Un libro per voi: “Democrazia Cristiana, il racconto di un partito”
di Michele Ruggiero|
“La caduta del Muro di Berlino archiviò infine nel 1989 il lungo dopoguerra e certificò le nostre ragioni. Ma la gran parte dei calcinacci caddero paradossalmente dalla nostra parte. I nostri meriti finirono per diventare meno attuali. E alcuni dei nostri demeriti, a quel punto, meno sopportabili.” Il passo lo si trova a pagina 147 del libro con cui Marco Follini racconta il suo partito, la Democrazia Cristiana, di cui è stato un autorevole dirigente fin dalla seconda metà degli anni Settanta. Anzi, più che un racconto, il suo è uno sguardo lungo e carezzevole che si posa sui vizi e sulle virtù del partito che ha governato per quasi mezzo secolo l’Italia dal 1945. Ma in questo sguardo, che non rifugge dalla nostalgia, intesa come sentimento di umana ricchezza nella condivisione del passato, e dal rimpianto per un “prima” che non è peggiore del “dopo”, se non altro per il rispetto che si mostrava alla politica, Follini rivela nel profondo l’angustia di chi, a dispetto di quanto aveva scritto nel 1983 il direttore del Manifesto Luigi Pintor, “voleva morire democristiano”. Morire con un’identità a tinte tenui, com’era quella democristiana, che avrebbe comunque rivendicato oggi con orgoglio l’intero patrimonio del Potere che aveva trasformato il nostro Paese dal secondo dopoguerra.
Presentazione del libro mercoledì 12 maggio
Quello di Follini è l’orgoglio del militante e del dirigente che, indelebile, permea l’intero libro, che transita di pagina in pagina, mentre in parallelo corre la domanda negata dal giorno in cui la Dc si è dissolta: perché l’orgoglio dei meriti è stato sopraffatto dalle paure per i demeriti, che furono comunque tanti e scandalosi, inscritti però nella parabola di una grande storia collettiva, figlia di un’epoca dominata da forti passioni ideologiche e dalla divisione del mondo.
Non deve ingannare lo sguardo carezzevole di Follini, tutt’altro che indulgente nella sua ricerca del perché, a cominciare dall’esordio del primo capitolo “Il partito senza racconto” che marchia senza appello l’identità democristiana nell’immaginario collettivo levigata dal senso della misura con cui argomentare (o giustificare?) “il potere e il consenso”.
Primo capitolo che diventa una sorta di tutore di quelli successivi che nell’asciuttezza dei titoli, con una sola apposizione al nome partito, lo delinea nei suoi tratti caratteristici e introspettivi. Si ha così il partito “cristiano”, “bacchettone”, “impersonale”, per terminare con due apposizioni che ne prefigurano l’uscita di scena: “incompiuto” e “misterioso”. Termini che mal si conciliano però con un potere ramificato ed esercitato, soprattutto negli anni Cinquanta, con razionale lucidità e impegno a favore dello Stato. Quello stesso Stato che la Dc, nell’assenza di una vera alternanza, finirà per ingoiare con boli sempre più grossi fino ad esserne soffocata.
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