Regione Piemonte: quel "buco" finanziario della sanità di cui non si parla
di Anna Paschero
E’ di ieri, 14 maggio, la sentenza n. 87 della Corte Costituzionale con la quale è stata dichiarata l’illegittimità dell’art. 8 della Legge di Bilancio di previsione finanziario 2023 – 2025 con il quale la Regione Piemonte ha posticipato di sei anni (dal 2026 al 2032) la restituzione alle Aziende Sanitarie di danaro liquido – 1 miliardo e 505 milioni di Euro - indebitamente sottratto al sistema sanitario nel 2015, per essere utilizzato a finanziamento di altri ambiti di competenza regionale.
Rispetto ad una prima proposta presentata dalla Regione nel 2016 i tavoli ministeriali avevano imposto un termine non superiore a dieci anni – dal 2017 al 2026 – con importi annuali crescenti fino all’estinzione totale dei debiti nei confronti delle aziende sanitarie. Termine che è stato disatteso in maniera unilaterale dalla regione Piemonte con la legge del 2023, creando grave pregiudizio alla idoneità del servizio sanitario a erogare prestazioni nel rispetto degli standard costituzionali e alla “gestione della funzione sanitaria pubblica efficiente e capace di rispondere alle istanze dei cittadini, coerentemente con le regole di bilancio.”
La fallimentare gestione Cota
Un’altra brutta storia, questa, che fa il paio con quanto accaduto nei quattro anni di amministrazione regionale, dal 2010 al 2014. Una storia che rappresenta un uso distorto della politica. Che riguarda i quattro anni di presidenza della Lega Nord alla Regione Piemonte, governata da Roberto Cota dal 9 aprile 2010 al 9 giugno 2014 e le conseguenze che ne sono derivate in termini di enormi costi fiscali che i cittadini piemontesi stanno sostenendo tuttora e dovranno continuare a sostenere fino al 2043. Si tratta di costi sono altissimi: 266 milioni di euro all’ anno in più di addizionale regionale, aggiuntiva all’aliquota di base statale, necessari a risanare i conti della sanità piemontese messi a dura prova dai quattro anni del governo leghista.
Che cosa sia successo nella sanità piemontese dal 2010 in avanti, è solo in parte noto: l’alternanza di tre assessori ed episodi discutibili (per usare un eufemismo), su cui per carità di patria caliamo il sudario, in un contesto economico finanziario ha visto sempre più restringersi l’intervento pubblico a discapito, soprattutto, dei ceti più deboli. Leggendo i dati del monitoraggio dei conti della sanità pubblicati sul sito del Ministero sappiamo che nel quadriennio 2010/2013 sono stati accumulati cospicui disavanzi, come successivamente sancito non solo da Moody’s, ma da giudici più imparziali: la sezione di controllo della Corte dei Conti e la Corte Costituzionale, con propria sentenza. Un disavanzo finanziario effettivo che ha superato i 9 miliardi di euro. Organi di valutazione indipendenti che hanno sancito il disastro finanziario, ma soprattutto organizzativo, della sanità piemontese.
In altre parole la gestione dei conti regionali (il bilancio previsionale del 2014 è stato bocciato dai Revisori dei Conti a causa della previsione di entrate da mutui non contraibili per superamento del limite di legge; l’approvazione del rendiconto di gestione del 2013, dovuta per legge entro il 30 aprile e prima delle elezioni regionali, non è stato redatto dalla Giunta uscente, forse per pudore o timore di impopolarità. E’ stato approvato dalla nuova giunta di centro sinistra neo eletta solo il 14 novembre dello stesso anno) si è basata su dati di bilancio non veritieri, attraverso operazioni contabili di dubbia liceità e costituzionalità, come ha sancito la stessa Corte Costituzionale con la propria sentenza 181 del 23/7/2015. Corollario a questa situazione l’affidamento di incarichi di consulenze esterne per milioni di euro, rivelatisi poi inconcludenti, per rimediare e rispondere alle continue richieste di chiarimenti alle incongruenze rilevate dal Ministero nei dati contabili trasmessi dalla Regione.
Un debito che si estinguerà nel 2043
La Giunta di centro sinistra di Mercedes Bresso aveva, nel quinquennio precedente (2005/2010), affrontato le criticità ereditate dalla precedente amministrazione (di Enzo Ghigo) riuscendo anche a ridurre, per le fasce più deboli, il peso della fiscalità regionale. Come risulta dai verbali dei tavoli tecnici istituiti presso il Ministero i conti della Regione sono stati in ordine fino all’anno 2009 (pag. 4 del piano di rientro presentato al Ministero dalla Giunta Cota): anzi alla sanità piemontese vennero attribuite e versate maggiori risorse, nel quinquennio 2005/2009 rispetto a quelle nazionali per 1,7 miliardi di euro.
Nel 2007 venne innalzato il livello di reddito per beneficiare della aliquota minima dello 0,90% e nel 2008 venne introdotta una aliquota “agevolata” per la fascia di reddito dal 15.000 ai 22.000 Euro dell’1,20%, prima soggetta all’aliquota massima dell’ 1,40%.
Dal 2014 con la Presidenza Cota l’aliquota minima dell’addizionale regionale IRPEF passò all’1,62% e quella massima al 2,33% e dal 2015 quest’ultima salì al 3,33%, toccando poi alla nuova Giunta Regionale in carica (presidente Sergio Chiamparino) di provvedere al rialzo della tassazione regionale per finanziare il piano trentennale di rientro del disavanzo regionale del Piemonte, che applica come il Lazio e altre quattro regioni, l’aliquota più alta a livello nazionale.
A decorrere quindi dal 2015 è stata imposta ai piemontesi la maggiorazione di 2,1 punti percentuali all’addizionale regionale con una aliquota massima del 3,33% ancora maggiorabile dello 0,30% nel caso di mancato raggiungimento degli obiettivi di bilancio, con conseguente determinazione di un disavanzo sanitario, al fine di consentire “l’integrale copertura dei mancati obiettivi”.
Il gettito dell’addizionale regionale piemontese da 985 milioni di Euro del 2011 è aumentata a 1.251 milioni di Euro del 2015. Più di 266 milioni all’anno di maggiore tassazione, per fronteggiare il disastro dei conti regionali, soldi che stanno già pagando e pagheranno i contribuenti piemontesi fino al 2043.
Anche in questa occasione, maldestramente, gli autori del disastro finanziario cercarono di addossare ad altri le loro responsabilità nella gestione dei soldi pubblici, soprattutto nel corso della campagna elettorale del 2014 per il rinnovo del consiglio regionale del Piemonte, lasciando poi ai nuovi eletti il compito di fronteggiare gravi emergenze che non sono state irrilevanti nella realizzazione di politiche di sviluppo e di rilancio dell’economia regionale negli anni successivi.
Il bilancio di previsione 2024–2026 approvato dal Consiglio regionale lo scorso mese, presenta un disavanzo complessivo presunto (da verificare con le risultanze del rendiconto 2023) di oltre 5 miliardi e 110 milioni di euro, attribuibile per oltre 727 milioni di euro al ripiano dei disavanzi del 2010/2014, per altri 3 miliardi e 291 milioni alla restituzione dei fondi di liquidità erogati dallo Stato per il pagamento dei debiti e contabilizzati in modo improprio a finanziare i disavanzi e per oltre 1 miliardo di euro per il disavanzo creato dal riaccertamento straordinario dei residui.
A fronte delle spese previste nel bilancio regionale per la tutela della salute, pari a poco più di 10 miliardi di euro, la principale fonte di finanziamento proviene dai tributi versati da cittadini e imprese (addizionale regionale e IRAP): quasi il 90%.
Considerando questo dato e le attuali difficoltà da parte dei cittadini a utilizzare con il Sistema Sanitario Nazionale le prestazioni loro necessarie, dovendo ricorrere quasi sempre a prestazioni private da pagare integralmente, risulta del tutto evidente che in quest’ultimo caso i servizi sanitari sono pagati due volte da parte di chi può permetterselo e non fruite, anche se già pagate con il carico tributario, da quei cittadini che non hanno la possibilità di pagarsele una seconda volta.
Ma di questa storia non si parla oggi nei frequenti incontri elettorali da parte di chi riveste responsabilità istituzionali. Anzi. L’argomento viene abilmente evitato, aggirato. Se ne comprende il motivo: parlare di debiti e di mettere le mani nelle tasche dei piemontesi è tabù. Ma i cittadini hanno diritto a una informazione veritiera e trasparente. Sempre. Indipendentemente dall'appuntamento elettorale, cui si dovrebbe arrivare con la sicurezza di avere tutte le notizie necessarie per formarsi un'idea sugli argomenti.
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