Pluralismo economico e incostituzionalità dei dogmi
- Emanuele Davide Ruffino
- 30 giu
- Tempo di lettura: 4 min
di Emanuele Davide Ruffino

Le esigenze di visibilità portano ad assumere posizione identitarie avulse dalla realtà, ma che possono portare e danni, specie in un Paese come l’Italia già vessato dalla burocrazia e dalla cronica difficoltà di prendere decisioni rivolte al benessere collettivo e bloccato da preconcetti e dogmi (quelli che hanno rischiato di portare sul rogo Galileo Galilei che non accettava soluzioni inconfutabili).
A sancire questo concetto è anche la nostra Costituzione nel momento in cui sancisce all'articolo 41 che l'iniziativa economica privata è libera, ma sottolinea anche che tale libertà non può essere esercitata in contrasto con l'utilità sociale o in modo da danneggiare salute, ambiente, sicurezza, libertà e dignità umana. Massima garanzia del rispetto di questo principio sarebbe la presenza di una componente pubblica che indirizzi e monitori costantemente tale indirizzo, vuoi con la golden power (intesa quale facoltà di dettare specifiche condizioni all'acquisito di partecipazioni, di porre il veto all'adozione di determinate delibere societarie e di opporsi all'acquisto di partecipazioni), in attuazione dell’art 9 bis D. Lgs 502/92 (riguardante il riordino del SSN che, autorizza a sperimentare nuovi modelli gestionali che prevedano collaborazione tra pubblico e privato) e soprattutto il "Partenariato Pubblico Privato" previsto dall’Unione Europea, quale strumento fondamentale nel contesto delle politiche europee per la realizzazione di infrastrutture e la fornitura di servizi pubblici in settori strategici. In proposito, per darne attuazione. l'UE ha predisposto un “Libro verde relativo ai Partenariati Pubblico-Privati e al diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni”, presentato dalla Commissione Europea il 30 aprile 2004. Ma, nonostante questo scenario l’Italia, è ancora in preda a visioni manichee che vorrebbero impedire di operare per il bene comune in base alla natura giuridica del soggetto.
Dal bene comune al benessere collettivo
L'espressione “bene comune” - il bonum commune multitudinis, secondo san Tommaso - indica un valore che già i filosofi antichi ponevano come obiettivo della politica, la quale doveva promuovere l'interesse generale dei cittadini e favorire il benessere e la prosperità della comunità. Per raggiungere questo obiettivo è necessaria la partecipazione di soggetti aventi natura profondamente diversa: l’esperienza ha dimostrato come la presenza dominante di un solo soggetto pubblico (Stati assoluti) conduce spesso ad uno stallo economico e sociale, ma la mancanza dell’azione regolatrice dello Stato può risultare altrettanto perniciosa. All’indispensabilità della funzione pubblica va associata l’imprescindibile utilità del settore privato e del non profit e le infinite combinazioni che si possono realizzare. Innumerevoli sono le iniziative, sia in termini numerici che per tipologie di soluzioni, che la storia è andata a realizzare riempiendo le aree intermedie, avvicinando Stato e mercato, ma la volontà di tenere dogmaticamente separati questi settori persiste ancora.
I processi di miglioramento dei meccanismi sociali passano attraverso più decision maker che, anche attraverso i loro conflitti, giungono alla definizione di nuovi equilibri. Anzi, proprio la pluralità di attori ne è una condizione indispensabile in quanto obbliga a rivedere costantemente le decisioni prese disponendo di più angoli di osservazione. Il benessere non è dato solo dalla quantità di beni materiali e immateriali che i cittadini e l'amministrazione considerano indispensabili, ma dalla capacità di mantenerli anche per le generazioni future e ciò si ottiene più facilmente se a garantirli sono una pluralità di attori, con una condivisione delle responsabilità.
L'acquisizione del concetto di economia esterna (altrimenti detta esternalità), quale indispensabile strumento per migliorare la qualità della vita di una collettività, è stata una delle ragioni che ha permesso di destinare ingenti masse monetarie, non solo pubbliche sempre più insufficienti (sia in termini assoluti, che percentuali) a scopi sociali.
Per restare al passo dei tempi
A sigillare questo atteggiamento è stata anche la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, che sancisce all’art. 20 il diritto di ogni persona “alla libertà di riunione e di associazione pacifica”. Un concetto che si può sviluppare stabilmente con l'affermazione della capacità produttiva della grande industria nel Secondo dopoguerra, allorché si sono potute liberare risorse che hanno permesso la crescita delle attività terziarie. Esattamente come nel passato l’evolversi delle tecniche in agricoltura avevano permesso di liberare risorse a favore dell’industria, dove il prodotto non è più costituito da un bene tangibile od immagazzinabile, ma da un complesso di servizi tendenti a soddisfare determinati bisogni, il cui valore viene stabilito solo dal gradimento espresso da chi manifesta la necessità, indipendentemente se a erogarlo sia un soggetto pubblico o privato. Se per realizzare attività agricole il modello era quello della fattoria agricola, per realizzare manufatti s’impose il modello industriale e con l’affermazione della società basata sui servizi i soggetti chiamati a rispondere all’uopo si sono andati a differenziare, non tanto per natura giuridica, quanto per l’efficacia dei modelli organizzativi adottati.
Compito delle scienze economiche è quello di approfondire la comprensione sulle modalità attraverso le quali si sta organizzando il rapporto “condizioni individuali/benessere collettivo”, con particolare riferimento all'attenuazione dei confini, concettuali, prima ancora che materiali. Si passa, cioè, da una situazione che vedeva l'ambiente come soggetto neutrale ad un’interazione attiva con tutti gli elementi che possono contribuire ad un miglioramento del sistema.
L'ambiente è contestualmente l'elemento di partenza e il prodotto delle attività di più soggetti economici e sociali dotati di capacità progettuale, indipendentemente dalla loro natura, nonché il luogo dove si consuma e si ridistribuisce quanto è stato prodotto o semplicemente concepito. Siamo infatti in presenza della necessità modelli inerenti alla realtà, più che disquisire su stereotipi dell’altro secolo.
La complessità delle relazioni rende costantemente mobili e continuamente reversibili i rapporti tra le organizzazioni produttive/erogative e l’ambiente, tra rapporti competitivi e rapporti collaborativi, con l’enfatizzazione dei rapporti inter-organizzativi, dove limitare i soggetti che vi possono partecipare diminuisce le possibilità di competere in un mercato globale. La realtà attuale richiede resilienza e adattamenti sia da parte dei soggetti legiferanti chiamati a rispondere alle nuove esigenze sociali, sia da parte degli altri soggetti istituzionali cui si possono affiancare in forme collaborative soggetti privati e non profit, in grado di condizionare il sistema agendo sulle attività a forte valenza sociale.
Un vecchio aforisma cinese ricordava che “non è importante di che colore è il gatto, ma che sappia cacciare i topi”: in analogia, non è importante chi contribuisce al progresso sociale, ma che questo progredisca con continuità. Nella dialettica tra gli attori tendono, di conseguenza, ad attrarre sempre maggiore attenzione le performances in termini di efficienza, di innovazione, di disponibilità finanziarie, di capacità di governo della complessità, dove un minor grado di verticalizzazione e una maggiore competizione hanno reso cruciale il ruolo organizzativo/gestionale.
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