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Anna Paschero

Tasse e conti pubblici: Meloni e il vizietto di piegare la realtà alla propaganda

Aggiornamento: 30 nov

di Anna Paschero


Nel corso della conferenza stampa che doveva essere di fine anno, e che si è svolta solo ieri l'altro, la Presidente Giorgia Meloni ha dichiarato “di aver diminuito le tasse tagliando la spesa pubblica”.

Tale affermazione è ingannevole ma, nello stesso tempo, facilmente contestabile, se si esamina la legge di bilancio (2024–2026) presentata, blindatissima, dal governo Meloni al Parlamento Nazionale e approvata definitivamente solo cinque giorni fa, i cui dati sono pubblicati sul sito del Ministero dell’Economia e Finanza.  

Nell’ordine: la diminuzione delle tasse vantata dalla premier non è altro che la conferma, per il 2024 della decontribuzione di 7 e 6 punti per chi, rispettivamente, ha una retribuzione lorda rispettivamente di 25.000 e tra 25.000 e 35.000 lordi, alle quali si è affiancato l’accorpamento delle prime due aliquote IRPEF. Entrambi i provvedimenti valgono solo per il 2024 e quindi non sono a regime.

A seguire: la spesa pubblica non è stata tagliata dalla legge di bilancio 2024; anzi la spesa pubblica è aumentata del 2,6% rispetto a quella prevista nell’ anno 2023, in termini nominali di 31 miliardi (1.215 miliardi verso 1.184 miliardi) per le richieste inammissibili delle forze politiche che sostengono l’attuale maggioranza di governo. Nella stessa legge di bilancio 2023 si prevedeva una riduzione delle entrate e spese del bilancio  dello Stato a 1.121 mld  nel 2024 e a 1.124 mld  nel 2025,  che evidentemente è risultata non attendibile.

La principale fonte di copertura della cosiddetta “diminuzione delle tasse”, che si ricorda è solo temporanea, è assicurata invece dal maggior deficit (o disavanzo di bilancio) che per l’anno 2024 deve essere coperto con il ricorso a nuovo debito  per 528 miliardi di Euro, che rappresenta il 43,5% del finanziamento del totale delle spese dello Stato (1.215 miliardi) comprensive del rimborso annuale del debito in scadenza e dei relativi interessi (329 + 97 miliardi).

Per meglio capire si rimanda allo schema che segue (far scorrere la barra in basso per vedere la schermata interamente):



Entrate in miliardi Bilancio 2024



Spese in miliardi Bilancio 2024





Tributi

      609

       50%

Ricorrenti

   756

       62%



Altre entrate

        78

        6,5%

Investimenti

   130

       11%



Prestiti

      528

      43,5%

Rimborso prestiti

   329

       27%



Totale Bilancio

   1.215

    100%

Totale Bilancio

1.215

     100%



Il gettito dei tributi (che  per i due restanti anni del triennio oggetto della manovra - il 2025 e il 2026 - aumenta rispettivamente a 620 e 634 miliardi e quindi in totale di 36 miliardi) e quello delle restanti entrate non sono  sufficienti da soli a finanziare le spese ri-correnti dello Stato, ovvero quelle che servono a far funzionare tutti i servizi pubblici (dall’istruzione alla sanità, dall’ambiente alla mobilità e così via) ma anche a pagare gli interessi sul debito che ammontano a 97 miliardi di Euro annui.    Mancano 69 miliardi (tecnicamente si definisce mancato risparmio pubblico), che devono essere finanziati sempre  ricorrendo a maggior debito pubblico.   E tale saldo negativo sale a 199 miliardi (tecnicamente si definisce saldo netto da finanziare) se si aggiungono 130 miliardi di spese di investimento.

Ma ritorniamo alle “tasse” che secondo la premier Giorgia Meloni sarebbero state diminuite.   I dati pubblicati dal Ministero dell’Economia e Finanze ci dicono invece il contrario:


  

Anno

 Entrate da tributi  mld €

 

di cui IRPEF

 

2022

545

 

206

 

2023

588

+ 43 mld

223

+ 17 mld 

2024

609

+ 21 mld

239

+ 16 mld

2025

620

+ 11 mld

241

+ 2 mld

2026

634

+ 14 mld

246

+ 5 mld

 

 

Con la seconda Legge di Bilancio Meloni i contribuenti pagheranno nel triennio 46 miliardi di maggiori tasse di cui 23 miliardi di IRPEF. Se si aggiunge l’aumento fiscale attuato con la prima legge di bilancio 2023 dello stesso Governo, occorre aggiungere altri 43 miliardi di cui 17 di IRPEF.

Il quadro appena delineato appare inquietante non solo dal punto di vista politico (un Capo di governo non può mentire ai propri cittadini!) ma soprattutto per il destino finanziario del nostro Paese. Non essendo ancora stato concluso il percorso delle istituzioni Europee sulla riforma del Patto di stabilità che, si ricorda, sarà applicato dal 1 gennaio di quest’anno ai 27 Paesi dell’area Euro, la manovra finanziaria dell’Italia non fa ben sperare sulla capacità di tenere sotto controllo i propri conti pubblici né di fronteggiare le  misure restrittive che con tutta probabilità saranno imposte   ai Paesi con un elevato debito (l’Italia è seconda solo alla Grecia con un debito di 2.868 miliardi di Euro).

 

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