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Tiziana Bonomo

Les Rencontres d’Arles: la forza della fotografia nell'età del dubbio/1

Aggiornamento: 18 lug 2023

di Tiziana Bonomo


Il festival di fotografia Les Rencontres d'Arles (precedentemente denominato Rencontres internationales de la photographie d'Arles) si tiene ogni anno, tra luglio e settembre, nella cittadina di Arles, in Provenza, nel sud della Francia. Il festival è stato fondato, nel 1970, dal fotografo Lucien Clergue, dallo scrittore Michel Tournier e dallo storico Jean-Maurice Rouquette.

Alcuni festival racchiudono in sé l’equilibrio degli elementi che ne caratterizzano la forza e il fascino di anno in anno come quello di Arles. Dal nome “Les Rencontres”, alla città, agli spazi, alla qualità e al numero delle mostre – più di 40 – il festival internazionale di Arles contribuisce ogni estate dal 1970 a trasmettere il patrimonio fotografico mondiale e a diventare il crogiolo della creazione contemporanea. Le parole della ministra della cultura francese Rima Abdul Malak ne rivendicano tutto il suo significato: “Un festival de photographie aussi emblématique que celui d’Arles, c’est enfin un miroir de la société, des questionnements et des mouvements qui la traversent : dans la diversité des voix et des sujets qu’elle relaie, la programmation 2023 s’en fait le reflet. La France, pays d’invention de la photographie, a de beaux chantiers devant elle. Croyez bien que le ministère de la Culture y sera, aux cotés des photographes et de toutes celles et ceux qui font le monde de la photographie, pleinement engagé![1] Tiziana Bonomo l'ha visitato per la Porta di Vetro. Seguiamo il suo racconto scandito su tre giornate.


Prima giornata

Ecco allora che, come capita ogni anno, mi perdo nella programmazione e non so da che parte incominciare da vera bulimica della fotografia.

Quest’anno arrivando però nella piazza della République il nome di Saul Leiter mi attira con lo stesso effetto di una mosca sul miele: pittore e fotografo, ambidestro non tiene conto di alcun limite: “spesso le fotografie come momenti importanti ma che a loro volta sono piccoli frammenti di un mondo incompiuto di immagini opposte”. Il bel palazzo dell’Archeveche è la migliore cornice per scoprire per la prima volta le sue immagini in b/n altrettanto affascinanti di quelle a colori allestite insieme ad alcuni suoi dipinti. Ecco allora che il ritratto su “gouache et aquerelle” di Inez del 1970 si affianca a quello fotografico in b/n di sei anni dopo per lasciarci avvolgere dalla magia di una differente ma pur sempre attraente seduzione.

Nello stesso spazio si è subito rapiti dal nome femminile di Agnès Varda, un’artista che come Leiter ha saputo coniugare due linguaggi artistici diversi partendo in questo caso dalla fotografia per arrivare alla cinematografia. Un vero piacere quello di andare incontro all’allestimento di “LA POINTE COURTE, DES PHOTOGRAPHIES AU FILM” per un film che da poco avevo avuto occasione di vedere sulla piattaforma Mubi. Che meraviglia rivedere a parete le fotografie dei pescatori di Sète, dei giovani attori che interpretano una coppia in crisi, il sovrapporsi di tanti dettagli di quel mondo fatto di mare, danze di paese, delle prime manifeste inquietudine di una coppia matrimoniale.

Alcuni frammenti video del film mettono in evidenza la complessa dinamica di quella nuova onda cinematografica che ha poi preso il nome di Nouvelle vague. La televisione svizzera RTS mi ha chiesto quale fotografia mi aveva colpito di più e per me è stato spontaneo rispondere quella di Philipe Noiret, come l’icona di un giovane cavaliere della corte di re Artù.

Ad Agnès Varda è stato dedicata un'altra esposizione alla Tour del Parc des Ateliers con materiale raccolto all’interno dell’archivio di Hans-Ulrich Obrist dal titolo “UN JOUR SANS VOIR UN ARBRE EST UN JOUR FOUTU (Un giorno senza vedere un albero è un dannato giorno)”. La mostra mette in luce il ruolo di Varda nel mondo dell'arte, portandoci a vedere ciò che aveva esposto alla sua prima mostra d'arte contemporanea: “les cabanes de cinéma”.

Ed è proprio una capanna a forma di serra dove crescono girasoli a dare il benvenuto alla mostra. Questa capanna viene fabbricata con la copia di un film che ha realizzato nel 1964: Le Bonheur (La Felicità). “Per me la nostalgia del cinema a 35 mm si è trasformata in voglia di riciclaggio… Costruisco capanne con le copie abbandonate dei miei film. Abbandonate perché inutilizzabili per la proiezione. Diventate capanne, case favorite del mondo immaginario.”

Tutta l’opera di questa grande artista è personale gioia, sorriso, luce: la sua fervida creatività si trasforma delicatamente in un linguaggio composto di tante parti di quel visivo di cui la fotografia ne fa parte. Ecco che la visione di una mostra si appropria della sensibilità dello spettatore affinché si possa incarnare o rigettare il significato e l’emozione che è in grado di procurare. Non è un caso ciò che lei dichiara: “È la terza capanna che costruisco. Per ognuno dei miei film, immagino una forma particolare. Il film Le Bonheur realizzato nel 1984 raccontava la storia di una coppia felice, interpretata da Jean-Claude Drouot, sua moglie e suoi figli. Amavano i picnic. Avevo girato nella regione dell’Ile-de-France pensando ai pittori impressionisti. Si sentiva un po’ di Mozart. I titoli di coda erano stati girati vicino a un campo di girasoli, questi fiori estivi simboli della felicità.” E poi si viene rapiti da “Patatutopia” che qualcuno con disprezzo ha deriso buttando lì la frase “inguardabile” le patate… ma dai!”.

Eppure la prima volta che ho visto le patate di Varda mi sono incuriosita anche per quella sua disinibita capacità di andare in giro travestita da patata. Chi potrebbe mai avvicinarsi ad un tubero così semplice fino ad arrivare al travestimento, se non fosse in grado di cogliere l’essenza semplice e naturale di ciò che è vicino a noi? Agnes Varda casualmente durante la sua esplorazione a Beauce si innamorò delle patate a forma di cuore a causa della loro forma atipica fino a diventare un’ossessione. Nel 1953 la prima fotografia e nel 2003 il film “Les Glaneurs (le spigolatrici) et la Glaneuse e Patatutopia”.

“Quand on film des moments de vie qu'on ne comprend pas on apprend à sentir des émotions que l'on ne comprend pas. L'emotion est intelligence", cioè "Quando filmiamo momenti della vita che non capiamo, impariamo a provare emozioni che non capiamo. L'emozione è intelligenza.”, dice Agnes Varda.

Nel percorso da uno spazio all’altro scopro il programma di BMW ART MAKERS che consente alla coppia di artista e curatore “Eva Nielsen e Marianne Derrien” di produrre un lavoro sperimentale “Insolare” che esplora i fenomeni climatici e geologici legati all’insolazione. Ecco un primo lavoro di ricerca sperimentale non facile da comunicare. Ciò che colpisce fino a questo punto è la qualità degli allestimenti: preziosa, curata, innovata, composta da immagini, video, installazioni. Un vero piacere per gli occhi! Ci si imbatte ancora in una mostra di un cineasta come Wim Wenders in una esposizione che volutamente vuole mettere in evidenza come l’arte visiva confluisce in un unico linguaggio che utilizza strumenti diversi: cinepresa, macchina fotografica, cellulare. Ecco allora lui stesso che dichiara: “Nel 1976 ho girato L’Ami Americain ad Amburgo con Bruno Ganz e Denis Hopper. Le polaroid erano allora l’equivalente delle foto istantanee che si realizzano oggi con gli smartphones.” Forse la qualità di alcune polaroid in esposizione non sempre è eccellente come quelle che hanno reso famoso Wenders, ma venire accolti da grandi schermi con il volto di Denis Hopper, ascoltare pezzi di film e venire rapiti dalle foto di attori e pezzi di shooting… un privilegio essere qui, ad Arles, in questo festival della fotografia!".

La giornata fugge via rapidamente riuscendo ancora a guardare l’esposizione di “Casa Susanna” una serie, forse un po' esageratamente ripetitiva di 350 fotografie degli anni '50 e '60 scoperte nel 2004 da due antiquari in un mercatino delle pulci a New York. La singolarità di questo progetto è dovuta al fatto che gli uomini che compaiono nelle immagini sono travestiti da donne e che la loro identità femminile è quella della casalinga “rispettabile”, della ragazza della porta accanto o della dama borghese. Dietro queste fotografie si nasconde, in realtà, una vasta rete sotterranea di uomini travestiti. Sono sposati, buoni padri della borghesia bianca americana, sono ingegneri, piloti di linea o funzionari delle agenzie federali. Incarnano il sogno americano. E il suo incubo. Perché l'America di quegli anni era anche quella della segregazione, razziale, sessuale e politica. È veramente la forza della fotografia che fa capire nei ritratti il desiderio incontenibile di essere “donna” e di rappresentare la “donna” nella sua versione femminile più quotidiana, il desiderio di vivere una sessualità che viene sentita primaria, naturale senza scadere in pornografia. Stupore per venire a conoscenza di questa comunità, un senso anche di tenerezza avvolto da un velo di tristezza al pensiero di quanto sia stato faticoso vivere due vite distinte per esprimere la mascolinità riconosciuta allora e l’essenza vera della propria femminilità.


Note


[1] Traduzione: Un festival di fotografia emblematico come quello di Arles è finalmente uno specchio della società, delle domande e dei movimenti che la attraversano: nella diversità di voci e soggetti che trasmette, il programma 2023 va oltre i riflessi. La Francia, paese d'invenzione della fotografia, ha davanti a sé bellissimi progetti. Il Ministero della Cultura sarà al fianco dei fotografi e di tutti coloro che compongono il mondo della fotografia, con grande impegno!)“Ecco allora che, come capita ogni anno, mi perdo nella programmazione e non so da che parte incominciare da vera bulimica della fotografia.





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