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Mezzo secolo fa vedeva la luce il regionalismo

di Marco Travaglini |

Mezzo secolo fa si svolsero le prime elezioni regionali. L’appuntamento con le urne per eleggere i cinquanta membri del “parlamentino” piemontese si tenne il 7 e 8 giugno del 1970, nel mese in cui l’Italia fremeva per le vicende della nazionale di calcio impegnata nei mondiali del Messico. Quel Mundial che avrebbe visto gli azzurri di Riva, Rivera, Mazzola, Burgnich, Facchetti giocare la semifinale contro la Germania Ovest, e vincere con quel memorabile 4 a 3 che per quella generazione rimane nel cuore come la partita del secolo. Era anche l’Italia delle bombe sui treni, dell’incipiente Strategia della Tensione che vedeva i binari a saltare in aria come fuscelli, come in quel 22 luglio, all’arrivo della Freccia del Sud, il treno Palermo-Torino, a poche centinaia di metri dalla stazione di Gioia Tauro. Un attentato, il primo di una lunga serie, che causò la morte di sei persone. Nel 1970 la piena attuazione della Carta Costituzionale

Nove i partiti in lizza sulle cui liste si riversarono i 2.805.786 voti validi, determinando la composizione del primo Consiglio regionale sulla base proporzionale della rappresentanza politica: 20 seggi alla DC, 13 al PCI, 5 al PSI, 4 al PSDI (a quel tempo PSU), 4 al PLI, 2 al MSI e infine uno ciascuno a PRI e PSIUP. Unico partito che non raggiunse il quorum per eleggere un consigliere fu quello del PDIUM, il Partito democratico italiano di unità monarchica. La vicenda regionale – per il Piemonte come per tutte le altre realtà consimili a statuto ordinario – conobbe una gestazione molto laboriosa e non facile. Ci vollero più vent’anni perché la Carta Costituzionale venisse attuata in quella parte. La Costituzione, entrata in vigore nel gennaio del 1948, sottolineava il regionalismo come importante principio immaginando che l’unità della Repubblica poteva essere consolidata solo da una pluralità di autonomie locali (art. 5). Lo stesso art. 131 aveva indicato il Piemonte come la prima delle venti Regioni. Un primato con radici e significati storici profondi, poiché se da una parte era stato proprio il Piemonte monarchico, nei primi anni dell’unificazione e ancora prima del trasferimento della capitale, a opporsi ai primi progetti di regionalizzazione, dall’altra emergeva potente il segno innovativo dei valori della Liberazione e della democrazia riconquistata, compresa quell’idea di federalismo “alpino” rivendicata nella Carta di Chivasso. Il 13 luglio 1970 l’insediamento del “parlamentino” piemontese

Il nuovo organismo elettivo si riunì per la prima volta poco più di un mese dopo, il 13 luglio 1970 e alla cerimonia di insediamento presenziarono le più alte autorità politiche locali e i rappresentanti del Governo in Piemonte. Nella stessa seduta si procedette all’elezione dell’Ufficio di Presidenza che, nella sua composizione iniziale, elesse alla sua guida il socialista Paolo Vittorelli e venne formato dai Vicepresidenti il democristiano Gianni Oberto Tarena e il comunista Dino Sanlorenzo, dai segretari Stanislao Menozzi per la Dc e Cesare Rota per il partito liberale. Dieci giorni più tardi, il 23 luglio, il Consiglio procedette all’elezione del primo Governo regionale composto dal Presidente Edoardo Calleri di Sala (DC) e da altri 15 membri: 11 effettivi (Giovanni Falco, Angelo Armella, Augusto Dotti, Domenico Conti, Pierino Franzi e Carlo Borando della DC, Aldo Viglione e Mario Fonio del PSI, Germano Benzi e Giulio Cardinali del PSDI (ex PSU) e Aldo Gandolfi del PRI) e 4 supplenti (Anna Maria Vietti, Ettore Paganelli, Enzo Garabello e Mauro Chiabrando, tutti della DC). Iniziava così la prima legislatura regionale (che si concluse il 31 luglio del ‘75), divisa in due momenti: la fase costituente dedicata all’elaborazione dello Statuto e alle osservazioni presentate al Governo in merito alle competenze che lo Stato doveva trasferire alle Regioni e il periodo di gestione delle competenze tra­sferite dallo Stato.

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