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Morti nel cuore di un’Africa destabilizzata: l’agguato all’ambasciatore Attanasio

di Germana Tappero Merlo |

La morte del nostro ambasciatore Luca Attanasio, del nostro carabiniere Vittorio Iacovacci e del loro autista a Kanyamohoro, presso i monti del Virunga, nel nord-est della Repubblica Democratica del Congo (RDC) è stata probabilmente causata da un tentativo di rapimento. Le responsabilità verranno attribuite, forse, a milizie ruandesi, che sovente irrompono nei Paesi vicini, come Uganda, Burundi e RDC, appunto, per depredare e commettere violenze di ogni tipo sulle popolazioni locali. È la quotidianità nella regione dei Grandi Laghi africani, non a caso fra le più osservate dagli analisti di sicurezza. Tensioni continue, crescenti fra quei Paesi, stanno ponendo in seria crisi la sicurezza regionale, tanto che si ipotizza il ritorno a guerre locali, addirittura guerre per procura, che già avevano dominato quella parte di Africa nel secolo scorso e, a quanto pare, mai risolte. Lo strapotere delle milizie ribelli nel cuore del Continente nero

Le responsabilità vengono reciprocamente attribuite a milizie armate di non chiara denominazione politica, se non etnica (alcune ancora eredità delle guerre di fine anni ’90 e del 2003), ma definiti genericamente ‘ribelli’ o ‘insorti’. Vi sarebbero quindi milizie di ribelli in Ruanda, Burundi, Uganda e appunto RDC (le Nazioni Unite ne stimano, in questo paese, almeno un centinaio); ribelli tutti autori di violenze, traffici illeciti di armi, esseri umani e droghe, rapimenti e quant’altro serva per finanziarsi, che sconfinano e creano tensioni. Sarebbero il braccio armato di etnie da sempre in conflitto per il controllo di zone economicamente strategiche che trovano sponsorizzazioni nei diversi apparati politici, militari e di sicurezza di quei Paesi. Si combatte per il controllo di acqua, terreni per la pastorizia, del commercio sui corsi fluviali, ma soprattutto si tratta dello sfruttamento, anche illecito, delle miniere di cui abbonda soprattutto quella regione della RDC, testimone dell’agguato al nostro ambasciatore.

I tentativi diplomatici da parte dei più volenterosi politici locali per porre un freno a quella violenza, sono sporadici, lacunosi e privi di sostegno internazionale adeguato: soprattutto quelli avviati dal presidente congolese Félix Tshisekedi non hanno trovato sponda sufficiente in nazioni come Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna, più addentro alle questioni di quei Paesi. Al contrario, invettive e minacce di ricorrere alle armi hanno avuto più successo, soprattutto se ad animare lo scontro è lo stesso presidente ruandese Paul Kagame, che più volte ha minacciato azioni armate contro i suoi vicini responsabili di destabilizzare la regione. Il risultato è stato quello di annullare gli sforzi dell’Unione Africana e dell’Onu (che da anni sostiene una forza di peacekeeping in zona dai costi esorbitanti e dai risultati scarsi) nel tentare di mediare fra quei contendenti. A riemergere e ad imporsi, quindi, paiono essere sempre i mali endemici della politica africana, come il suo accentramento in mano a pochi privilegiati, una cattiva gestione delle ricchezze, una marginalizzazione politica e sociale di ampie fette di popolazione. Un terreno fertile per l’altra grave realtà che si va imponendo nel continente, quella dell’estremismo armato di stampo jihadista. La penetrazione dello jihadismo

In particolare sembra prendere piede l’organizzazione dello Stato Islamico per l’Africa Centrale che conta gruppi affiliati anche nel RDC e in Uganda, e responsabile di attacchi e stragi (soprattutto di cristiani) in molti villaggi di quella regione già dal 2019. Una storia di violenza, quindi, che sembra perpetuarsi senza sosta, con vecchi e nuovi soggetti protagonisti di cronache violente; e sullo sfondo un continente che, è bene ricordarlo, solo un decennio fa, godeva di maggior stabilità politica grazie a una crescita economica importante, mai registrata per quella parte di mondo. Poi la grande destabilizzazione, iniziata con il degenerare delle primavere arabe nella sua parte settentrionale, in particolare la Libia. E con un effetto domino, man mano sono cadute altre realtà, dal Mali, Nigeria e Chad, e da lì verso l’intera Africa subsahariana. La destabilizzazione ha favorito l’espandersi di milizie armate, con agganci lucrosi con la criminalità locale e quella più potente transnazionale, sino ai gruppi jihadisti. Dobbiamo sperare di scoprire chi si è reso responsabile dell’agguato all’Ambasciatore Attanasio, al nostro carabiniere Vittorio Iacovacci e al loro autista. Ma, altrettanto, è necessario prendere coscienza che quanto accade in Africa sia la vera priorità della nostra classe politica e dell’opinione pubblica nel suo complesso, perché le acque del Mediterraneo, da sole, non saranno più in grado a breve di tenerci lontani dalle piaghe di quel continente e dai loro effetti devastanti sulla stabilità e sicurezza, loro e nostra.

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