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Nei luoghi storici del confine orientale: la Risiera di San Sabba/2

di Marco Travaglini|

A Trieste, tra il colle di Servola e quello di San Pantaleone, si trova la Risiera di San Sabba, unico esempio di lager nazista in Italia. Già all’entrata s’avverte, incombente e greve, il “peso” della vicenda consumatasi tra le mura del grande complesso di edifici dello stabilimento per la pilatura del riso, costruito nel 1898. Campo di prigionia provvisorio per i militari italiani catturati dopo l’8 settembre 1943, poi centro di smistamento dei deportati in Germania e in Polonia, in seguito luogo di eliminazione di ostaggi, partigiani, detenuti politici, ebrei. La Risiera dal 1965 è monumento nazionale e, dieci anni dopo, venne ristrutturata diventando Civico Museo. Il lager italiano, tra torture, esecuzioni e deportazioni

Nel primo stanzone posto alla sinistra, prima di entrare nel cortile e dopo aver attraversato lo stretto e inquietante “budello” tra le mura di cemento alte undici metri, s’incontrano la “cella della morte” e le diciassette piccole celle in ciascuna delle quali venivano ristretti fino a sei prigionieri. Erano luoghi di detenzione riservati a partigiani, politici e ebrei destinati all’esecuzione. Le prime due venivano usate per la tortura o la raccolta di materiale prelevato ai prigionieri; vi sono stati rinvenuti, fra l’altro, migliaia di documenti d’identità, sequestrati non solo a detenuti e deportati, ma anche ai lavoratori inviati al lavoro coatto. Quasi tutti i documenti, prelevati dalle truppe jugoslave che per prime entrarono nella Risiera dopo la fuga dei tedeschi, furono trasferiti a Lubiana, dove sono attualmente conservati presso l’Archivio della Repubblica di Slovenia. Le porte e le pareti dei locali della Risiera erano ricoperte di graffiti e scritte. L’occupazione dello stabilimento da parte delle truppe alleate, la successiva trasformazione in campo di raccolta di profughi, sia italiani che stranieri, l’umidità, la polvere, l’incuria degli uomini hanno in gran parte fatto sparire graffiti e scritte. Ne restano a testimonianza i diari dello studioso e collezionista Diego de Henriquez, conservati nel Civico Museo di guerra per la pace a lui intitolato, che ha sede al 22 di via Cumano, a Trieste. I diari di Diego de Henriquez

Nei diari è stata riportata l’accurata trascrizione delle scritte, offrendo una testimonianza drammatica di quanto accadde tra le mura della Risiera. Nel successivo edificio a quattro piani venivano rinchiusi, in ampie camerate, gli ebrei e i prigionieri civili e militari destinati per lo più alla deportazione in Germania: uomini e donne di tutte le età e bambini anche di pochi mesi. Da Trieste venivano inviati a Dachau, Auschwitz, Mauthausen, verso un tragico destino che solo pochi poterono evitare. Nel cortile interno, proprio di fronte all’area contrassegnata dalla piastra metallica (dove si pensava sorgesse l’edificio destinato alle eliminazioni) si trovava il forno crematorio. L’impianto era interrato. Sull’impronta metallica della ciminiera sorge oggi una simbolica Pietà costituita da tre profilati metallici a segno della spirale di fumo che usciva dal camino. La struttura del forno crematorio venne distrutta con la dinamite dai nazisti in fuga, nella notte tra il 29 e il 30 aprile 1945, per eliminare le prove dei loro crimini, secondo la prassi seguita in altri campi al momento del loro abbandono. Tra le macerie furono rinvenute ossa e ceneri umane raccolte in tre sacchi di carta, di quelli usati per il cemento. Calcoli effettuati sulla scorta delle testimonianze danno una cifra che oscilla tra le tre e le cinquemila persone che persero la vita tra quelle mura di mattoni rossi. Seconda puntata (continua) Il precedente articolo Nei luoghi storici del confine orientale: Trieste in https://www.laportadivetro.org/wp-content/uploads/2022/02/model_-trava-1.pdf.

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