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Quando "morì la musica": Iowa, Clear Lake, 3 febbraio 1959

di Marco Travaglini


La data vale come un necrologio eterno: martedi, 3 febbraio 1959. E per chi ama il rock, riporta alla mente un ricordo scuro e duro: è “il giorno in cui la musica morì”. In un incidente aereo, poco dopo la mezzanotte, persero la vita Buddy Holly, Ritchie Valens e “Big Bopper” Richardson. Terminato il concerto a Clear Lake nello Iowa, giunti a metà del loro Winter Dance Party Tour, la fulminea tournée di 24 date in tre settimane, i ragazzi erano stanchi, infreddoliti e decisero, su suggerimento di Buddy Holly, di affittare un piccolo aeroplano che li avrebbe trasportati a Fargo, nel Dakota del Nord, a poca distanza da Moorhead, nel Minnesota, dove si sarebbe tenuta la successiva esibizione.

L’autobus sul quale erano soliti viaggiare aveva l’impianto di riscaldamento fuori uso e la sola idea di farsi più di cinquecento miglia al freddo era insopportabile. Così, contattato l’aeroclub locale, il Dwyer Flying Service, affittarono l’unico aereo disponibile, un piccolo Beechcraft Bonanza da quattro posti, compreso quello per il pilota. Quest’ultimo, il ventunenne Roger Peterson, aveva poca esperienza. I tre posti per i passeggeri erano riservati allo stesso Holly e a due membri della sua band. Ma le cose andarono diversamente. “Big Bopper” chiese a Waylon Jennings, uno dei musicisti, di barattare il proprio posto accampando la scusa di un’influenza che lo stava tormentando. Jennings accettò di buon grado ma pagò il prezzo del rimorso per il tempo a venire, per via di una battuta scherzosa che pronunciò ridendo ( “che possiate schiantarvi al suolo con quel trabiccolo”).

Anche Ritchie Valens si ritrovò a bordo per un capriccio del destino: non avendo mai viaggiato su un aereo da turismo chiese di potersi giocare il posto con l’altro musicista, Tommy Allsup. La decisione fu presa a testa o croce, lanciando in aria una monetina da 50 cent. Buddy Holly, che all’epoca aveva solo ventidue anni, dopo la pubblicazione di tre album era già una star del rock’n’roll e aveva lavorato tanto in radio quanto in televisione insieme alla sua band, i The Crickets. Ritchie Valens, appena diciassettenne, aveva inciso il singolo La Bamba, destinato a conoscere un successo clamoroso negli anni a venire. Coi suoi ventinove anni il più vecchio fra i tre era J.P. “The Big Bopper” Richardson, autore di canzoni celebri come Chantilly Lake, destinata ad entrare nella colonna sonora di American Graffiti del 1973.

Era da poco passata la mezzanotte quando raggiunsero l’aeroporto e quando i tre musicisti si trovarono a bordo del velivolo pronto al decollo era ormai quasi l’una e nevicava fitto. In breve si trovarono in un inferno bianco dov’era impossibile orientarsi a vista. Peterson  dovette affidarsi alla strumentazione di bordo pur non avendo mai conseguito la certificazione necessaria per volare solo in quel modo. Bastarono pochi minuti dopo il decollo perché l’aereo si schiantasse al suolo in un campo di grano. Non sopravvisse nessuno. La mattina seguente i corpi di Buddy Holly e Ritchie Valens furono trovati a pochi metri dall’aereo, mentre quelli di Big Bopper e del pilota furono sbalzati più lontano.

Le parole della canzone American Pie di Don McLean, del 1970, resero  efficacemente l’idea  della tragedia che si era consumata in una notte d’inverno del 1959: “Non ricordo se ho pianto/quando ho letto della sua sposa rimasta vedova/ma qualcosa mi ha toccato nel profondo/il giorno che la musica è morta”. La morte prematura e tragica li consegnò al mito ma la loro musica, soprattutto quella di Buddy Holly, influenzò per decenni il rock, dalle band meno note fino ai Beatles e ai Rolling Stones. Oltre alla loro produzione musicale, a ricordare i cantanti vennero eretti tre memoriali in loro onore, opera di Ken Paquette, un appassionato di anni Cinquanta. Il primo a otto chilometri da Clear Lake: una steel guitar insieme a tre dischi dei musicisti scomparsi. Un secondo alla Riverside Ballroom di Green Lake, nel Wisconsin, dove i tre si erano esibiti due sere prima della sciagura. L’ultimo, dedicato al giovane pilota, sul luogo del disastro fu inaugurato nel cinquantesimo anniversario della sciagura.


 

 

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