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Prescrizione? Un bluff

Aggiornamento: 23 apr 2023

di Mauro Nebiolo Vietti


Credo sia di palmare evidenza che lo scontro sulla prescrizione penale sia di natura politica; se cade il governo, il Movimento Cinque Stelle potrà gridare che si è voluto abbattere la legge spazza-corrotti (per inciso la norma che li mette in un angolo è nata con un governo precedente), mentre Italia Viva cercherà di uscire dal cono d’ombra sostenendo che ci si è battuti per un recupero di civiltà, sottraendo il cittadino al rischio di un procedimento penale senza fine. Ciò su cui si riflette poco, o non si riflette per nulla, è che i protagonisti della vicenda usufruiscono di collaborazioni qualificate di esperti penalisti che, sicuramente, hanno segnalato ai loro referenti soluzioni tecniche per deflazionare il conflitto. Ma il leader (quello che ha l’occhio sul consenso elettorale, non sul funzionamento del paese) non può permettersi di modificare soltanto qualche norma tecnica perché si tratterebbe di un’iniziativa priva di valenza elettorale e ne consegue, per assurdo, che ognuno difende le proprie posizioni non per risolvere il problema, ma per accumulare crediti elettorali. Alla fine si vive in un paradosso; in poche mosse si potrebbero risolvere diversi aspetti problematici della prescrizione, ma così facendo si priva il politico di un argomento portante ed allora si ritiene meglio che l’apparato della giustizia continui a zoppicare, pur di non sottrarre ai leader di argomenti ad effetto. Vediamo qualche misura di portata modesta, ma ricca di implicazioni per il nostro apparato giudiziario. Abolizione della reformatio in peius. All’imputato condannato in I° grado, nel caso ricorra in appello, non può essere inflitta una pena più grave di quella irrogata nel primo procedimento; ovviamente tutti ricorrono in appello perché, mancando il rischio di una pena più severa, si spera nel decorso della prescrizione e, poiché tutti presentano appello, i tempi si allungano in modo esponenziale ed alla fine è difficile mancare l’obiettivo. Peraltro diversi imputati sono ammessi al patrocinio a spese dello Stato, quindi a loro non costa nulla, nemmeno sotto un profilo economico, presentare appello. Se il principio fosse riformato nessun elettore ne comprenderebbe la portata, ma chi monitora gli ambienti valuta che gli appelli cadrebbero del 50% velocizzando gli altri e contribuendo ad azzoppare i tempi della prescrizione. Abolizione della sospensione della prescrizione in caso di legittimo impedimento. Oggi l’impedimento di un imputato o del suo avvocato (i casi più frequenti ricadono nel secondo caso) determinano la sospensione della prescrizione per 60 giorni; sembrerebbe poca cosa, ma non è così perché l’agenda del giudice non permette rinvii se non a distanza di mesi e, quindi, decorsi i sessanta giorni, la prescrizione riprende a decorrere. Se l’imputato è impedito o il suo avvocato è troppo impegnato, sarebbe sufficiente sospendere la prescrizione fino all’udienza successiva, ma di una tale modifica, che vedrebbe una forte diminuzione dei legittimi impedimenti, se ne parla solo nello studio dei tecnici. Ovviamente se a quell’udienza era previsto che venissero sentiti dei testimoni, costoro non possono essere sentiti e dovranno essere riconvocati. Il principio dell’immutabilità del giudice. Il nostro codice stabilisce che la sentenza venga emessa dagli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento. Apparentemente sembra un principio corretto; nella pratica avviene che l’istruttoria deve ricominciare (ossia devono essere risentiti tutti i testi) se per vari motivi un giudice – o un componente del Collegio, quando si tratta di processi più complessi – non riesce a finire un processo che ha iniziato (in genere ne porta avanti centinaia contemporaneamente); i motivi possono essere i più vari: trasferimento ad altra sede; pensione; morte. Anche laddove il giudice organizzi l’agenda in modo da terminare un processo in tempo utile, può capitare che ciò non si verifichi se alle udienze successive vengono avanzati legittimi impedimenti del difensore o dell’avvocato. Per lo stesso principio, quando un giudice si assenta dal lavoro, per maternità o gravi malattie, i processi pendenti rimangono in attesa del rientro, mentre il termine di prescrizione decorre, non potendo essere portata avanti l’istruttoria da altri. La Corte di Cassazione a sezioni unite con una recente sentenza (n. 41736/2019) ha cercato di ridimensionare la portata di questo principio, ma una modifica legislativa sarebbe molto più utile. Sibi imputet. Per quattro anni non sono stati banditi i concorsi per magistrati (circa 350 posti/anno), tre sotto il governo Berlusconi ed uno sotto quello Prodi (ministro Mastella) impoverendo la magistratura del 9% del suo organico e, mentre questo scendeva, sono stati introdotti i nuovi reati relativi all’immigrazione clandestina e ridotti i tempi di prescrizione; se aumentassero i posti a bando, riportando l’organico almeno al livello degli anni 90, alcuni ritardi potrebbero essere recuperati, ma non si ha ricordo di un governo, o anche solo di un ministro, che si sia posto il problema. Le misure correttive analizzate non risolvono tutti i problemi dell’intero impianto del nostro sistema penale, ma li deflazionano potendo così lasciare spazio ad un tavolo tecnico che, senza urgenza, analizzi ulteriori strumenti di semplificazione, ma ovviamente, perché questo sia possibile occorre che la politica non alzi la bandiera dei principi superiori perché è logico sospettare che lo sguardo non sia rivolto alle generazioni future, ma alle prossime elezioni.


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