La Storia non si fermerà a Kabul
di Emanuele Davide Ruffino|
A vedere le immagini agghiaccianti dei corpi che cadevano dagli aerei decollati da Kabul, si ha l’impressione che il genere umano sia arrivato al capolinea e che la storia stia per finire. Forse non siamo più in grado di gestire il presente e ci prestiamo alle nefandezze più assurde. Non si tratta più di stabilire chi, nella fattispecie, ha sbagliato in Afghanistan, prima in Libia, in Eritrea, nello Yemen, in Nigeria, e in tanti altri posti nel mondo, ma di capire quali sono le modalità di convivenza tra i popoli e chi è legittimato a stabilirle.
Da Poitiers alle Torri gemelle di New York
Non si conosce neanche bene la data (forse il 25 ottobre 732) che due civiltà si sfidarono, non tanto per proporre visioni di sviluppo contrapposte, ma per il possesso di alcun terre.
Se tralasciamo i racconti epici, scopriamo che già prima della battaglia di Poitiers in cui Carlo Martello fermò l’avanzata araba Eudes (Oddone), il Duca della marca d’Aquitania, aveva intrattenuto amichevoli incontri e sottoscritto numerose intese con il musulmani. Fu Wālī l’arabo che ruppe l’equilibrio e tentò una sortita probabilmente per depredare la basilica di Tours, dedicata a San Martino. Nonostante i pessimi rapporti che intercorrevano tra i signori feudali (ed in particolare tra Oddone e Carlo Martello) si riuscì a organizzare, non una mobilitazione generale (lantweri, ma una semplice “bannum” (mobilitazione parziale) che però riuscì a portare sul campo di battaglia truppe da mezza Europa (per alcuni il germoglio della possibile sinergia dei popoli del vecchio continente).
Probabilmente la voglia di accaparrarsi dei tesori di Tours e le leggi dell’economia spiegano con maggior senso realistico la causa dei numerosi conflitti che si sono succeduti nel tempo, meglio delle pagine epiche, ma indubbiamente leggere le gesta cantate nelle Chansons des gestes composte in langue d’oïl dai trovieri e in langue d’oc dai trovatori, con l’apporto di tanti giullari, acquisisce un altro fascino.
Il mito dell’eroe leale e impavido che combatte gli infedeli ha però motivato le gesta di un’infinità di persone, molto più che non le elaborazioni culturali che hanno permesso di muoversi verso più elevati livelli di civiltà. Che cosa sarebbe la civiltà occidentale senza Averroè, filosofo, medico e matematico arabo, e come si sarebbe sviluppata la medicina senza il contributo di Avicenna, il persiano vissuto a cavallo tra il X e l’XI secolo considerato il “padre della medicina moderna”? E che cosa sarebbe la civiltà senza l’eroismo di Salvo D’Acquisto e dei tanti morti della Seconda guerra mondiale per ridarci la libertà e, in tempi moderni, il sacrificio dei pompieri alle Torre gemelle o dei morti per gli innumerevoli attentati terroristici subiti?
Sfide nuove e sempre più ardue per la libertà
Eroismo e razionalità sono elementi essenziali per la ricerca della libertà in tutti i tempi e chi può fruire di questa ricchezza si trova oggi a dover affrontare il dubbio amletico se ha o meno il dovere di interessarsi di chi ne è privo.
L’Occidente ha perso la sua spinta propulsiva nel tentativo di esportare il modello liberal democratico e ha perso il primato economico, vedendosi costretto a chiedere a russi e cinesi (nazioni nei cui confronti sono in atto sanzioni) di contribuire a normalizzare la situazione in Afghanistan. La sconfitta registrata a Kabul è sicuramente un drammatico colpo per gli ideali che hanno animato il nostro mondo, ma se non si riesce a capire il passato si è poi costretti a riviverlo. Le donne che hanno paura ad uscire per le vie di Kabul sono un campanello di allarme che non può non essere ascoltato. Sicuramente non si può immaginare un intervento armato, perché non solo i militari afghani non hanno voglia di combattere, ma neanche noi siamo disposti a rinunciare a un pezzetto del nostro benessere, per difendere persone che neanche conosciamo. Però non possiamo neanche rimanere indifferenti e sperare che i nuovi talebani abbiano condiviso i principi base stabiliti dai diritti umani. Lo speriamo tutti, ma se non sarà così le pastoie diplomatiche e le elaborazioni culturali attualmente non sembrano essere in grado d’individuare soluzioni.
Il fallimento di una battaglia o di una guerra non è la fine della storia, ma lo è la perdita nella speranza di far affermare la libertà in ogni sua forma e di ciò dobbiamo farci carico.
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