Livorno 21 gennaio 1921, nasce il Pcd’I – Ma la “rivoluzione promessa” è pr
di Marco Albeltaro |
Un secolo fa si registrava a Livorno la grande e storica lacerazione all’interno del movimento socialista italiano. A Livorno, in coda al XVII Congresso del Partito socialista nasceva il Pcd’I, il partito comunista d’Italia. Dopo mesi di polemiche feroci, destinate a lasciare inimicizie mai più ricomposte e odi personali, prendeva corpo in maniera irreversibile la scissione tra la maggioranza riformista e l’ala massimalista. Cento anni dopo, ripercorriamo le vicende di un partito che ha attraversato da protagonista il Novecento. Terza puntata: la sinistra si divide, di mentre il fascismo di Benito Mussolini parte all’arrembaggio per la presa del potere.
Il Partito Comunista d’Italia, nato il 21 gennaio 1921, era stato fondato per fare la rivoluzione e, invece, si ritrovò a dover fronteggiare il fascismo. Sembra un paradosso, ma i fatti andarono proprio così. Quando a Livorno si era riunito il XVII Congresso del Partito Socialista Italiano, le lacerazioni al suo interno fra riformisti e massimalisti erano ormai al livello più alto. I massimalisti, ossia i rivoluzionari, ritenevano infatti, sulla scia delle interpretazioni dell’Internazionale Comunista, che la rivoluzione europea fosse alle porte e che, quindi, ogni singolo paese dovesse dotarsi di un proprio partito comunista nazionale, ciascuno inteso come “sezione dell’Internazionale Comunista”, al fine di trovarsi pronto e di essere in grado di mettersi alla testa del moto rivoluzionario. Di questa corrente all’interno del PSI facevano parte, fra agli altri, oltre a quello che sarebbe stato il primo segretario del PCd’I, Amadeo Bordiga, figure come Antonio Gramsci, Umberto Terracini, Palmiro Togliatti, soltanto per citare nomi che al lettore di oggi possono suonare nelle orecchie. Loro furono gli artifici della scissione e della nascita del nuovo partito.
Quel partito era nato, quindi, sulla scia di un’interpretazione dello svolgimento storico non esattamente congruente con la realtà, ma ciò non gli impedì, in particolare grazie al cambio di direzione fra l’estremista Bordiga (direttore de Il Soviet, una rivista fondata a Napoli) e il più realista Gramsci, di affrontare con forza e determinazione, gli anni successivi. Nel 1922, infatti, la presa del potere da parte di Mussolini con la Marcia su Roma, cambiò radicalmente lo scenario italiano, mettendo il PCd’I e le altre forze antifasciste di fronte ad una situazione inedita: il processo di costruzione di una dittatura che si sarebbe completato di lì a pochi anni, nel 1926, con la messa fuori legge di tutte le organizzazioni antifasciste e con l’arresto di moltissimi militanti (fra cui Antonio Gramsci, che dal carcere uscirà soltanto per morire).
Un partito, quindi, costretto a mutare inmediatamente la propria identità e fisionomia, consegnandosi alla clandestinità. Perché il Pcd’I fu a lungo, negli anni drammatici della dittatura fascista, l’unico partito a mantenere una presenza, sebbene esigua, in Italia. I suoi militanti e dirigenti, incarcerati o al confino, continuarono a studiare e a prepararsi per la caduta del regime, provando a mantenere i contatti con la ridottissima struttura clandestina sparagliata per il paese. Lo fecero con dedizione e con sacrificio, trovandosi pronti, all’indomani della caduta di Mussolini, per organizzare il movimento partigiano di resistenza, riconnettendosi con il popolo e gettando le basi per divenire un partito di massa.
Quel partito di avanguardia divenne così il più grande partito comunista dell’Occidente capitalistico, trasformandosi in uno degli attori principali della democrazia italiana, pur essendo stato al governo sostanzialmente l’espace d’un matin. Il suo contributo ai governi di unità antifascista e poi alla Costituente, riuscì a imprimere alla costruzione della democrazia un segno progressivo, consentendo la permeabilità delle istituzioni alle istanze delle classi lavoratrici e della classi subalterne, elaborando, col trascorrere del tempo, una via autonoma alla costruzione del socialismo rispetto a quella sovietica.
(3/Continua)
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