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Emanuele Davide Ruffino e Laura Bertinetti

Sanzioni tra slogan e realtà

Aggiornamento: 17 lug 2022

di Emanuele Davide Ruffino e Laura Bertinetti|


Concettualmente la sanzione consiste nel comminare un’ammenda a chi non rispetta una norma, ma se ci si sposta sul piano diplomatico, i termini del problema si complicano in quanto si tratta di prospettare una conseguenza perniciosa alla controparte, maggiore di quanto questa possa predisporre nel breve termine e sul come attuare questo concetto si spaccano i partiti e si rischia di incrinare gli accordi internazionali. Se la sanzione non produce gli effetti sperati, si rischia di generare quella che gli antichi romani definivano leges imperfectae (norme imperfette) e fan sorgere il dubbio che rispondano più ad esigenze propagandiste interne che non nuocere a chi merita di essere punito. Alcune sanzioni sembrano essere formulate più per accondiscendere a esigenze di politica interna che non a creare danno alla controparte, tant’è che qualche volta si sostiene che le perdite di chi le emette risultano maggiori di chi le subisce. Il problema dovrebbe essere strettamente economico, ma se si osservano gli spazi dedicati sui mass media, prevalgono gli aspetti giuridico-interpretativi. 1935: le “punizioni” all’Italia fascista… Noi italiani dovremmo essere preparati sull’argomento perché siamo stati oggetto di sanzione il 18 novembre 1935. Sanzioni comminate dalla Società delle Nazioni in risposta all’invasione dell’Etiopia, definite dalla propaganda del regime di Mussolini “assedio societario” condussero l’Italia all’autarchia dagli effetti anche ridicoli visti con gli occhi di oggi. Non a caso, nell’esaminare la storia di quel periodo si scopre che le sanzioni causarono modeste conseguenze tant’è che ironicamente si ricorda più per alcune ricette che presero piede nel periodo e per l’introduzione del karkadè (il tè degli Italiani), bevanda, tra l’altro, estremamente benefica. In molti oggi dubitano sulla reale efficacia delle sanzioni alla Russia. In effetti, si dubita delle sanzioni sull’energia, considerata la forte dipendenza dei Paesi occidentali dai Paesi fornitori (evidentemente gli shock petroliferi subiti negli anni ’70 non sono serviti a molto e ci siamo nuovamente fatti cogliere altamente impreparati).

Tecnicamente se si vogliono applicare delle sanzioni preventive (a scopo dissuasivo) o repressive (con l’applicazione di punizioni concrete in capo al trasgressore) occorre disporre di un sufficiente livello di autonomia o, in altre parole, aver predisposto politiche volte all’autosufficienza per risentire il meno possibile delle contromosse del sanzionato. Comportamento che con la globalizzazione è venuto meno, non solo nelle politiche internazionali, ma anche nelle politiche aziendali tese a ricercare il massimo profitto a scapito della garanzia di flessibilità degli approvvigionamenti ed affidabilità dei fornitori.

I fautori dei processi di internazionalizzazione hanno amplificato i potenziali vantaggi, mentre i detrattori si sono trincerati in un negazionismo preconcetto. Di conseguenza, non si sono esaminati gli effetti che si potevano generare nel momento in un cui si rompe uno degli anelli della catena. Emblematico l’effetto sul mercato del grano: il mix sanzioni e blocco dei porti hanno fatto aumentare le esportazioni del cereale russo a prezzi speculativi… L’essere autonomi rafforza le possibili politiche commerciali e per questo alcune nazioni si sono impegnate a raggiungere l’autosufficienza energetica. Su tutte la Danimarca, che per raggiungere l’indipendenza energetica ha autorizzato la costruzione di una “energy island”, una mega-isola artificiale per sorreggere le pale eoliche nel mare del nord. All’opposto, l’Italia ha preferito fare prima “melina” sulle proprie disponibilità energetiche (30 anni fa estraevamo 30 miliardi di m³ di gas l'anno, ora circa 4), poi a differenziare poco, mentre prevale scenario in cui gli ecoincentivi tendono ad essere modificati ad una velocità tale da compromettere ogni tentativo di programmazione (l’obbligo di pannelli fotovoltaici sui tetti di edifici pubblici di nuova costruzione scatterà solo nel 2025). Morale: si favorisce più la speculazione che la reale modernizzazione e si accresce il contenzioso giuridico, di cui non si sentirebbe la mancanza.






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