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Lockdown a Zhengzhou: tra covid, proteste e comportamenti in Occidente

Aggiornamento: 28 nov 2022


di Giuseppina Viberti e Germana Zollesi


Le implicazioni socioeconomiche, e forse anche filosofiche, che hanno accompagnato la diffusione del coronavirus sono ben lungi dall’essersi esaurite, per cui diventa quanto mai importante continuare a studiarle ed analizzarle. Se dal punto di vista medico, le possibilità di cura sono enormemente accresciute in un lasso relativamente breve, testimoniando come la scienza è in grado di reagire ad eventi imprevisti, non così può dirsi per gli infetti indotti che questo ha generato sul sistema sociale nel suo complesso.



La pandemia non si blocca per decreto

Ci troviamo al bivio: se convivere con la Covid, come se fosse una fastidiosa influenza, o continuare ad adottare misure drastiche di isolamento come quelle attuate a Zhengzhou in Cina. Ma, prima ancora, si deve individuare chi è chiamato a studiare e a decidere sul fenomeno. Non a caso, anche nella fase più virulenta della pandemia, la satira aveva evidenziato come in tutti i paesi occidentali, gran parte della popolazione si sia scoperta virologa ed immunologa! Slancio di interesse che non va sprecato per continuare ad informare sui rapidi miglioramenti messi in atto nei processi di cura, ma anche per capire come una società si possa e si debba organizzare di fronte a questa o altre patologie che investono tutta la collettività.

Oggi che la pandemia sembra finita, più per volontà politica che per regressione degli indici epidemiologici, l’analisi si può spostare sulle difficoltà a gestire fenomeni di massa in cui è necessario coinvolgere gran parte della popolazione. Le esperienze cinesi, da Shangai, Zhengzhou e addirittura anche a Wuhan, testimoniano come non siano sufficienti i carri armati per imporre il lockdown se questo non viene condiviso dalla popolazione. E gli operai delle fabbriche che producono gli smartphone della Apple, che cercano lo scontro fisico con le truppe impegnate nel mantenere l’ordine, non sono certo il miglior modo per rallentare il contagio.


Le vaccinazioni sono una fondamentale copertura

I dati che vengono divulgati il venerdì indicano una lenta ripresa dei contagi covid accompagnata dall’epidemia influenzale. Ormai anche nei centri commerciali affollati per il “fatidico black friday” (che dura però una settimana) si osserva un numero molto limitato di persone con la mascherina; nell’immaginario collettivo il peggio è passato e ora si può riprendere la vita normale. Ma ne siamo certi?

Non esiste ad oggi un piano nazionale di preparazione all’eventuale ripresa della covid 19 (denominata preparedness) e la vaccinazione anti covid e influenza procede non senza difficoltà. Molte persone di tutte le età dichiarano che dopo 3 vaccinazioni non pensano di fare la 4a dose e men che meno la 5a anti covid “tanto non serve perché ti puoi ammalare lo stesso” ed è molto difficile se non impossibile convincerli che solo il vaccino ci ha protetti da drammi ben peggiori (la mortalità, tra gli over 60 che non si vaccinano, è 3 tre volte superiore). Per il vaccino anti influenzale ogni anno si ripete la stessa situazione con molte persone che dichiarano che “tanto io non mi ammalo e se la prendo sto a casa una settimana ed è tutto risolto” senza pensare al pericolo che fanno correre ai propri famigliare anziani e al danno economico causato dai giorni di assenza dal lavoro: tutte situazioni evitabili attuando le misure preventive.


Scelte tattiche o strategiche?

Ovviamente nelle nostre realtà non si possono neanche ipotizzare le azioni perpetrate in Cina, sia perché contrarie al nostro modo d’intendere la società, sia perché oggettivamente inefficaci già nel gigante asiatico. Bisogna però approfittare di questo periodo per ragionare sui provvedimenti da adottare nel caso in cui il virus non abbia imboccato la strada di una definitiva regressione, ma si trovi solo in una fase “dormiente” e che in qualche parte del mondo, laddove sporcizia e povertà dominano incontrastate, si stia velocemente evolvendo. Il dubbio perché tanta severità dei cinesi rimane però un serio un interrogativo nell'impossibilità di avere di informazioni esaustive sulla reale situazione in loco.

In Occidente, ad essere messi in discussione non sono solo più i vaccini e i test di massa, in quanto violerebbero una presunta tutela della privacy o qualche altro cavillo che, messo a confronto con il rischio di una potenziale riesplosione della pandemia non sembrano determinanti, eppure riescono a condizionare il decisore politico, molto di più delle indagini epidemiologiche.

La rapida produzione di vaccini su larga scala ha permesso di stemperare gli effetti drammatici della pandemia ma oggi occorre predisporre altri strumenti perché, passata la paura, una parte sempre maggiore di persone non aderisce alle campagne per la quarta o quinta dose (aumentando così gli spazi per i diffondersi di nuove ondate pandemiche), ma anche perché si stanno predisponendo nuovi approcci che prevedono l’uso di farmaci che non hanno più il virus come bersaglio, ma si concentrano sulle proteine delle cellule che supportano l’infezione. Trattasi di molecole con una potenziale capacità antivirale, in grado di contrastare con efficacia alcune patologie. Bisognerà però vedere come le nuove conoscenze verranno accettate ed attuate nella nostra società sempre più condizionata dall’emotività dove le scienze mediche che, se non riusciranno ad esprimersi in forme più autorevoli e razionali, rischiano di assumere un ruolo marginale.


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