Obesità e magrezza viste dalla genetica
di Giuseppina Viberti e Germana Zollesi
Da decenni l’aumento di peso fino alla vera e propria obesità rappresentano un problema di salute e sociale che grava pesantemente e in modo crescente sui sistemi sanitari e sull’economa mondiale. Ma, in passato la questione si poneva in termini decisamente diversi. Se prendiamo la raffigurazione femminile nel corso dei secoli (un esempio per tutti: La venere del Botticelli) è sempre stata rappresentata in forme prosperose, e non poteva essere diversamente in quanto per secoli le classi agiate si distinguevano per potersi cibare in abbondanza e l’essere sovrappeso diventava uno status simbol.
La domanda principe degli obesi: ma si può dimagrire evitando dieta ed esercizio?
La perdita di peso clinicamente significativa (>5%) ha mostrato miglioramenti nei marcatori della salute metabolica, una riduzione dei rischi per la salute e delle comorbilità; pertanto, le linee guida cliniche sostengono che questi individui dovrebbero impegnarsi in modi attivo a ridurre il peso corporeo.
È ormai riconosciuto da tutti gli studiosi del settore, che l’attività fisica può contribuire alla perdita di peso e ridurre alcuni degli effetti negativi dell’obesità, ma ci sono molte barriere individuali alla decisione di fare movimento (non solo sport impegnativi, ma anche solo camminare a passo veloce per 30 minuti al giorno).
La perdita di peso avviene quando il corpo è in deficit energetico, sia a causa di un ridotto apporto energetico alimentare, sia a causa di un aumento della spesa energetica, o di entrambi. Creare un deficit energetico attraverso un aumento della spesa energetica, sotto forma di attività fisica, ha anche benefici psicologici che non sono correlati direttamente alla perdita di peso (miglioramento dell’umore e del sonno, benessere individuale, ecc.).
Correlazione fra genetica e risposta del corpo all’allenamento
Un recente studio[1] ha esaminato come i geni influenzino le risposte del corpo all’allenamento fisico, in particolare i cambiamenti nella massa corporea in seguito a un programma di corsa di 8 settimane. I risultati hanno indicato che la perdita di peso è stata significativa nel gruppo che faceva esercizio rispetto al gruppo di controllo che non ha seguito il programma.
Il dato più interessante riguarda però il ruolo dei genotipi nel determinare questa variazione: l’analisi genetica ha infatti identificato 17 polimorfismi a singolo nucleotide (SNP) associati ai cambiamenti nella massa corporea in risposta all’allenamento.
Questo risultato suggerisce che l’influenza genetica sulla perdita di peso e sull’adattamento all’esercizio varia da persona a persona; ciò potrebbe spiegare perché alcuni individui rispondano meglio a programmi di esercizio rispetto ad altri. Il profilo genetico potrebbe, dunque, in futuro, essere utilizzato per personalizzare gli interventi di perdita di peso e i programmi di esercizio.
Rispetto alla domanda iniziale: se si possono evitare dieta ed esercizio grazie ai geni della magrezza, lo studio non supporta questa possibilità.
Anche se esistono differenze genetiche nella risposta all’esercizio, lo stile di vita, in particolare l’esercizio fisico, rimane un fattore cruciale nel controllo del peso. La genetica gioca un ruolo importante, ma non è sufficiente da sola a garantire il mantenimento o la perdita di peso senza intervenire su alimentazione e attività fisica.
Il legame tra genetica e adattamento all’esercizio è un campo promettente della ricerca e potrebbe portare a scoperte che aiutino a migliorare la personalizzazione degli interventi sanitari, ma al momento, i cambiamenti nello stile di vita restano fondamentali. Inoltre i costi molto elevati delle indagini genetiche, non consentono una loro applicazione su ampia scala ma potrebbero dimostrarsi utili in casi selezionati di grandi obesi.
Essere belli a tutti i costi
Il successo delle cure alla persona e della medicina estetica è da ricercarsi nel livello di ricchezza raggiunto dalla popolazione: appena le condizioni lo permettono, in qualsiasi civiltà, la possibilità di migliorare il proprio aspetto fisico, diventa un business di primissimo rilievo. Dall’Antico Egitto, passando per la civiltà greco-romana (Critone, il medico personale dell’imperatore Traiano fu l’autore di un’opera in quattro libri intitolata: “Cosmetici”) e richiamando anche l’arte di truccare il corpo perfezionatasi in molte civiltà precolombiane, l’uomo si è sempre angustiato nel cercare di modificare il suo aspetto, usando letteralmente di tutto. Forse il paziente non si sentiva meglio, ma sicuramente “si vedeva” di più bell’aspetto.
Bisanzio rappresentò l’apice di questa tendenza, tant’è che si può affermare che, mentre i musulmani stavano già abbattendo le mura di Costantinopoli, non solo si continuava a dibattere sul sesso degli angeli, ma molti dovevano essere quelli che continuavano ad incipriarsi (in termini di PIL si spendeva di più nell’Impero Romano d’Oriente che non nelle nostre società). Non stava meglio l’Occidente dove si confinava spesso nell'alchimia o nel gusto dell'esoterico tant’è che l’alchimia fu proibita da Papa Giovanni XXII, con bolla papale nel 1317 (provvedimento analogo nei contenuti, fu adottato dal Consiglio dei dieci a Venezia nel 1488).
La ricerca, per non dire l’ossessione, di apparire belli ha accompagnato la storia dell’umanità ed ha permesso di raggiungere non solo risultati voluttuari, ma importanti progressi clinici, come dimostrano gli sviluppi delle scienze dermatologiche: gli studi riconducibili alla farmacologia hanno permesso di affrontare sperimentalmente alcuni casi patologici, superando definitivamente la paura e la superstizione legata alla presenza di malattie (le malattie della pelle sono quelle più appariscenti e che generano di conseguenza, le paure e le superstizioni più disparate). Oggi la vanità dell’uomo porta ancora a permettere tante forme di commercio, alcune salutari, altre meno; per questo è fondamentale che le scienze impegnate nel settore definiscano rigidamente ciò che è utile da ciò che può addirittura risultare dannoso, se non adoperato in forme corrette.
Note
1) Fonti: Research Quarterly for Exercise and Sport, 1–11. https://doi.org/10.1080/02701367.2024.2404981
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