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Legge sul suicidio assistito: una brutta falsa partenza

di Marco Travaglini|


Nell’emiciclo deserto o quasi della Camera, ieri è approdata la proposta di legge sul suicidio assistito. Per una legge che gli italiani attendono da decenni (se ne cominciò a parlare insistentemente alla metà degli anni Ottanta del Novecento) non è stato un inizio dignitoso per il Parlamento. Ma per i parlamentari pare non essere più una novità, dopo la pessima figura sul ddl Zan, la legge contro l’omotransfobia. Con la raccolta delle firme per il referendum, la discussione ridotta al minimo per il numero esiguo di deputati, peraltro rinviata a febbraio, conferma il marcato e pericoloso scollamento tra il paese legale e il paese reale in tema di diritti civili.

Il 20 dicembre saranno trascorsi 15 anni esatti dalla morte di Piergiorgio Welby, arrivata alla fine di una dura battaglia per il diritto a porre fine a sofferenze che non riteneva più tollerabili. Da quei giorni in cui l’Italia si divise, così come accadde tre anni più tardi sul dramma di Eluana Englaro e sulla battaglia di suo padre Beppino per ridare dignità alla figlia dopo un grave incidente, gran parte della popolazione ha dato prova di aver maturato una maggiore sensibilità su questo delicatissimo tema. Conflitti, lacerazioni, polemiche su casi come quello di Dj Fabo e del processo a Marco Cappato che l’ha aiutato a morire (poi processato e assolto) e la vicenda dolorosa del tetraplegico a cui il Tribunale ha riconosciuto il diritto al suicidio, ma che è ancora in attesa, dimostrano l’attualità del problema e il clima di attenzione.

Lo straordinario successo della raccolta firme per il referendum sull’eutanasia ne è una prova. Nel corso degli anni non si è rimasti fermi e qualcosa si è mosso. Abbiamo finalmente la legge sul testamento biologico, che è stato un momento significativo di questo percorso. E, anche se ci sono ancora persone che legittimamente e con altrettanta pari dignità sostengono come la vita sia un bene indisponibile e che non si possa liberamente scegliere, è chiaro che dal 2006 ad oggi le cose siano cambiate. Di fronte ai gravi ritardi del Parlamento che ha continuato a rimandare la riforma necessaria, il referendum per molti è visto come l’unica possibilità per rendere l’eutanasia legale in Italia e, comunque, dibattere e scegliere su un tema rilevante a prescindere da come la si possa pensare, nel rispetto di ogni opinione. Non ha stupito nemmeno l’atteggiamento dei partiti, i dubbi, i tanti tentennamenti di alcuni e i no secchi di buona parte della destra. Una prova in più, semmai ve ne fosse stato bisogno, di come le classi politiche siano molto meno sensibili, aperte e responsabili – e la storia dei grandi referendum del passato è lì a dimostrarlo – di quanto lo siano milioni di cittadini, animati da sensibilità sociali, etiche e culturali ben più profonde e mature (e meno condizionate da calcoli di parte) di chi dovrebbe rappresentarli nelle sedi deputate a compiere scelte importanti come lo sono le assemblee legislative. Ieri sono approdati alla Camera gli otto articoli della legge sul suicidio assistito, ampiamente modificata dopo confronti e mediazioni. A costringere il Parlamento a tentare di legiferare è stata il sollecito della Corte costituzionale che per due volte ha chiesto di agire per colmare il vuoto normativo. Certo è che l’inizio non ha dissolto lo spettro di un fallimento, come è stato per il ddl Zan. Di fronte a un fallimento resterebbe in campo l’opzione referendaria che per molti, giudicando il testo molto blando e contraddittorio, sarebbe persino preferibile. Resta comunque il fatto che questo tema enormemente sensibile e per natura stessa divisivo, ha conquistato una parte del dibattito pubblico. Il fatto di aver superato il milione di firme sul quesito referendario, doppiando largamente le 500 mila necessarie, è di per se stata una notizia sulla quale riflettere anche se (come nel caso della richiesta referendaria sulla cannabis) per il momento si è parlato più della necessità di riformare il sistema di consultazione piuttosto che del merito della questione sulla quale i cittadini saranno chiamati a pronunciarsi. Non che il tema sia secondario, tutt’altro, ma ci saranno altre occasioni per dibattere se e come rendere rivedere il meccanismo referendario, la soglia delle firme, le modalità di raccolta. Per quanto concerne il merito in molti sono convinti che siano maturi i tempi in cui si debba avere la libertà di decidere sulla propria morte. Firmando la richiesta referendaria centinaia di migliaia di cittadini hanno fatto leva sulla consapevolezza che si tratta di una battaglia di civiltà e di libertà. Il testo prevede una parziale abrogazione dell’art. 579 del codice penale (omicidio del consenziente), che impedisce la realizzazione di ciò che comunemente si intende per “eutanasia attiva” (sul modello olandese o belga). Da qui discende la volontà di far riconoscere la piena libertà di autodeterminazione e di scelta della persona malata, affinché possa decidere consapevolmente di voler porre fine alle proprie sofferenze. Un primo passo di civiltà è stato compiuto grazie alla già citata approvazione della Legge 219/2017 che riconosce il valore del testamento biologico. Dalla sua entrata in vigore una persona può decidere anche per quando fosse impossibilitata a comunicare le sue scelte su quali siano i trattamenti sanitari a cui non vorrà sottoporsi, sulla volontà di interrompere trattamenti in corso e evitare accanimento terapeutico, con la garanzia di ottenere cure palliative e sedazione. Il passo successivo e ulteriore, se la legge dovesse subire un blocco o venisse snaturata, riguarderà la scelta posta al centro dell’iniziativa referendaria. Molte persone gravemente malate oggi non sono libere di scegliere fino a che punto vivere la loro condizione. Non hanno diritto all’aiuto medico alla morte volontaria, al suicidio assistito o accedere all’eutanasia come è invece possibile in Svizzera, Belgio, Olanda, Spagna, Canada e in molti degli stati che compongono gli Stati Uniti d’America. Il tempo delle decisioni è ormai maturo anche in Italia e un sussulto da parte di una nazione e di uno Stato che si professa laico dovrebbe riguardare tutti.

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