di Emanuele Davide Ruffino e Chiara Laura Riccardo|
Parlare di salute mentale all’interno di una cornice storico-culturale dove l’insorgenza di disturbi psichici è in crescente aumento (l’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che nel mondo quasi un miliardo di persone conviva con un disturbo mentale), ci obbliga a creare una rete di sinergie anche concettuali dove il paradigma di prevenzione, cura e riabilitazione si lega necessariamente anche ad aspetti di tipo sociologico.
I profondi mutamenti nello stile di vita che hanno caratterizzato e caratterizzano tutt’oggi la nostra società, si rispecchiano sempre di più nel concetto di “società liquida” (Zygmunt Bauman 2012), dove, per vari fattori, l’esistenza umana oggi si trova in una condizione di instabilità, incertezza e indefinitezza, che non ha pari nella storia. Una società pervasa dall’individualismo e dalla perdita dei suoi valori di riferimento e dove il senso di comunità appare sempre più debole. Insomma, una società dove i cambiamenti occorsi negli ultimi anni hanno profondamente mutato le relazioni umane e il modo in cui le persone affrontano la vita quotidiana e le sue difficoltà. Il senso d’incertezza ad ogni livello che la persona si trova a sperimentare nella vita ci sta portando a rileggere, in chiave attuale, alcune delle sindromi classiche, obbligando a sviluppare le potenzialità del sistema non solo nel gestire la fase acuta ma per organizzare la fase riabilitativa (in ottica evidence-based). È assodato come la cura e, soprattutto, la riabilitazione in salute mentale partano dalle condizioni ambientali collegate ai luoghi di vita del paziente (luoghi che con il diffondersi della pandemia si sono andati profondamente a modificare non tanto nelle sistemazione logistica, quanto nello loro modalità di utilizzo); gli spazi dove si vive e dove si convive finiscono per riflettere quelle che sono le aspettative in un’epoca di passioni esasperate da condizioni che non si ricordano dalla epidemia della “spagnola” (e che nessuno ha vissuto direttamente), alimentate dalla inversione di segno del futuro per cui il “futuro-promessa” è diventato “futuro-minaccia”. Si può, quindi, collegare la sofferenza psichica moderna alle “trasformazioni dissolutive del legame sociale”, dove la salute mentale e le sue implicazioni politiche economiche (a differenza della psichiatria tradizionale legata alla conoscenze cliniche), concerne non solo la salute, ma anche la socialità dell’uomo d’oggi alle prese con l’angoscia del proprio futuro. È evidenziato in letteratura come la salute mentale e molti disturbi ad essa correlati siano plasmati in larga misura dal contesto sociale, economico e ambientale in cui le persone vivono e le disuguaglianze sociali sono spesso associate ad un aumento del rischio per molti disturbi. Salute mentale: la necessità di una riabilitazione psichiatrica diffusa
Lo scenario venutosi a creare nell’ultimo anno, dettato dall’emergenza sanitaria da Covida-19, ha amplificato l’urgenza di occuparsi di salute mentale, sia in relazione alle criticità socio-economiche e alle situazioni a rischio ad essa correlate, sia in relazione alle scelte di investimento che potranno esser fatte dalle istituzioni a partire da quelle criticità, riuscendo così a definire una gerarchizzazione degli interventi, che la maggior disponibilità di risorse, renderà possibile. E forse, non a caso, l’edizione 2020 della Giornata Mondiale della Salute Mentale ha avuto come slogan “MentalHealth for All. Greater Investment – Greater Access. Everyone, everywhere” con l’obiettivo di evidenziare l’importanza di politiche sanitarie e azioni finalizzate a promuovere una migliore salute mentale a livello globale (ed in particolare nei paesi occidentali) in termini di investimenti e accesso ai servizi.
Una riabilitazione sociale di qualità dunque, può fornire delle risposte pragmatiche se sarà in grado d’insistere, da un lato sul concetto di psichiatria di comunità e dall’altro sul concetto personale di empowerment, dove il professionista sostiene la persona nello sviluppo e nel potenziamento di capacità di cambiamento della propria situazione di malessere (raggiungendo così l’obiettivo di uno “star bene”, un suo welfare, a misura dell’individuo che così può recuperare un suo equilibrio, una sua motivazione e una sua capacità di iniziativa).Il Coronavirus ha mostrato, a livello sociale, come le relazioni tra persone di fronte a situazioni di stress siano fondamentali per fronteggiare la paura che ne consegue. Basti pensare ai tanti italiani che durante il primo lockdown, tutti i giorni alle ore 18.00, si davano appuntamento sui balconi per i flashmob in una sorta di processo di incoraggiamento: una forma di rassicurazione collettiva, per reagire all’impotenza percepita con manifestazioni di vicinanza e condivisione emotiva.
Sappiamo bene che chiedere aiuto nelle situazioni di sofferenza e disagio psichico è difficile già in situazioni normali, e sappiamo che lo diventa ancora di più in situazioni straordinarie come l’attuale. Per tali ragioni, l’investimento in programmi di prevenzione, cura e riabilitazione in salute mentale a livello nazionale, è ora più importante che mai; la pandemia sta avendo un pesante impatto sulla salute mentale delle persone e l’Italia, anche in ragione di ciò, non può più restare il fanalino di coda in Europa rispetto agli investimenti pubblici per la salute mentale. Visto che il cambiamento dei bisogni di salute è incessante, non lasciamo che i servizi di salute mentale restino immutati e facciamo in modo che possano adeguare la loro capacità di offerta di interventi riabilitativi secondo il più moderno modello di approccio bio-psico-socio-culturale.
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