Togliatti secondo Tajani: non è il migliore dei destini riservati al Migliore
di Michele Sabatino
Non è la prima volta che ritroviamo Palmiro Togliatti, il Migliore nell’iconografia del Partito comunista italiano, sotto il fuoco incrociato delle critiche. Di recente, è accaduto in una delle puntate di Piazzapulita condotta da Corrado Formigli e ha avuto come protagonista l'erede maximo di Forza Italia, l'onorevole Antonio Tajani, ministro degli Esteri e vicepresidente del Consiglio. Ora, sappiamo bene che il tiro al bersaglio postumo sia uno degli sport preferiti, purtroppo, del polemichese in Italia. E, in assenza di idee e argomentazioni di rilievo, comprendiamo altrettanto bene quanto questo sport si presti ad essere arruolato durante le campagne elettorali con lo stesso vigore con cui negli angiporti e nelle bettole si "reclutavano" quei tagliagole ubriachi da caricare poi a forza sulle navi da guerra di sua Maestà britannica tra il Settecento e l'Ottocento.
Nel caso di Palmiro Togliatti, la strettissima associazione alla storia del Pci, il partito comunista italiano (nella foto i funerali nel 24 agosto del 1964), lo mette poi nella non invidiabile posizione di essere estremamente appetibile (e per alcuni versi vulnerabile) alle critiche usa e getta, così come lo fu all’inizio del 1992, quando fu oggetto di un attacco concentrico per una lettera da lui scritta e rinvenuta in un archivio a distanza di quasi mezzo secolo, sul destino degli alpini dell’Armir, presi prigionieri dai sovietici, nel rovescio della guerra di aggressione del 1941, che aveva subornato definitivamente il fascismo mussoliniano ai crimini di Hitler. Quella lettera risultò poi manipolata, ma non prima che lo stesso Achille Occhetto, all’epoca segretario del Pds, in un clima pre-elettorale di forti emozioni, cadesse nella tentazione di definirla “agghiacciante”, salvo poi contrattaccare non appena la verità cominciò a emergere, grazie anche alle verifiche dell’allora corrispondente da Mosca de La Stampa, Giulietto Chiesa.
Si parva licet, il Migliore ha invece incrociato la strada di Tajani sulla domanda-tormentone rivolta da Formigli al ministro degli Esteri se avesse problemi a dichiararsi antifascista, posizione che vede ancora riluttante la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, detta Giorgia per amici, simpatizzanti, madri, figlie, figli, elettori e varia umanità. Ma la risposta dell’onorevole Tajani, che avrebbe sicuramente meritato più delle mie attenzioni quelle di Fortebraccio, il mitico corsivista de l'Unità, al secolo Mario Melloni, è stata priva di incertezze, netta, perentoria, espressa con quella autorevolezza che si pretende dalla serietà del momento: lui non ha problemi a dichiararsi antifascista. Peccato che, subito dopo questo atto di autentico coraggio, gli sia scivolata la frizione che lo ha portato ad aggiungere che insieme con il fascismo è altrettanto da condannare il comunismo. E fin qui, per la verità, nulla di straordinario che meriti di essere commentato con severità per aver allungato la lista dei propagandisti d’altri tempi: Tajani non ha fatto altro che mettersi in fila con il resto di due... Né si può definire la sua affermazione originale, se non fosse inciampata in un autentico falso scoop, attribuendo a Togliatti nientedimeno che l'arresto del suo migliore amico fin dai tempi dell'Ordine Nuovo e della fondazione de l'Unità, cioè quell'Antonio Gramsci, segretario del Pcd'I, fermato dalla polizia fascista nel novembre del 1926, processato e condannato a morire in una cella.
Dunque, un deciso salto di qualità rispetto alle crepuscolari ricostruzioni del passato che si erano "limitate" a indicare in Palmiro Togliatti il responsabile dall’esilio moscovita, da una stanza dello storico hotel Lux, della mancata liberazione dal carcere di Gramsci, accuse che gli storici, in particolare Giuseppe Vacca, in un saggio degli anni Novanta ristampato proprio dall'Unità, hanno provveduto a sfarinare.
A questo punto si potrebbero catalogare le frasi dell’onorevole Tajani come generici schizzi di fango, nel solco della peggiore tradizione anticomunista, vivificate dallo stridore della competizione elettorale, se non si corresse il rischio di accreditargli una credibilità storica di cui la storia, anche quella con la esse minuscola, non reclama il benché minimo sostegno.
Infatti, seppur nelle strettoie dei revisionismi paludati e corrotti che affiorano come bombe a orologeria a fasi alterne, la Storia tendenzialmente si candida sempre a migliore giudice delle vicende umane. E su Togliatti e sulla sua personalissima vicenda e sui dolori famigliari, in cui luci ed ombre risentono della complessità politica e non del Secolo breve, il Novecento, dal rapporto con Stalin e l'Unione Sovietica, alla svolta di Salerno, ai lavori della Costituente, all’attentato subito nel 1948, che rischiò di portare il nostro Paese sull’orlo della guerra civile, vi sono pagine che resteranno comunque indelebili nel tempo, perché risiedono nella stessa storia dell’Italia repubblicana che non si possono ignorare.
Su Tajani, che in un ordine alfabetico anticipa Togliatti, posso soltanto pronosticare ai posteri, giocando sull’ironia che ha reso celebre Fortebraccio, questa immagine: alla voce Tajani, la pagina apparve vuota, luminosamente bianca, in tutta la sua grandezza…
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