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Nuove varianti Covid-19: Ema consiglia quarta dose di vaccino

di Giuseppina Viberti e Germana Zollesi |


La pandemia non finisce per “decreto”, anche se ciò può illudere, in Italia come in Europa (mentre Shangai è di nuovo in lockdown), di essere nuovamente liberi e che la fine dello stato di emergenza rappresenti la fine di un incubo. Purtroppo la situazione è più complessa. I media coinvolti nel raccontare la terribile guerra in Ucraina, parlano sempre meno della situazione pandemica, interpretando, forse, il sentimento della gente che dopo due anni non ne vuole più sentire parlare. Solo occasionalmente viene presentata qualche tabella con qualche numero (ricoverati, deceduti e tasso di positività), senza però presentare confronti o trend che ne evidenziano l’andamento. Intanto, in una sua nota diffusa oggi, 6 aprile 2022, l’Ema (l’Agenzia Europea del farmaco) ha invitato i governi a considerare il ricorso ad una quarta dose di vaccino per la popolazione (https://www.ema.europa.eu/en/news/ecdc-ema-issue-advice-fourth-doses-mrna-covid-19-vaccines).

Nel Regno Unito è stata rilevata una nuova variante denominata Xe che rappresenta la combinazione dei ceppi BA.1 e BA.2 che la UK Health Security Agency (Ukhsca) sta monitorando. Da metà gennaio sono circa 600 casi; i primi dati indicano che questa “variante mix” ha un vantaggio di crescita di circa il 10% rispetto a BA.2 ma è ancora presto per affermare che è più contagiosa (per l’OMS è considerata una variante appartenente alla famiglia Omicron). La nuova variabile Xe e l’atteggiamento britannico

I dati raccolti in UK inducono a pensare che la variante Xe sia più contagiosa ma non causi sintomi più gravi: le persone che però hanno ricevuto solo due dosi di vaccino sono praticamente da considerare come “non vaccinate” verso questa nuova variante. Nonostante questi dati, il Regno Unito fa finta che tutto sia finito e rischia di diventare un luogo abituale per la nascita di nuove varianti, mettendo in pericolo tutti i paesi con cui intrattiene relazioni. Statisticamente le mutazioni virali si sviluppano con più facilità dove ci sono pochi vaccinati oppure dove non si applicano rigide precauzioni. Il contrastare questi trend giustificherebbe, già di per se, il mantenere le prescrizioni (il cui allentamento sta producendo un’anomala ondata d’influenza primaverile) e il continuare le campagne vaccinali in tutto il Mondo (così come prevedono gli accordi fra Europa e Unione Africana). Il virus per evolvere e continuare il suo ciclo vitale deve superare le barriere (vaccini e protezioni) che l’uomo gli costruisce intorno, imparando a diventare sempre più contagioso. Questi semplici meccanismi, conosciuti da decenni, sono alla base del processo evolutivo dei virus. Se la variante Xe dovesse diventare prevalente anche in Italia, allora la fase Omicron potrebbe prolungarsi mantenendo alto il contagio. Se invece la nuova variante non diventerà prevalente, vuol dire che non è una “variante di successo” e quindi la situazione epidemiologica potrebbe migliorare. Negli ultimi tre mesi i contagi sono stati tutti da Omicron; le persone contagiate da BA.1 difficilmente si contageranno con BA.2; c’è però la possibilità di ricontagio per le persone che si sono ammalate con le precedenti varianti: gran parte della popolazione è venuta in contatto con Omicron e la vicinanza dell’estate potrebbe momentaneamente alleggerire la situazione (una pausa prima dell’autunno). Gli ospedali per ora non sono ancora sotto pressione per i ricoveri ma sono in difficoltà con il personale contagiato con Omicron che, pur vaccinato con tre dosi, presenta sintomi simil-influenzali o addirittura una lieve rinite: ciò però comporta una quarantena da 7 a 10 giorni, fino ad un risultato negativo del tampone. A ciò si aggiunge la carenza di personale in vari settori dell’attività ospedaliera causata dalla sospensione dei lavoratori non vaccinati, almeno fino a metà giugno ma forse fino a fine anno. Quali misure per non ricadere nel baratro?

È ormai accertato che le tre dosi del vaccino a mRNA sono fondamentali per evitare la malattia grave o il ricovero ma non risulta sufficiente nell’impedire il contagio; inoltre con il passare dei mesi dalla somministrazione della terza dose, la protezione si riduce progressivamente. Non si è ancora definita con precisione la curva di abbattimento che indichi dopo quanti mesi (dopo 4, 5?) ci sia la riduzione dell’efficacia del vaccino e quale ruolo possa esercitare l’immunità cellulare che permane come memoria immunologica nei linfociti dei soggetti vaccinati nella protezione a lungo termine. Il virus attuale è sostanzialmente diverso dal virus originario di Whuan e i vaccini devono di conseguenza essere riformulati per le nuove varianti. E’ un processo di ingegneria genetica al quale le ditte farmaceutiche stanno lavorando per arrivare all’autunno con un vaccino rinnovato, conforme alle nuove esigenze. Se non vi sono dubbi sui vantaggi di somministrare la quarta dose ai pazienti gravemente immunodepressi per evitare pericolose conseguenze (trasformando il vaccino in una cura), i dubbi sorgono se è il caso di vaccinare ancora tutti gli over 50 con questo vaccino, considerate le rapide trasformazioni del virus. I Ministri della Salute Europei finalmente dovrebbero incontrarsi per prendere una decisione comune: non è infatti accettabile che ogni Paese decida autonomamente, in un sistema non più demarcato dalle frontiere, dentro cui ci si può muoversi liberamente. Questi ritardi offrono spazio a chi avanza il sospetto che certe soluzioni sono ispirate anche dal dover smaltire ingenti quantità di vaccini acquisite prudenzialmente nei momenti di massima tensione. Un certo mondo di fare politica vuole attribuirsi il merito di aver superato la crisi, sperando in un blocco dell’evoluzione del virus che permetta la ripresa delle normali attività e rinunciando ad un’azione programmatoria che tenga conto dei cambiamenti irreversibili che la pandemia ha generato. Gioverebbe sicuramente accrescere il livello di trasparenza nel fornire i dati sulla gestione (e sui costi) dell’organizzazione predisposta per affrontare la pandemia, in modo da non fornire scusanti a chi sottende possibili sprechi, per evitare di vaccinarsi. L’utilizzo razionale delle risorse presenta inoltre un imprescindibile risvolto etico, se si pensa alle necessità dei Paesi del terzo mondo ancora ampiamente scoperti, nonostante gli accordi già sottoscritti). In base alle conoscenze disponibili oggi, risulta quanto mai opportuno completare il ciclo vaccinale con tre dosi, usare le mascherine al chiuso e all’aperto in presenza di assembramenti, lavarsi le mani ed essere consapevoli che la fine “amministrativa” della pandemia non rappresenta la fine “clinica ed epidemiologica” della malattia. Il ritorno alla piena capienza degli stadi e la ripresa dei concerti costituiscono un indubbio segno di ripresa, in grado di ridare fiducia al martoriato umore della popolazione, con un innegabile impatto sul PIL, ma occorrerà monitorare con grande attenzione e professionalità gli andamenti epidemiologici per non rischiare bruschi ritorni al passato.

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