Referendum rappresentanza politica: è il cuore della democrazia
di Giancarlo Rapetti*
Non ci sono più i referendum di una volta. Nel 1974 per il divorzio, nel 1981 per l’aborto, milioni di elettori si recarono alle urne per esprimere, in netta maggioranza, il loro NO alla proposta di abrogare i giovani diritti. Le materie erano tipiche da referendum. Il Parlamento aveva approvato leggi innovative; importanti minoranze vollero testare se, in quella circostanza, i rappresentanti del popolo erano in sintonia con il popolo rappresentato. La verifica risultò positiva: sì, il Parlamento la pensava come il paese reale. Poi, con l’avvento del maggioritario e più ancora con la riduzione del numero dei parlamentari, la qualità della rappresentanza politica si è significativamente ridotta. Non potendo più discutere in Parlamento, le minoranze hanno cominciato a proporre referendum costruiti per modificare le leggi con operazioni chirurgiche di taglio. In questo incoraggiati anche dalla Corte Costituzionale, che ha cominciato a definire ammissibili i referendum che, in caso di esito vittorioso, non avessero lasciato vuoti normativi.
A ben vedere la funzione del referendum ne risulta snaturata: la formazione delle leggi esce dal Parlamento, avventurandosi nella via impervia della democrazia diretta, su temi spesso complessi e assai più adatti alle aule legislative che agli slogan delle campagne elettorali. E’ un segno della debolezza del Parlamento, il cui ruolo andrebbe rafforzato, anziché, come qualcuno vorrebbe, cancellato.
C’è un referendum, però, che va nella direzione di rafforzare il ruolo del Parlamento, quello detto “Per la Rappresentanza”, di cui è in corso la raccolta firme, anche se non ne parla nessuno.
Situazione strana, che ha tuttavia una spiegazione razionale. Si è detto che il compito legislativo è tipico del Parlamento, in cui agiscono i rappresentanti del popolo. In materia elettorale, tuttavia, i parlamentari decadono dal ruolo di rappresentanti del popolo e diventano rappresentanti di sé stessi, secondo la sindrome dell’assemblea condominiale; quel luogo, come è noto, in cui persone insospettabili si fanno paladine ottuse dei propri interessi diretti, veri o a volte presunti, refrattarie a qualunque argomento razionale. Detto con altre parole, la maggioranza parlamentare del momento non è interessata a fare la migliore legge elettorale, ma quella che ritiene, in quel momento, più conveniente per sé.
L’interesse del cittadino elettore è invece quello di poter scegliere i propri rappresentanti nel modo più semplice, trasparente e libero. Il referendum diventa il mezzo migliore per perseguire quel fine: con pochi quesiti mirati, il Referendum per la Rappresentanza corregge le più gravi storture del Rosatellum (la vigente legge elettorale per Camera e Senato).
Questa sintesi spiega perché nessun partito abbia preso posizione ufficiale sul tema (anche se nel Comitato Referendario ci sono personalità di molti partiti). E spiega altrettanto chiaramente quanto sia importante il successo di questo referendum.
Il primo quesito propone l’abrogazione del voto congiunto obbligatorio: oggi sulla stessa scheda si trovano il candidato uninominale del collegio e le liste al lui collegate. L’elettore ha a disposizione un solo voto. Se fa la croce su di una lista collegata, il voto va alla lista e si trasferisce anche, automaticamente, al candidato uninominale. Se l’elettore fa la croce sul candidato uninominale, il voto va al candidato uninominale e si ripartisce anche sulle liste collegate in modo proporzionale al risultato ottenuto dalle liste stesse sulla base delle scelte esplicitamente effettuate (quelle del primo caso). E’ già complicato da dire. L’effetto pratico è che non si può scegliere liberamente chi votare: oggi la parte proporzionale è un inganno. Invece, se il quesito vincesse, l’elettore potrebbe scegliere un candidato uninominale e una lista proporzionale in modo indipendente tra loro. Avrebbe a disposizione due voti, uno per il maggioritario e uno per il proporzionale.
Il secondo quesito propone l’abrogazione delle soglie di sbarramento nazionali. Oggi le soglie di sbarramento esistono e sono diverse per liste singole e per coalizioni. Vengono presentate come un modo per evitare eccessiva frammentazione del quadro politico e dare spazio solo a partiti che raccolgano un significativo consenso. Premesso che ogni soglia, stabilita a priori, è arbitraria, gli effetti pratici sono tre: escludere milioni di voti dalla ripartizione dei seggi; spingere a coalizioni ammucchiata finalizzate al solo scopo di eludere la soglia stessa; spingere l’elettore al voto utile, cioè a non votare quelle liste che, stando ai sondaggi, sono a rischio di non superare la soglia. Il successo del referendum eliminerebbe tutte queste criticità, restituendo al voto il suo valore di dare rappresentanza all’intera società. Va respinta la critica che in questo modo ci sarebbe una eccessiva dispersione. Per avere dei seggi occorre raggiungere una buona percentuale nei collegi, cioè essere significativi almeno a livello territoriale.
Il terzo quesito propone l’abrogazione della esenzione dalla raccolta firme per chi è già in Parlamento. La ratio è un principio di pari opportunità, senza riconoscere una rendita di posizione. Ed evita anche il commercio dei simboli, a cui oggi si assiste, finalizzato a favorire talune nuove formazioni a scapito di altre. Non è una ipotesi astratta: nelle ultime elezioni politiche, alcune formazioni di nicchia, ma presenti in Parlamento, hanno prestato il proprio simbolo a neocostituiti soggetti, al solo scopo di aggirare l’obbligo di raccolta firme. A scapito di chi, invece, non trova simili benefattori e le firme le deve raccogliere.
Il quarto quesito propone l’abrogazione delle pluricandidature. A quesito accolto ci si potrebbe candidare in un solo collegio uninominale e in un solo collegio proporzionale. E’ di tutta evidenza che con le candidature attuali in cinque collegi, l’elettore in realtà non può sapere per chi sta votando.
Se le firme raccolte saranno sufficienti, si andrà obbligatoriamente a votare su questo referendum. E’ l’occasione buona, per chi lamenta che il proprio voto attualmente è poco influente, per mettere una firma che invece conta moltissimo.
Si obietta da parte di qualcuno che si sta parlando di una materia che presto sarà cambiata, con la riforma del premierato e la nuova legge elettorale collegata. Si tratterebbe quindi di una battaglia inutile e superata. E’ vero il contrario. Per questo referendum si voterà nel 2025, quello confermativo del premierato ci sarà l’anno successivo. E il successo di questo referendum, che propone il contrario del premierato, sarebbe un segnale politico e un traino fondamentale per il successivo confronto. Sarebbe l’evidenza plastica che ai cittadini italiani sta a cuore la rappresentanza politica, che è il cuore della democrazia moderna.
*Componente delle Assemblea Nazionale di Azione
il vero problema è :tutte le aree politiche si oppongono al governo eletto. mancanza assoluta di rispetto del voto degli elettori. prima dei referendum è necessario rispettare i dettami della Carta,il primo articolo attribuisce il potere al popolo lo esprime con il voto.il più delle volte deriso e banalizzato,tutto il resto viene dopo.