Un libro per voi: gli “Scritti filosofici e politici” di Gianni Vattimo
di Stefano Marengo|
“L’essere è camolato”. Ricordo che a lezione Gianni Vattimo era solito descrivere così, con una buona dose di ironia, la sua posizione filosofica. Il piemontesismo, in effetti, rendeva perfettamente l’idea: viviamo in un tempo in cui l’essere, come un vecchio mobile, è pieno di tarli. Detto altrimenti, le grandi costruzioni metafisiche della storia europea hanno perso la loro cogenza, si presentano logore e usurate, prive dell’autorità che avevano un tempo. Il che non è affatto un male. Infatti, una volta superato il disorientamento che tutto ciò sulle prime può comportare, ciò che diventa possibile è l’articolazione di nuovi progetti di emancipazione. Questo, in estrema sintesi, è il nucleo di quel “pensiero debole” che Vattimo è andato sviluppando in un lungo percorso intellettuale.
Un itinerario che oggi è possibile ripercorrere nelle sue tappe fondamentali grazie all’iniziativa de La Nave di Teseo, che nelle scorse settimane ha pubblicato un ponderoso volume di oltre 2600 pagine che raccoglie i principali “Scritti filosofici e politici” del filosofo torinese. Nel libro, curato da Antonio Gnoli e Gaetano Chiurazzi, si trovano opere degli anni Sessanta e Settanta di ormai difficile reperibilità, come “Essere, storia e linguaggio in Heidegger”, “Poesia e ontologia” e “Il soggetto e la maschera”; i più importanti saggi degli anni Ottanta, come “Le avventure della differenza”, “Al di là del soggetto”, “La fine della modernità” e “La società trasparente”; si arriva, infine, agli scritti più recenti, come “Oltre l’interpretazione”, “Dopo la cristianità”, “Nichilismo ed emancipazione” e “Della realtà”.
Il volume è forse la testimonianza più chiara di come il pensiero di Vattimo si sia nutrito e strutturato nel confronto costante con le filosofie di Nietzsche e Heidegger. L’idea stessa di un “essere camolato” ha le sue radici nella nicciana “morte di Dio” riletta attraverso la Seinsfrage heideggeriana. Il nichilismo, in questo senso, è l’esito contemporaneo dell’erosione delle strutture forti della metafisica, a cominciare dalla nozione di verità come corrispondenza/rispecchiamento della realtà che, storicamente, ha fondato tutti i “valori” europei: la comprensione teologica del Dio cristiano, l’oggettività dei paradigmi scientifici, le ideologie politiche ed economiche, la rappresentazione stessa di un soggetto sovrano nella sua ragione… Nichilismo è questo fondamento che si sgretola e a cui, pertanto, non possiamo più fare ricorso.
Nichilismo, pluralismo, emancipazione
“Non esistono fatti, solo interpretazioni”, conclude Vattimo ancora sulla scorta di Nietzsche – e questa stessa affermazione, aggiunge, è a sua volta un’interpretazione. Per il filosofo torinese, l’opzione per il nichilismo assume allora un significato non solo teoretico, ma etico. Con il venir meno di ogni ultima istanza fondatrice di senso, infatti, si crea lo spazio per la pratica di un pluralismo effettivo, un pluralismo di interpretazioni che riconosce le differenze in quanto tali rinunciando al progetto, di per sé violento, di ricondurle e ridurle all’unicità di un fundamentum inconcussum.
Attenzione però, avverte Vattimo: in questo scenario in cui diventano possibili nuove forme di emancipazione siamo ben lungi dall’esserci lasciati definitivamente alle spalle l’epoca della metafisica. Essa è un’eredità con cui dobbiamo quotidianamente fare i conti. Le sue strutture e i suoi “valori”, infatti, hanno plasmato il mondo che ci circonda – sistemi di potere, teorie scientifiche, credenze… Più ancora, hanno dato forma alla nostra soggettività e al nostro stesso linguaggio. Ne viene che l’orizzonte della metafisica è costitutivamente non oltrepassabile, come una malattia da cui “ci si rimette” ma che lascia strascichi.
È proprio a partire da questi strascichi o postumi che, per Vattimo, deve esercitarsi una nuova prassi di liberazione. “Pensiero debole”, così, non è una presa d’atto di come le cose “stanno”, ma un programma d’azione, un appello a togliere la violenza del fondamento che costantemente si ripresenta. Come dire che, se non potremo mai affrancarci dalle pretese della metafisica, la cosa migliore che possiamo fare è cercare di indebolirle, in una lotta quotidiana che è l’emancipazione stessa. L’essere è “camolato”. Non disperiamone. Anzi, alleviamo nuovi tarli.
Comments