zanetta
Se è vero che, passata la drammatica esperienza dell’epidemia Covid 19, nulla sarà come prima, ciò a maggior ragione sarà vero per quanto riguarda il Servizio Sanitario Nazionale. L’organizzazione sanitaria dei paesi colpiti dal contagio è messa a dura prova: tutti, nessuno escluso, impreparati ad una pandemia di queste proporzioni, continuano a manifestare le loro debolezze intrinseche, evidenziando gli errori commessi nel corso degli anni passati, quando la centralità della tutela sanitaria è passata in secondo piano rispetto a logiche di mercato, politiche di contrazione dei bilanci pubblici e di riduzione delle risorse dedicate al Welfare. Sono mancate in sostanza scelte strategiche che, alla luce dei grandi mutamenti sociali, demografici, epidemiologici, originati da vari fattori, tra i quali la crescita della popolazione anziana, privilegiassero sia politiche sanitarie fatte di investimenti in strutture, professionisti, tecnologie, sia scelte strategiche di maggior integrazione socio-assistenziale, di reale tutela delle fasce deboli, con particolare riferimento al “fenomeno”cronicità: la capacità di disegnare un welfare attivo e fondamento dello sviluppo era sempre stato il valore aggiunto delle democrazie occidentali, salvo sacrificarlo sull’altare dell’economia di mercato, dimenticando che lo sviluppo economico deve avanzare di pari passo con la tenuta sociale. Non solo, ma anche l’Unione Europea è mancata: un’azione programmatoria comune nel campo sanitario, da anni auspicata, una spinta ad una progressiva uniformità dei sistemi, a politiche comuni di stimolo alla ricerca, di investimenti in innovazione e tecnologie sanitarie, avrebbero forse rappresentato un collante in più per analoghe politiche comuni nel campo economico e finanziario, che invece oggi stentano a decollare. Per riprendere il concetto iniziale, è indubbio che il nostro sistema sanitario, oggi stressato dall’emergenza, sta tenendo grazie all’abnegazione degli operatori e professionisti sanitari e grazie ad una organizzazione che, seppur in difficoltà, rimane una garanzia di coesione sociale, in grado di assicurare equità e diffusione territoriale dell’intervento sanitario. Occorre pur tuttavia ammettere che l’odierna crisi, non prevedibile nella sua ampiezza, ha messo a nudo difficoltà, disfunzioni, rallentamenti burocratici, che non hanno permesso sempre una risposta pronta ed ottimale. Oggi è presto e forse prematuro trarre conclusioni da questa vicenda, ma è innegabile che, alla fine del tunnel, il sistema si troverà inevitabilmente trasformato e dovrà essere ricostruito, anzi ripensato in parti elementi essenziali del suo essere. Azzardiamo alcune riflessioni, quasi titoli di sfide che certamente dovranno essere affrontate alla conclusione del contagio. Rapporti istituzionali. I frequenti contrasti tra livello centrale e livello locale hanno sottolineato la necessità che si ponga mano ad una ridefinizione dei rapporti tra Stato e Regioni in materia sanitaria, rapporti a nostro parere, resi particolarmente complessi dalla riforma costituzionale introdotta con legge 3/ 2001, che ha sostanzialmente equiparato la potestà legislativa regionale a quella statale ed ha ridimensionato, in maniera consistente, la prima in materia di tutela della salute. Occorre chiarire, travalicando facili demagogie, chiare competenze e ruoli definiti dei diversi livelli istituzionali. Lo Stato centrale, deve a mio parere, riacquistare un’azione ed una responsabilità certa nella definizione di politiche e strategie nazionali che non possono più essere circoscritte, in modo riduttivo, a quanto il novellato articolo 117 stabilisce: “Lo Stato ha legislazione esclusiva nella determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”. Vedasi la necessità di un piano nazionale aggiornato sulle emergenze, di un piano nazionale sull’innovazione e sulla ricerca, vedasi ancora la necessità di una programmazione nazionale in materia di formazione di professioni sanitarie. La regionalizzazione del sistema non è in contrasto con la presenza di uno Stato responsabile che, nel fissare la dotazione annuale del Fondo sanitario ed i meccanismi di riparto, attraverso la Conferenza Stato-Regioni, deve autorevolmente definire obiettivi generali di salute pubblica. Finanziamento. Sotto un controllo attento del Ministero della salute e delle Regioni sulle modalità di utilizzo delle risorse, si dovrà superare la logica del progressivo definanziamento del sistema, perseguita in questi anni (vedasi rapporto GIMBE), principalmente per due motivi: il primo legato alla necessità di nuovi investimenti e l’altro legato alla necessità di garantire una effettiva uniformità ed omogeneità dell’intervento sanitario su tutto il territorio nazionale. Questa crisi ha evidenziato inaccettabili divari di tutela del diritto alla salute. Occorrerà comunque un riequilibrio della spesa pubblica a favore di sanità e welfare, migliorandone efficienza ed efficacia, capacità di innovazione ed investimenti in capitale umano, tecnologia, informatica. Rete sanitaria territoriale. Da troppo tempo il territorio è il figlio di un dio minore di un sistema sanitario comunque all’avanguardia. Proprio l’emergenza Covid-19 sta dimostrando come le strutture territoriali siano fondamentali, quanto gli ospedali, nel combattere il virus. Mai come oggi, infatti, il termine continuità assistenziale deve diventare un obiettivo, al presente per l’emergenza, nel futuro prossino per garantire un percorso certo ai pazienti, soprattutto alla popolazione fragile, alla cronicità. Ed anche l’Assistenza domiciliare deve trovare una maggiore dignità e sostenibilità di risposta, pensando anche che, dopo la drammatica emergenza, il sostegno alle famiglie, fortemente depauperate dalla crisi economica, ma anche dal disagio e dai traumi psicologici, dovranno trovare una risposta nelle politiche pubbliche. Infine, perché non riprendere e sviluppare, con una programmazione seria, forme di cohousing, che se oggi avessero avuto maggior diffusione avrebbero aiutato e supportato le condizioni difficili in cui operano le Residenze sanitarie assistenziali? Ambiente. Occorre completare il percorso avviato con il Codice dell’ambiente, approvato con il Dlgs 3 aprile 2006 n.152, e lo Stato, che vede riconosciuto dalla Costituzione nella tutela dell’ambiente, deve considerare questa come componente essenziale del diritto alla tutela della salute, attraverso politiche di prevenzione che costruiscano condizioni di vita e di lavoro adeguate e rispettose del benessere di una comunità. In questo senso, nuovamente l’Europa con il “Green new deal” può diventare il centro di eccellenza nelle competenze scientifiche e tecnologiche per l’ambiente. Tutela dell’ambiente, diritto alla tutela della salute e centralità della persona rappresentano un filo rosso che uno Stato moderno non può spezzare. Volontariato. L’attuale emergenza ha evidenziato il ruolo del terzo settore come elemento d’integrazione fondamentale del servizio pubblico: esso ha consentito nel momento massimo dell’isolamento domiciliare di portare un sostegno, una voce, un supporto, anche psicologico e morale, a famiglie che spesso cronicità, solitudine e bisogno pongono ai margini della società e che pagano più di altre la crisi economica. Lo Stato deve fare in modo, anche semplificando e ammodernando il percorso legislativo e regolamentare sul Terzo Settore, che il ruolo rappresentato dal volontariato possa essere riconosciuto, inserito e radicato in settori fondamentali della vita sociale, nell’assistenza domiciliare, nel sostegno alle fragilità, tra cui la cronicità, la disabilità, il disagio sociale. Oggi da più parti si sostiene, credo giustamente, che le parole d’ordine della ripresa post Covid-19 saranno: salute, impresa, sostenibilità sociale, occupazione. Si tratta di quattro elementi che raffigurano in maniera simbolica gli obiettivi di una società che vuole uscire da una fase drammatica e ricostruire progressivamente un futuro più consapevole, che veda nella persona umana il convergere del proprio impegno materiale e morale. Facciamo in modo che questi obiettivi, rappresentativi di una forte volontà di coesione sociale non siano affrontati in modo disorganico, in ordine sparso, ma diventino i punti di un programma coerente ed equilibrato e rappresentino la svolta per una società, non certo facile da percorrere, ma inevitabile, che miri ad essere più equilibrata, inclusiva e soprattutto che si ponga l’obiettivo della solidarietà.
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