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Rafah segna il punto più alto dell'isolamento internazionale di Netanyahu

di Maurizio Jacopo Lami


"Non possiamo fermarci adesso dopo tanti sforzi e tanto sangue. Dobbiamo vincere l'ultima battaglia a Rafah, dobbiamo distruggere i quattro battaglioni rimasti ad Hamas. Se ci ritiriamo adesso gli islamisti diranno senz'altro di aver vinto la guerra e tutto il mondo li seguirà.

Se non entriamo nell' unico caposaldo rimasto al nemico, se lasciamo ad Hamas la possibilità di riorganizzarsi, sarà stato tutto inutile. Non voglio un altro 7 ottobre. Ordino pertanto di attaccare Rafah, l'ultima porzione di Gaza dove non siamo ancora penetrati. La popolazione civile palestinese dovrà sgombrare da lì. Le nostre forze armate si preparino per l'ultimo assalto. 

Mi prendo la responsabilità per quest' ordine davanti alla Storia "

Benjamin Netanyahu, primo Ministro di Israele.


"Il governo degli Stati Uniti non considera più il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu un partner produttivo che può essere influenzato anche in privato. In pratica non siamo mai stati così vicini alla rottura dei rapporti con lui. Consideriamo l'attacco in queste condizioni a Rafah, affollata fino all' inverosimile di civili innocenti, come una vera e propria catastrofe umanitaria che potrebbe causare moltissime vittime. Chiediamo al governo di Israele di fermarsi "

Joe Biden, presidente degli Stati Uniti d'America



Ci siamo. Quella che sta per cominciare a Rafah, l'ultima porzione della Striscia che non è stata ancora invasa dall' IDF, l'esercito di Israele, dovrebbe essere l'ultima battaglia di guerra aperta dell'operazione "Spade di ferro". Le conseguenze di questo attacco a Rafah, che è nella parte meridionale della Striscia, quella confinante con l'Egitto, potrebbero essere terribili.

Si immagini una popolazione, quella palestinese, già costretta ad abbandonare in fretta e furia le proprie case, per evitare la morte sotto i bombardamenti; si immagini questa stessa misera popolazione costretta a ripetere la disperata fuga diverse volte, sempre più sfiniti e con meno cibo a disposizione ora che Netanyahu ha annunciato l'attacco risolutivo. Ma se Rafah entra nel mirino israeliano, farà "saltare i colloqui per lo scambio degli ostaggi" minaccia un alto esponente di Hamas, mentre il Washington Post conferma la "rottura tra Biden e Netanyahu su Gaza". Intanto, è continuato anche oggi sotto gli attacchi dell'esercito israeliano lo stillicidio di morti civili.

Il punto-limite deciso da Netanyahu si concretizza dopo una lotta che infuria da quattro mesi nella Striscia di Gaza, seguita alla terribile incursione di Hamas in Israele del 7 ottobre, che ha causato 1200 vittime fra gli israeliani, uccisi in maniera atroce, e il rapimento di oltre 200 persone (circa sessanta rilasciate durante la tregua di dicembre) con la conseguente reazione di Israele che ha portato all' invasione della Striscia di Gaza.

Uno scontro senza quartiere che ha visto battaglie infuriare addirittura dentro gli ospedali, spesso usati da caposaldo da Hamas, ma comunque colpiti con altrettanto disinvoltura dalle forze israeliane, indifferenti alla presenza di malati e feriti, gli stessi feriti procurati dai loro bombardamenti.

Le tragedie che abbiamo dovuto vedere negli ultimi quattro mesi non sono quelle più grandi numericamente dell'ultimo ventennio: è il "sangue dimenticato" della Siria, che conta più di seicentomila morti nella guerra civile e dei tanti, troppi conflitti in Africa, ma il conflitto tra Hamas e Israele nella Striscia di Gaza è sicuramente quello che attualmente crea più crisi internazionali e maggiori opportunità di distrarre l'opinione pubblica dall'Ucraina.

Ovviamente, ad approfittarne è stata la Russia di Putin che, resettati dalla memoria collettiva il massacro di civili in Ucraina, ha usato la sua disinvoltura diplomatica e la sua potente macchina della disinformazione per gettare più di un'ombra sul sostegno militare dell'Occidente a Kiev e a mettere come non mai in cattiva luce il presidente Zelensky che al fallimento della controffensiva ha contrapposto una purga ai vertici del suo stato maggiore, addossandosi così tutte le responsabilità davanti al Paese in caso di ulteriori sconfitte sul campo. Con pari disinvoltura, il presidente russo ha rassicurato la platea internazionale che non attaccherà mai i Paesi baltici e la Polonia a meno di non essere attaccato. Allo stesso tempo, il Cremlino, che non si è mostrato riluttante a massacrare i musulmani nel conflitto ceceno, ora si presenta come amico degli arabi e mediatore per una tregua.  

Ma la vera caduta di credibilità della guerra senza tregua in Medio Oriente si è riversata sugli Stati Uniti. Il presidente Joe Biden si è mostrato inaspettatamente fragile, nonostante i ripetuti sforzi del Segretario di Stato Antony Blinken, nel tentativo di ridurre gradualmente l'offensiva di Israele e la ferrea determinazione di Netanyahu a distruggere tutto e tutti per arrivare al cessate il fuoco. I precedenti storici di altre epoche raccontano, infatti, altre storie e altre relazioni bilaterali tra Washington e Tel Aviv. Nel 1956, durante la crisi di Suez, gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica, insieme, imposero la pace a Francia, Regno Unito ed Israele. Nel 1973, i sovietici in accordo con gli Usa "consigliarono" gli israeliani di non invadere Damasco; furono ascoltati, anche se da quell'anno crebbe l'influenza destabilizzante in Libano che portò alla sua invasione nel 1982 da parte dell'esercito con la stella di David. Ma in quella circostanza, gli Stati Uniti misero il veto al primo ministro Sharon a uccidere Yasser Arafat, il leader dell' OLP; una posizione riconfermata negli anni successivi che garantì la pace.

Dalla caduta del Muro di Berlino, la convinzione degli Stati Uniti di essere il baricentro del mondo, ha provocato una serie di rivolgimenti internazionali con cui la superpotenza si è garantita uno strapotere nella produzione e tecnologia di armi, cui però non ha corrisposto un successo altrettanto riconosciuto negli angoli del mondo in cui ha preteso di portare la democrazia sulla punta delle baionette. Iraq e Afghanistan ne sono la più visibile conferma. Il conflitto Ucraina, scatenato da Putin, ma con il raffinato aiuto della Nato, cui Donald Trump sta già lanciando avvertimenti indiretti (non a caso oggi il Segretario Stoltenberg, il primo che verrebbe messo alla porta, ha risposto piccato alle osservazioni dell'ex presidente Usa), e la strategia omicida di Netanyahu nella Striscia di Gaza, sono lo specchio di un appannamento pericoloso della lucidità geopolitica degli Stati Uniti, mentre le elezioni presidenziali di novembre si avvicinano con un Biden sempre più incerto e affaticato.

Ora, la domanda che si impone scontata è quella che da mesi rovista e lacera le coscienze delle donne e degli uomini che credono nella convivenza civile e che il premier dello Stato di Israele, anche a dispetto dell'opinione di una larga parte dei suoi connazionali, traduce in asserzione: "Non possiamo fermarci. Israele deve assolutamente sconfiggere fino in fondo Hamas, ucciderne i capi, eliminarne i battaglioni e i reparti organizzati". Insomma smantellare fino in fondo la struttura del nemico. E, precedendo una domanda altrettanto scontata, aggiunge: "Non si tratta di un ossessione: è questione di pura sopravvivenza. Io conosco bene la mentalità degli arabi: non hanno problemi a negare la realtà, se gli diamo un minimo appiglio diranno che la guerra l'hanno vinta loro. E ricomincerà l'incubo. L'unico modo per evitarlo è andare avanti fino in fondo. La battaglia che combattiamo non è solo per noi, non è solo per Israele: le nostre forze armate, combattono per tutto l'Occidente, combattono per salvarci dal fondamentalismo islamico. Israele è nel giusto, sta combattendo la più giusta delle battaglie. Niente e nessuno mi convincerà a fermarci prima della vittoria finale".

Molti di questi concetti, è doveroso dirlo, a costo di essere impopolari, sono giusti, perché Hamas non è affatto un'associazione di eroi mazziniani, ma un'organizzazione che proclama apertamente, ed è scritto nel suo Statuto, che "tutti gli ebrei devono morire". Per tacere di tutti gli altri aspetti negativi di Hamas dall'oscurantismo verso le donne all' idea del Occidente come di un nemico. 

Premesso ciò è assolutamente evidente il punto debole dei ragionamenti di Netanyahu: non c'è ombra di proposta credibile per il "dopo", perché un giorno dovrà pur finire questa guerra atroce. Il primo ministro israeliano non sa spiegare in nessun modo come potranno vivere i palestinesi dopo il conflitto, non è in grado di spiegare (e non ci prova nemmeno, il che è perlomeno atroce) come dovrebbe essere un governo per i palestinesi; non dice in che modo potranno rialzarsi, dopo le terribili distruzioni di questi giorni. Sa solo dire dei "no", come il peggiore dei bulli di strada, come per esempio, alla proposta dei due Stati. D'altronde nemmeno la gestione militare è esente da pecche: se si possono avere dei legittimi dubbi sul numero dei morti (quasi 28.000) denunciato da Hamas, resta indubitabile che i morti civili siano spaventosamente tanti. 

E se indubbiamente l'IDF ha ottenuto diversi risultati, come l' eliminazione di circa novemila miliziani di Hamas (ma un rapporto della CIA sostiene che "la struttura di Hamas è indebolita ma è ancora in piedi") resta il fatto che nessuno dei quattro principali ricercati è stato eliminato in ben quattro mesi di battaglia: Yaya Sinwar e Moahmmed Deif su tutti, e questo per i servizi segreti israeliani è un'impressionante débâcle. Per non dire dell'impressionante fallimento, fino a questo momento, della liberazione degli ostaggi: sono tornati solo quelli rilasciati da Hamas.

Il quadro generale, a rifletterci, è davvero devastante: la Russia soffia sul fuoco con l'Occidente in difficoltà; gli Stati Uniti hanno un presidente palesemente stanco ed indebolito che non sa come bloccare Israele, mentre gli Stati arabi si sentono traditi; un primo ministro israeliano che sembra volersi nutrire dei propri errori.

Durante le prime fasi della Grande Guerra, un ministro francese parlava ai suoi colleghi con parole rassicuranti. Poi, d'improvviso, si mise letteralmente a piangere e disse: "No, non è vero che andrà bene. Sarà una catastrofe. Lo sento nel più profondo dell'anima".




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