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Punture di spillo: Musk vs Twitter, contare gli zero


a cura di Pietro Terna







Ogni tanto è utile esprimere le grandezze ancora in lire. Dopo vari tira e molla, la cifra offerta per acquistare Twitter è stata 88.000.000.000.000 lire. Non avete voglia di contare gli zero? Fa 88mila miliardi di lire (in realtà, 44 miliardi di dollari). Chi l’ha offerta? Elon Musk, il super-ultra-ricco padre e padrone di persone e cose, che voleva impadronirsi del sistema di messaggistica con l’uccellino che cinguetta. Poi ha detto no, non compro più.


La situazione è ben sintetizzata[1]dal New York Times dell’11 luglio, con l’affermazione: “Ora, mentre Musk, un miliardario, cerca di fuggire dall'affare, sta inesorabilmente lasciando Twitter in una situazione peggiore di quella in cui si trovava quando ha detto che l'avrebbe acquistata. Con i tweet pungenti e le provocazioni pubbliche, Musk ha eroso la fiducia nell'azienda di social media, ha fatto crollare il morale dei dipendenti, ha spaventato i potenziali inserzionisti, ne ha enfatizzate le difficoltà finanziarie e ha diffuso disinformazione sul funzionamento di Twitter”. Un giudizio durissimo sul “miliardario”, anche considerando l’autorevolezza della fonte.

Perché mai voleva comperare Twitter? Per ridare il giocattolo a Trump, che ne aveva fatto un uso smodato, tanto da esserne escluso per la disinformazione che diffondeva sul risultato delle elezioni che l’hanno visto sconfitto? Davvero, guardando da vicino il giocattolo, ha capito che valeva meno dell’astronomica cifra offerta? Spera, seguendo lo schema “chi disprezza compra” di ritornare alla carica spendendo molto meno? Ma li ha quei soldi, oppure riuscirebbe a ottenerli in prestito?

Se è questo il capitalismo del secolo, stiamone ben lontani! Tra l’altro Twitter, come azienda, è un mistero in sé. Non produce utili, regala un servizio di messaggistica diffuso, ma non diffusissimo; ha una raccolta di pubblicità piuttosto limitata. Prospera grazie alla gigantesca bolla finanziaria su cui siedono per il momento le “big tech”, con i loro grandi fatturati, gli utili limitati, ma con valutazioni astronomiche in borsa. Dal gruppo escludo Apple, che il “ferro” lo produce.

Uso l’espressione “ferro” perché gli informatici chiamano spesso così le loro macchine (l’hardware), ma anche per un bellissimo aneddoto che coinvolge l’ingegner Tchou, lo scienziato nato da genitori cinesi in Italia, che guidò lo sviluppo dei grandi calcolatori pionieristici dell’Olivetti.[2]Interrogato da uno stretto collaboratore, l’ing. Giuseppe Calogero,[3]sul motivo per cui era comparsa nel loro laboratorio una fastidiosa contabilità industriale, rispondeva[4]“che fino a qualche anno prima nell’Olivetti non esisteva una contabilità orientata ai singoli prodotti che si fabbricavano, perché all’atto pratico si comprava il ferro a 400 lire il chilo e lo si rivendeva a 5000 sotto forma di macchine per scrivere, quindi con un forte valore aggiunto e con un margine di contribuzione sui costi diretti veramente imbattibile, che però consentiva di coprire anche molti errori di gestione. La gran ricchezza così prodotta aveva consentito di fare investimenti e di sviluppare l’azienda a tassi elevatissimi, ma l’inevitabile trasformazione dei prodotti, ad esempio verso l’elettronica, avrebbe certamente limitato questo vantaggio”.

Musk il suo ferro l’ha spremuto ben bene, con la sopravvalutazione di Tesla in borsa, coprendo così tanti errori gestionali. L’aneddoto quindi ben si collega alla prosopopea del personaggio, che ha raccolto mezzi finanziari dalla Tesla e certamente dai prodotti per lo spazio, ma che ha intanto anche maturato la convinzione di essere onnipotente e di potergiocare con la vita degli altri. Si direbbe che lo faccia anche quando sceglie i nomi per i figli come, ad esempio, “X AE A-12” (AE come simbolo fonetico).

Come andrà a finire la questione Twitter? L’azienda ha chiesto a un tribunale del Delaware di obbligare Elon Musk a rispettare l'accordo da 44 miliardi di dollari per l'acquisto della società. Gli avvocati di Twitter sostengono che Musk dovrebbe essere obbligato a completare la fusione al prezzo di 54,20 dollari per azione, concordato al momento dell'accordo a fine aprile. Che dire? Che prima o poi quel personaggio incontrerà un ostacolo molto più grande di lui. Allora resterà solo lo sbruffone[5]come, alla fine della serata, quello di Francesco Guccini “Bello col vestito della festa, bello con la brillantina in testa / bello, con le scarpe di coppale e l'andata un po' per male, ed in bocca il riso amar...”.

Gli sbruffoni non sono mai soli, se ne vedono tanti nel mondo “tech”. Includo anche il nuovo disegno di moneta privata di Circle[6], consorzio che vede al suo interno colossi come VISA. Ma non lo sanno come è finita la Libra di Facebook? E nessuno gli ha detto dell’agghiacciante finale del film[7]quasi omonimo, The Circle, che racconta di un’azienda che si preparava a controllare il mondo?



[2]Degli errori commessi sull’Olivetti ho scritto, nella Porta di Vetro: https://www.laportadivetro.org/la-grande-informatica-in-italia/

[3]Giuseppe Calogero ha raccolto i suoi ricordi in questo libro online: http://www.olivettiani.org/wp-content/uploads/Ricordi_di_Beppe_17x24.pdf


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