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Libia in fiamme: Italia se ci sei batti un colpo!

Aggiornamento: 23 nov 2023

di Germana Tappero Merlo

Il dossier Libia pesa. Pesa sempre di più per il nostro Paese. Non è solo per la vicinanza geografica, gli interessi energetici in ballo e il controllo dell’immigrazione clandestina. È perché il conflitto si è fatto più pesante, in continua, frenetica evoluzione, tanto da rischiare di diventare una “Siria nordafricana”. E se la comunità internazionale non se n’è accorta perché distratta dall’emergenza della pandemia, di fatto, il conflitto è andato appesantendosi perché più nutrito di uomini e soprattutto di mezzi. Lo scacchiere libico è sovraffollato di protagonisti, gli stessi del conflitto siriano che, però, vanno ad aggiungersi all’affollamento di quelli locali: al governo e alle forze di al-Sarraj, riconosciuto dall’Onu, e quindi dall’Italia, vanno gli aiuti della Turchia e del Qatar; ma non sono sufficienti se Tripoli continua a chiedere il supporto anche alla vicina Tunisia. Dall’altra parte, in quella orientale libica, ricca di greggio, nella Cirenaica, il gen. Haftar gode dell’appoggio di Egitto, degli Emirati Arabi, ma soprattutto della Russia. Anche se a parole tutti costoro sono favorevoli a negoziati, di fatto e nemmeno tanto a basso profilo, tutti, nessuno escluso, sono impegnati a rifornire di nuove forze le due fazioni. Dietro al-Sarraj e Haftar lo scontro tra Turchia e Russia

Non si è mai fermato, infatti, il ponte aereo di forniture dalla Turchia verso il suo alleato al-Sarraj, dimostrando che Ankara ha il controllo se non il dominio di quei cieli, tanto da dare filo da torcere al nemico, l’invasore, il gen. Haftar. Costui, nel frattempo, vacilla, avanza od arretra, od ottiene nuove conquiste (sud di Tripoli). La Russia gli sarebbe così venuta incontro con l’invio di 8 velivoli (6 Mig29 e 2 Sukoi Su-24), partiti dal suolo russo, giunti e stanziati per rifornimento nella base russo-siriana di Hmeimim, e ripartiti con destinazione finale la base di al-Khadim, in Cirenaica. Piloti e velivoli siriani, non russi, si sarebbe affrettata a sottolineare Mosca. Una precisazione che non ha contato nulla, se non per acquistare tempo diplomaticamente, perché militarmente, di fatto, il coinvolgimento effettivo della Russia sul campo libico, con una sua base aerea nel cuore della regione, è ormai fuori discussione. Quelle stesse forze aeree russe sarebbero già state impiegate su Tripoli, supportando, fra gli altri, i contractor della Wagner a sostegno delle forze del gen. Haftar. E le stelle e strisce non stanno a guardare… Tutto ciò non poteva non infastidire Washington: defilarsi da ciò che avviene in Libia è impossibile, e una base russa in Cirenaica sarebbe un rischio per la Nato e per la sicurezza dell’intero suo fronte meridionale. E qui subentra l’alleato di sempre, la Turchia, e si comprendono così le ragioni del suo sostegno ad al-Sarraj. Al di là delle mire personali per il controllo della regione nordafricana, Erdogan ottiene il supporto statunitense perché funge da agente militare ed operativo nel contenimento di potenze esterne, come la Russia ed anche la stessa Cina (piuttosto determinata nel quadrante mediterraneo). Washington non è quindi estranea alla Libia, ma solo defilata dietro l’approvazione del piano Onu per una pacificazione di quella nazione e la salvaguardia della sicurezza del Mediterraneo, che passa attraverso la Nato. La Libia è però anche lo scacchiere in cui giocano i suoi alleati, dalla Turchia, alle monarchie del Golfo, ma anche, appunto, partner europei. Ma c’è altro ancora che si aggiunge a quell’affollato tavolo da gioco. Gli interessi di Washington puntano su Tunisi È di questi giorni un comunicato dell’Africom, il comando statunitense per l’Africa, che ribadisce la partnership militare fra Stati Uniti e Tunisia. Un’alleanza che vige da anni e prospera di esercitazioni fra forze armate e di sicurezza, e ottime relazioni strategiche. Ma le cose sono cambiate da qualche tempo anche lì, per via della vicina Libia. Alla dichiarazione statunitense sono seguite, quindi, azioni e proteste da parte di forze politiche di opposizione tunisine che temono la trasformazione del loro paese in una base di forze americane pronte ad interventi nel vicino conflitto libico, con inevitabile rischio di un coinvolgimento diretto. Anche qui, come per i Mig e Sukoi russi, è giunta immediata la smentita dell’Africom e di Washington. Ma ad osservatori ed analisti più attenti non sono sfuggiti i sorvoli di mezzi aerei statunitensi davanti alle coste libiche. È rimarcare, da parte americana, il dominio dei cieli di douhetiana memoria, ma può essere anche anticipare la presenza, invece, sul suolo tunisino di un contingente di propri soldati. Può, forse, limitarsi solo a tutto questo nel tentativo, come affermato da Mike Pompeo, di trovare una soluzione pacifica. Pesa come un macigno il dossier libico per l’Italia

Tuttavia, bisogna anche ipotizzare la degenerazione della situazione libica, con le inevitabili conseguenze per chi, come l’Italia, è veramente a poca distanza di mare da quel pandemonio di confronto fra potenze regionali e mondiali. Ecco perché il dossier libico pesa, e pesa sempre di più per il nostro Paese. Questo dinamismo internazionale, agguerrito e non privo di incognite per la nostra sicurezza, lungo le coste e all’interno della “nostra” vicina Libia stride con l’immobilismo diplomatico o peggio con le vaghe dichiarazioni al riguardo da parte del mondo politico nazionale. Di fatto, si sottolinea che si vuol essere “equidistanti” dai contendenti: affermazione che è interpretata, da tutti gli altri attori del conflitto libico, nessuno escluso, come un’ambiguità di comportamento tutta italiana. Ma ammesso che vi siano ottimi motivi per l’equidistanza, come il non voler cadere a capofitto in un conflitto che ha ormai tutte le caratteristiche di guerre infinite, proprie dell’era moderna, l’Italia dovrà pur riprendere un ruolo in un’area così strategica per i suoi interessi economici, energetici e, appunto, securitari. Se non si interviene militarmente, cosa rimane? Coraggio e ambizioni per ritrovare il perduto ruolo internazionale…

Porsi come mediatori fra le forze in guerra equivale a ribadire quel concetto di equidistanza che fino ad ora, perché forzata ed autoimposta, non ha portato a nulla, né ad un cessate il fuoco duraturo né, tantomeno, all’ambizioso obiettivo di pacificazione nella guerra in Libia. E poi la mediazione è un lavoro fino, complesso che non si improvvisa e dove, oltre alla preparazione, è necessario possedere un peso politico e diplomatico mondiale. Cosa bisogna quindi aspettarsi da questo governo verso quel conflitto e i suoi protagonisti? Difficile rispondere. Sarebbe necessario che, al di là delle retoriche dichiarazioni colme di buone intenzioni, si delineasse una visione di ciò che questo Paese vuole dalla conduzione e dalla conclusione della guerra in Libia. Ma la visione di rapporti futuri presuppone la consapevolezza di ciò che accade ora, quindi una conoscenza profonda del territorio, degli interessi e delle forze in campo, tutte, anche quelle internazionali. Ammesso che anche questa conoscenza ci sia, di certo all’Italia, da un po’ di tempo a questa parte, manca di un elemento strategico, ossia l’ambizione internazionale.

… Sempre che non ci si rifugi nel provinciale piccolo cabotaggio

Al di là della retorica ufficiale, su ogni questione domina infatti l’incapacità di esprimere proiezioni e interessi di politica internazionale che non sia il provinciale accontentarsi del piccolo cabotaggio. Anche perché, in fondo in fondo, non crediamo nemmeno noi nel possibile ruolo di rilievo che può avere questa nazione a livello mondiale. E lo si è visto nella gestione della comunicazione all’insorgere dell’emergenza per il Covid-19. È stato il più chiaro esempio di incapacità a proiettare un’immagine dell’Italia che fosse, sebbene sofferente e ferita, comunque positiva, propositiva e, soprattutto, credibile. E ci meravigliamo della minacciata chiusura delle frontiere di alcuni Stati europei ai nostri concittadini vacanzieri? Quale credibilità potremmo mai porre nel piatto di una trattativa complessa, come quella del futuro della Libia? E là è in gioco la nostra sicurezza nazionale, non la banale garanzia al nostro svago nelle notti estive a Mykonos o a Santorini.


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