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Shukr e Haniyeh eliminati: la vendetta di Israele è l'azzardo di Netanyahu

Maurizio Jacopo Lami

di Maurizio Jacopo Lami


Il leader di Hamas, Ismail Haniyeh, è stato ucciso a Teheran sotto un bombardamento aereo delle forze di Israele questa notte poco dopo le 2. La notizia è clamorosa per molti motivi. Prima di tutto per l'evidente livello dell'ucciso, il più importante capo di Hamas in esilio. In secondo luogo perché la notizia della sua morte arriva subito dopo quella del numero due di Hezbollah, Fuad Shukr, ucciso anche lui dagli israeliani ieri sera a Beirut, anche lui nel mirino di missili ad alta precisione.  

Si tratta di un "uno-due" storico che cambia completamente il quadro della situazione.  Prima di tutto è l'evidente conferma che Israele è riuscita a rimettere ordine nelle file dei servizi segreti, ed è tornata ad essere quella nazione piccola, ma estremamente capace di eliminare i nemici. Sul piano politico Israele è invece ancora in totale alto mare con Benjamin Netanyahu, il primo ministro che non sembra avere idee su una soluzione politica per i palestinesi. Ha dimostrato di essere riuscito a riorganizzare il Mossad, che era estremamente demoralizzato dopo l'attacco del 7 ottobre, anche se va ricordato che il servizio segreto ha anticorpi pluridecennali per superare le crisi e gli preesiste da tempo. Certo, aveva promesso che i principali leader nemici avrebbero pagato e in effetti ha costruito le condizioni affinché i servizi e le forze armate potessero mantenere la promessa.

Fra i capi principali uccisi si annoverano Marwan Issa , eliminato al 10 marzo scorso con un drone a Gaza: era uno dei principali responsabili dell'organizzazione militare, vicecomandante della Brigate Ezzedin al-Qassam, il braccio armato di Hamas nella Striscia di Gaza. E a capo della sezione militare era Mohamed Deif, uno dei principali dirigenti, ucciso poche settimane fa.  A gennaio era toccato a Saleh al Arouri, capo della sezione politica e soprattutto uno dei principali sostenitori dell' alleanza con l'Iran. Al Arouri è stato ucciso a Beirut proprio mentre incontrava emissari di Hezbollah e di Teheran: un colpo particolarmente duro per l' organizzazione.

Haniyeh, 61 anni, originario di Gaza , era il capo dell' ufficio politico di Hamas dal 2017 e pur essendo naturalmente a favore di una politica intollerante, sia per quanto riguarda la democrazia interna che in politica estera, era comunque considerato un  "realista", cioè un uomo capace di accettare una visione di compromesso e mediazione con Israele. Gli israeliani si erano illusi su di lui. Dicevano: "ormai fa la bella vita in Qatar, in alberghi con piscina, si è corrotto, non pensa più alla guerra contro di noi". Invece Haniyeh, che pure a parlare, fosse anche di guerra santa e massacri, sembrava sempre piatto e spento (i suoi denigratori interni affermarvano con sarcasmo: "è così grigio che se entra in una stanza grigia scompare" ), già aveva accettato l' ambizioso e pericoloso piano di un dirigente di Hamas che a differenza di lui aveva sempre lo sguardo infuocato: il micidiale e implacabile Yaya Sinvair.

Quest' ultimo, reduce da una lunga prigionia di 22 anni, personalità intensa, capace di aggregare numerosi consensi sia per le sue capacità organizzative, sia per la sua fama di purezza ideologica (unita però a un'assoluta spietatezza comportamentale), aveva progettato insieme al fido Deif, che si intendeva di arte militare, il complicato, audace ed ambizioso progetto del 7 ottobre. In pratica lanciare non un piccolo assalto di commandos, ma preparare un grande assalto organizzato in modo minuzioso. Qualcosa di veramente grandioso, che nessuno immaginava che Hamas avrebbe avuto la capacità di fare. Lo scopo principale era prendere più ostaggi possibile. In quel constesto, Ismail Haniyeh diede il suo assenso, senza forse immaginare che cosa sarebbe successo.

Nessuno si aspettava che l' operazione avrebbe avuto risultati così eclatanti: più di 1200 israeliani assassinati, altri mille feriti e soprattutto più di 250 ostaggi presi prigionieri. Per Israele un'umiliazione storica. Per Hamas la possibilità di accreditarsi in tutto il mondo come un protagonista. Haniyeh avrebbe dovuto vivere il 7 ottobre come un clamoroso trionfo, ma l'uomo da quel giorno non ebbe più un sorriso ed invecchiò in modo impressionante (era nato a Gaza nel 1963 e molti dei protagonisti di questa vicenda sono originari della città costiera). Il leader di Hamas aveva compreso che il prezzo di quella iniziativa sarebbe stato davvero alto, anche a livello spaventosamente personale: come in una tragedia greca gli israeliani negli ultimi mesi si sono accaniti contro tutti i suoi parenti, sostenendo che facevano parte dell'organizzazione. La morte cominciò a presentarsi in modo spaventosamente frequente fra i parenti di Haniyeh: tre figli, la sorella, generi, cognati, uno stuolo infinito di nipoti... Per quanto incredibile, il conto finale è arrivato a sessanta morti.

Haniyeh a differenza di altri dirigenti parlava di possibile trattativa: ma lo sguardo era spento come se avesse perfettamente intuito che non ci sarebbe stata alcuna vera trattativa e che l'esito finale sarebbe stata la sua morte, consapevole che nella vendetta, i figli di Israele non conoscono la pietà.  

Il presentimento veniva confermato dalle parole del grande avversario israeliano, Benjamin Netanyahu, che lo includeva sempre fra i primi sette nemici col "sangue in testa" detto ebraico che è più o meno equivalente a "morto che cammina" (l'unico rimasto ancora in vita è Sinvair che combatte la sua battaglia nei tunnel di Gaza sapendo di non poterne uscire vivo ma anche di aver ottenuto un successo storico)

Nelle ultime settimane Ismail Haniyeh ha tentato di rilanciare la trattativa per ottenere lo scambio fra ostaggi israeliani e prigionieri palestinesi, e soprattutto stipulare una tregua nei combattimenti. Si è trovato però di fronte la durezza di Netanyahu, che ha così poche frasi nel suo vocabolario e tra queste soltanto quelle di non fidarsi assolutamente di nessuno, di non voler cedere e di volere solo la distruzione di Hamas. Molti israeliani accusano il premier di agire così solo per interesse personale, di voler prolungare la guerra per non perdere il potere e più in generale di voler riabilitare il suo nome con una vittoria che cancelli le sue pesanti colpe nell'amara sconfitta del 7 ottobre. Lui ha sempre replicato che agisce nell' interesse di Israele e che non ci si può fidare di uomini come Haniyeh. Un odio implacabile certo, ma molti osservatori pensavano che Israele non avrebbe colpito il capo di Hamas per mantenere il canale delle trattative. Si sbagliavano: dalla morte del fratello nel raid di Entebbe, Netanyahu passerebbe sul cadavere di chiunque in nome di Israele. Ora è più che evidente. E con questo modo di intendere la vita e soprattutto la morte, chiunque deve fare i conti. C'è da rabbrividire, anche per chi si dichiara fedele alleato di Tel Aviv. Figuriamoci per i nemici.

Così, ieri notte si è chiusa la pratica della vicenda terrena di Haniyeh. Era a Teheran per partecipare alla cerimonia di insediamento del nuovo premier iraniano e certo non era sfiorato assolutamente dall'idea che gli israeliani l'avrebbero colpito. Forse è andato a dormire con un tragico presentimento: gli era giunta, infatti, la notizia dell'uccisione a Beirut del leader di Hezbollah Fuad Shukr, su cui pendeva una taglia degli Usa. Un'uccisione clamorosa tanto più che Fuad era alleato di ferro dell'Iran. Haniyeh conosceva bene Fuad e sicuramente con lui aveva spesso organizzato attacchi contro Israele. Deve aver probabilmente pensato: se hanno osato con lui, ora in agenda ci sono io...

Ora il governo degli ayatollah si trova in una situazione tremenda: proprio mentre si installava il nuovo premier, in meno di dodici ore gli eterni nemici israeliani gli hanno inflitto una tremenda doppia batosta, sia sul piano militare che su quello del prestigio: le uccisioni di Sukr e Haniyeh.

Sarebbe bastato uno di questi due colpi per rischiare di scatenare una vera e propria guerra regionale dagli sviluppi imprevedibili.  Figuriamoci con tutti e due e in perfetta sincronia. Tanto più che il palestinese Haniyeh è stato ucciso proprio a Teheran, dove era ospite e quindi sotto la protezione degli ayatollah. Un'umiliazione storica che nella logica mediorientale porta ad altro sangue. Un rischio che Netanyahu ha deciso di accettare. Del resto, non ha mai nascosto di voler passare alla storia come colui che "fece molti sbagli, ma seppe anche uccidere molti nemici importanti". E' sulla buona strada, qualunque cosa gli riservi il futuro.

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