Terrore sul treno: gesto singolo, ma da curare è la collettività
- Stefano Maria Cavalitto
- 3 nov
- Tempo di lettura: 3 min
Considerazioni sull'episodio di sabato sera in Inghilterra
di Stefano Maria Cavalitto

Non può non colpire l’ennesimo atto violento compiuto questa volta in Inghilterra sul treno passeggeri Doncaster-Londra in viaggio nel Cambridgeshire. Un cittadino britannico, fermato per tentato omicidio plurimo, ha ferito gravemente con un coltello una decina di persone, lasciandone due in condizioni critiche. Nell'allarme sono stati coinvolti decine di agenti, squadre speciali ed un paio di elicotteri che hanno sorvolato la zona nei pressi della stazione di Huntingdon, dove si è fermato il convoglio. Tuttavia tale mobilitazione ovviamente non ha impedito le tragiche conseguenze dell’atto, ma con tutta probabilità ha attenuato gli effetti del gesto violento.
Poco chiare sono sembrate fin da subito però le motivazioni del gesto, il movente per usare il lessico giudiziario. Già il movente, ciò che “muove”: perché? A quale scopo? A caldo, le motivazioni terroristiche sembravano le più plausibili (a tal proposito cosa vuole dire “terrorismo”? Un termine generico che forse blandisce le coscienze ma poco ci dice sul senso del gesto a cui viene attribuito). Col passare delle ore però, secondo le cronache che ne riferiscono, tale motivazione viene meno e a maggior ragione aumenta in molti la domanda sul perché del tutto.
Francamente risulta ancora precoce dare una spiegazione della volontà omicida; forse, in tempi meno stretti, sapremo di più su ciò che è scattato nella mente dell'attentatore. Peraltro, nella mente invece di chi legge tali cronache credo nasca la riflessione sul fatto che gesti come quello accaduto sul treno inglese ne richiami altri analoghi accaduti nei mesi scorsi in altri paesi “occidentali”, civilizzati, con un senso civico e del rispetto dell’altro ben definito dalle leggi che lo regolano e dall’ethos che lo animano. Ethos, nel suo significato originario vuol dire “il posto in cui vivere” ed è la radice del termine ethikos da cui il termine etica.
Hegel con il termine ethos ci fornisce un’accezione più vicina al nostro senso comune e contemporaneo parlando di qualcosa che suona come valori, norme e codici interiorizzati per il vivere comune, l’integrazione sociale. Già integrazione sociale. Può bastare il movente dell’integrazione sociale come causa di un gesto simile? Forse sì, tuttavia per deformazione professionale sono tentato di non accontentarmi di tale livello e provo a immaginare la dimensione psichica oscura, inconscia usando una terminologia psicologica, che “anima” (in greco psiche vuole dire anche anima, appunto) violenze di questa portata.
Faccio un ulteriore passaggio e provo ad immaginare che la dimensione psichica individuale, di ogni singolo individuo, di ognuno di noi, viva nella dimensione collettiva e ne sia permeata, influenzata. In altri termini psiche individuale e psiche collettiva - a livello cosciente e a livello inconscio - sono in continuo scambio e permeabilità, con conseguenze di varia natura, non solo nefaste naturalmente.
In questo caso purtroppo siamo a constatare un ulteriore gesto violento “quasi” immotivato, quantomeno nella sua efferatezza. Ebbene, se diamo per buona l’ipotesi poco fa proposta, l’angoscia che può attivare tale aggressività non appartiene solo al singolo autore, ma è un disagio collettivo e che appartiene al collettivo (al cosiddetto mondo occidentale?) che esplode attraverso gesti immotivati o perlomeno esagerati, lasciandoci sgomenti. Riprendo il discorso, poiché ci tengo a non essere frainteso: non intendo dire che ad ognuno di noi appartiene tale violenza, ma che a livello collettivo probabilmente partecipiamo all’inquietudine che in alcuni la alimenta.
La “cura” (e non o non solo repressione) oltre che individuale, non può che essere anche collettiva.













































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