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Storia della sanità, capitolo XXXII: la parola cristiana a favore della salute

di Emanuele Davide Ruffino e Germana Zollesi |

L’avvento del cristianesimo presenta, anche per quanto concerne gli aspetti sanitari, profondi cambiamenti che segneranno l’evolversi della materia in tutti i suoi aspetti. È lo stesso insegnamento di Cristo che, più volte, viene associato a quello di un medico che, come tale, si pone l’obiettivo di guarire, paragonando la cura del corpo a quella dell’anima. La frase che riassume tale concetto è riportato da San Matteo: “Guarite i malati, resuscitate i morti, purificate i lebbrosi”. Una prima e superficiale interpretazione del precetto portò ad un blasfemo confronto tra l’ascetismo pagano e quello cristiano, fino al punto di confrontare in termini di efficienza l’opera di alcuni taumaturghi, come Apollonnio di Tiana noto guaritore dell’età imperiale, alla stessa figura di Gesù Cristo. Le ragioni di affermazione del Cristianesimo non risiede nella maggior efficienza delle soluzioni proposte, quanto nel ridisegnare la scacchiera sulla quale l’uomo doveva muoversi culturalmente nell’affrontare il problema salute: curare gli infermi divenne un dovere, in quanto l’uomo aveva la possibilità di farlo. Forse i primi testimoni di questo innovativo orientamento furono i santi Cosma e Damiano, due fratelli animati dalla carità che, dopo aver seguito gli studi a Pergamo, esercitarono l’arte della medicina senza alcuna retribuzione. I santi Cosma e Damiano rappresentarono l’icona di come fosse possibile conciliare la scienza medica e la misericordia verso il prossimo, anzi come la Sanità stessa sia il connubio tra la ricerca filantropica del bene dell’uomo e la capacità tecnica di realizzarlo. Per il loro comportamento e per l’invidia suscitata, subirono nel 287 il martirio, sotto Diocleziano. Si narra che dopo la loro morte, si verificarono numerosi miracoli, tanto da farli diventare l’immagine simbolo del nuovo corso, nonché i patroni dei medici. A giustificare l’affermazione del modello proposto da Cosma e Damiano è il fatto che, con l’avvento del Cristianesimo, la società riscopre i valori spirituali, dove il trattamento del malato è, allo stesso tempo, spirituale e materiale. La vocazione medica, in altri termini, è un dono della Provvidenza e va vissuta conformemente all’insegnamento di Gesù. I primi medici paleocristiani erano gli stessi sacerdoti, i cui principi terapeutici si associavano al carattere mistico, ispirato alla fede: non più quindi sostanze miracolose, ma la volontà di guarire il proprio simile. Sarebbe, però sbagliato definire questo passaggio come una rinuncia alla scienza, dove le possibilità di guarigione erano tutte ricondotte alla ricerca di un intervento soprannaturale per poter giungere alla guarigione. Con il Cristianesimo, prevalse immediatamente un senso pratico nell’affrontare la materia: Papa S. Cleto (Anacleto), morto martire nell’88 d.C., fu il primo a trasformare la sua dimora in ospizio, adattandolo al ricovero di ammalati e bisognosi. Ed il suo esempio fu imitato, tant’è che al tempo di Papa Leone III, erano operative nella sola Roma 24 diaconie, tra le quali S. Lucia in Orphea (o in Selce). Per la precisione le diaconie erano rivolte soprattutto ai bisognosi di assistenza materiale (dar da mangiare agli affamati), mentre per dare assistenza morale e sanitaria si andarono a realizzare gli xenodochi (il più antico, di cui si abbia notizia, è quello di Belisario, situato dove, attualmente ha sede S. Maria in Trivio, vicino a Fontana di Trevi). Nobili tentativi però dovettero fare i conti con le ristrettezze economiche dell’ultima fase dell’impero e con il caos che regnò a seguito delle invasioni barbariche. Per tutta l’epoca merovingia (481-751), la sola forma di ricovero era un locale poco differenziato in prossimità del vescovado, noto più come casa dei poveri, che come area di cura. È solo con l’affermazione dell’epoca carolingia (751-987), che canonici e monaci si specializzarono nell’arte dell’assistenza, ovviamente sempre sotto la guida del vescovo. Si può affermare che praticamente in ogni monastero vi fosse un frate cappellano con il compito di accogliere i poveri e i pellegrini alloggiandoli in un locale detto hospitalia: negli stessi locali trovarono ricovero infermi e malati di ogni genere ed i monaci, nel tentativo di lenire i dolori, danno il là alla medicina conventuale e, poi, occidentale. Il modello nato probabilmente in Italia, trova la sua prima codificazione con il frate benedettino Cassiodoro, che intorno al 544 redige le Institutiones divinarum et humanorum dove si raccomanda ai monaci: “Imparate… le proprietà dei semplici e dei rimedi composti..”, cioè la Sanità è un misto di buon senso e di competenze eccellenti, da integrarsi continuamente. Il modello funziona e comincia ad espandersi in tutta Europa: V secolo, San Patrizio in Irlanda, nel VI secolo, San Colombano a Luxeuil verso il 590 ed a Bobbio e poi ancora Saint-Martin de Tours, Sainte-Radegonde vicino Rodez, Conques. Ancor oggi si narra delle capacità dei monaci medici come Ugo, abate di Sainte-Denis. Carlo Magno ne concettualizzò l’organizzazione e la trasformò in una specie di rete per collegare le varie aree dell’impero. Nell’organizzazione del monastero, alcuni monaci, occupandosi dei viandanti, resero possibile mantenere una sia pur rudimentale, forma di collegamenti stabili. Quello che oggi sono i telefoni, le poste e i collegamenti internet, i giornali e la televisione, una volta erano i conventi. L’avvento della religione cristiana non si contrappose, però direttamente al culto di Esculapio che, anzi, proprio nei primi due secoli d.C. raggiunse la massima diffusione. Il cristianesimo delle origini cercava una propria identificazione sociale e ciò portò, da un lato, ad accettare precedenti modelli e, dall’altro, a dare origine a diverse interpretazioni che spesso furono tacciate di eresia. Diverse furono le sette sorte nei primi secoli e, per quanto riguarda la sanità, occorre ricordare quella degli gnostici che ricorsero all’uso di talismani per combattere le malattie. L’approccio cristiano verso il prossimo, ben poteva incorporare i principi elaborati dagli studiosi greci e romani che, infatti, furono presto recepiti. Il mix migliore nei primi secoli del cristianesimo era cioè offerto da un recupero degli insegnamenti classici associati all’affermazione e alla codificazione del buon senso che portava al diffondersi di semplici rimedi: moderazione della dieta e dell’uso del vino, morigeratezza nella sfera sessuale, evitare di leggere a lume di candela, non sforzarsi nei bisogni corporali. Si cercò anche d’individuare rapporti di causa effetto tra cibi e malattie; ad esempio, un’alimentazione a base di pesce di palude serviva a contrastare gli stati collerici causati da un eccesso di bile, mentre alcune collettività si rifiutavano di cibarsi degli alimenti provenienti da sottoterra, cioè dagli inferi! A stupire è che gli avi di queste persone si erano cibati di radici e molti facevano di mestiere i minatori. Ma, si sa, qualche volta la superstizione riesce a vincere sull’esperienza.

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