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Piemonte, case popolari: troppe richieste, è un terno al lotto

di Pasquale Fedele


Dal rapporto Ires Piemonte "Le case popolari in Piemonte. Report per il consiglio regionale del Piemonte 2021", si ricava che nella regione ci sono 52.000 alloggi di edilizia popolare e che ogni anno si liberano mediamente 1.500 alloggi, per motivi diversi quali, ad esempio, permanenza elevata di locatari, bisogni manutentivi e scarsezza di risorse. Sempre dallo stesso rapporto emerge che nel 2020 c'erano 16.000 famiglie a livello regionale che, pur avendo fatto domanda per la casa popolare, e quindi inseriti in graduatoria, non hanno potuto avere la casa e ciò non solo per i motivi sopra elencati, ma anche perché manca la materia prima, appunto le abitazioni.

Questa mancanza di risposte, porta alla sfiducia. Da un rapporto del 2022 della Città metropolitana di Torino e della Regione Piemonte, dal titolo "Le questioni aperte intorno alla casa sociale: considerazioni su un campione di comuni della città metropolitana di Torino", a cura di Stefania Falletti e Laura Schutt Scupolito, emerge che nei bandi di Edilizia pubblica tra il 2013 e il 2018 della città metropolitana di Torino c'è stata una diminuzione delle domande. Per esempio a Torino in quel lasso di tempo, le domande presentate al primo bando erano di 7.648 e invece al secondo bando erano di 4.477 con una diminuzione del 41,5%.

Ritornando al dato delle 16.000 famiglie in graduatoria, se anche annualmente venissero resi disponibili più alloggi dei circa 1500 che si rendono liberi, rimane il fatto che ci sono poche case popolari per soddisfare la richiesta. Il tutto si deve collegare al fatto che la domanda di casa popolare è destinata ad aumentare. Solo a Torino la recente pubblicazione del rapporto Caritas ci dice che il 61% dei nuovi indigenti ha meno di 25 anni. E ancora, a livello nazionale, dal rapporto annuale Istat 2025, emerge che il 23% delle famiglie italiane è a rischio povertà, più della media Europea.

Forse occorrerebbe pensare di costruire più case popolari e certamente non è col decentramento amministrativo e il rafforzamento dell'autonomia delle Regioni che si può risolvere il problema. Le Regioni già devono spendere cospicue risorse per i servizi sanitari, per il dissesto idrogeologico, per l'istruzione, i trasporti, l'edilizia pubblica, eccetera, e faticano a riuscire a rispondere a tutti i bisogni dei loro territori: oltre che per le domande di case popolari, lo si vede ad esempio per la questione sanitaria.

Di recente la Regione Piemonte ha investito, riportano le cronache, 1,4 milioni di euro per 54 alloggi; un supplemento di risorse permetterà di portare a 90 le abitazioni disponibili. Ma si tratta, e lo scriviamo con intento propositivo, estranei a qualunque forma di svalutazione dell'iniziativa della Giunta Cirio, di un intervento minimo rispetto all'imponenza della domanda, a cifre che confermano anche la necessità di rivedere il ruolo delle Regioni rispetto all'erogazione di servizi che rispondono a diritti costituzionalmente fondamentali, dal diritto alla casa, appunto, al diritto alla salute, peraltro tra loro strettamente correlati.

Ma a fronte dei dati sopra descritti che evidenziano difficoltà ad erogare servizi fondamentali, con l'attuale sistema di decentramento amministrativo, di contro continuano a venire avanzate leggi e proposte per aumentare l'autonomia e, peggio ancora, per privatizzare. Lo si vede ad esempio nel settore sanitario, ma lo si vede anche nel settore dell'edilizia pubblica.

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