La semplificazione, una chimera se non si eliminano le incrostazioni del Paese
di Emanuele Davide Ruffino e Edmondo Rustico|
Periodicamente (e non solo in Italia) si pone il problema della semplificazione dei processi amministrativi gestionali ma, fino ad oggi, al di là di delle buone intenzioni (dettate da situazioni che raggiungono il ridicolo), non si è ancora fatto molto. Ora ci prova anche Mario Draghi, ex Governatore della BCE, attualmente impegnato come Presidente del Consiglio. La speranza che riesca a compiere l’improba impresa è ben presente tra i cittadini, ma gli ostacoli derivanti dagli apparati che dalla “complessificazione delle cose semplici” traggono la loro ragion d’essere, saranno difficili da scardinare.
Il penultimo testo di un Decreto Legge dedicato alla semplicazione s’intitolava: “Testo del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 (in S.O. n. 24/L alla Gazzetta Ufficiale – Serie generale – n. 178 del 16 luglio 2020), coordinato con la legge di conversione 11 settembre 2020, n. 120 (in questo stesso S.O.), recante: «Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale.». (20A04921)
L’Incipit non è incoraggiante
Andando più in là nel tempo, il DL 165/2001 “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche” che annoverava tra i suoi obiettivi immediati:
– accrescere l’efficienza delle amministrazioni in relazione a quella dei corrispondenti uffici e servizi dei Paesi dell’Unione europea, anche mediante il coordinato sviluppo di sistemi informativi pubblici;
– razionalizzare il costo del lavoro pubblico, contenendo la spesa complessiva per il personale, diretta e indiretta, entro i vincoli di finanza pubblica.
Nel richiamiamo anche la Legge 241/ 1990 “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”, ricordiamo però che chi ha bisogno di un documento fatica molto più che non gli altri Paesi Europei (in compenso siamo il primo paese in Europa e il terzo al mondo più colpito dai malware: la conseguenza di avere tanti burocrati e pochi informatici).
Il nuovo decreto legge del 31.05.2021 n. 77 che da attuazione al Recovery Plan inizia con “Il presente decreto definisce il quadro normativo nazionale finalizzato a semplificare e agevolare la realizzazione dei traguardi e degli obiettivi stabiliti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, di cui al regolamento (UE) 2021/241 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 febbraio 2021, dal Piano nazionale per gli investimenti complementari di cui al decreto-legge 6 maggio 2021, n. 59, nonche’ dal Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima 2030 di cui al Regolamento (UE) 2018/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2018”.
I “cives” della nostra società (cioè noi), consci che la legge non ammette ignoranza, già nel leggere i titoli avverte un segno di scoramento (per non parlare di quando si avventura negli “scombinati disposti”). Le Leggi sono formulate da burocrati, applicate da burocrati e controllate da burocrati e ciò rende difficile un cambiamento radicale senza la presenza di eventi eccezionali. Il Coronavirus, dimostrando la fragilità e farraginosità degli asset portanti la nostra società, dovrebbe costituire quell’evento eccezionale tale da portarci ad una riforma radicale, ma solo con un profondo cambiamento culturale si potrà dare attuazione a quest’ennesimo tentativo, a firma Draghi, di semplificare le cose.
Il problema è che l’interesse a mantenere uno status quo è molto forte e, in termini elettorali, rappresentano una quota rilevante di elettori. Tutto il settore della pubblica amministrazione (ma situazioni analoghe si ritrovano anche nella vita quotidiana: dalle assemblee di condominio alle ruggini presenti nel funzionamento di molte società di capitali) sembra popolato più che da homus oeconomicus (quello che ricerca sempre di ottenere il massimo benessere a vantaggio di sé stesso e della società in cui vive), la realtà sembra popolata da tanti “sacerdoti del culto” di un rito pagano, preoccupati di soddisfare un dettato normativo, spesso difficile da interpretare.
Se per decenni, le attenzioni sono state dedicate all’applicazione della norma, ora non si dispone più del know how per un approccio efficientistico, per cui anche questo decreto rischia di cadere nel vuoto se non accompagnato da una reale volontà di miglioramento. Non a caso, una delle ragioni che porta ai pensionamenti anticipati e agli slittamenti è proprio la necessità d’inserire nei tessuti produttivi (pubblici e privati) una classe manageriale maggiormente dinamica e non più vincolata dagli arrugginiti stereotipi caratterizzati l’attuale modus operandi.
Italia “maglia rosa” in Burocrazia
A richiedere una cambio di rotta è la realtà quotidiana, certificata dalle rilevazioni, dell’Unione Europea che ci classifica sistematicamente agli ultimi posti in termini di efficacia e produttività. Le indagini campionarie condotta da Eurobarometro (Commissione europea) sulla complessità delle procedure amministrative che incontrano gli imprenditori dei 27 Paesi dell’Unione, associato al fatto che l’Italia è maglia nera nella crescita di produttività tra i paesi Ocse (Compendio degli indicatori sulla produttività” Ocse 26 Giugno 2018) obbligano ad affrontare con determinazione il problema. Oggi si assiste ad una confusa richiesta di reportistica proveniente dagli organi sovraordinati: la stessa Unione Europea, i vari ministeri, le Regione, la Corte dei Conti, la Procura della Corte dei Conti e la miriade di organi di vigilanza e controllo, dall’antiriciclaggio al garante per la tutela della privacy (che per la nostra privacy dovrebbe limitarsi nel richiedere la compilazione di moduli) e via di questo passo. Superata l’attuale fase di emergenza, si dovrà riportare l’attenzione sulle problematiche economiche e sulla necessità di predisporre adeguati supporti normativi per poter rispondere alle esigenze emergenti ed affrontare la fase di risistemazione contabile-amministrativa post-emergenziale, attraverso un’adeguata rivisitazione dei processi gestionali, in un’ottica di costante ricerca di efficienza (in linea con i processi di semplificazione e di “deburocrazia”), quale presupposto per gli equilibri di bilancio. Smontare gli interessi incrociati che frenano le riforme
Dovremo però liberarci di lacci e lacciuoli che frenano il sistema: in Italia per esempio, un processo civile dura in media (ma con impressionanti differenze tra i tribunali delle diverse Regioni) più di 500 giorni, fino alla sentenza di primo grado (la media europea è tra i 100 e i 200 giorni: solo la Grecia ci eguaglia); 1000 giorni per il secondo grado e 1400 per il terzo grado; per la chiusura dell’iter si arriva a 3000 giorni (otto anni) di media. Su un altro fronte i controlli sui bilanci degli enti pubblici viaggiano con tre anni di ritardo (rendendo impossibile programmare le carriere in base ai risultati raggiunti).
Il problema non è nuovo. Tra i tanti episodi della storia si può ricordare quello che investì il re reazionario e conservatore Carlo Felice di Savoia, tornato al governo dopo l’occupazione napoleonica del Piemonte, il quale non trovò di meglio che annunciare l’abrogazione di tutte le leggi introdotte dai francesi e di voler restaurare quelle precedenti. Il problema era che nessuno sapeva quali fossero le leggi precedentemente in vigore e neanche quali fossero i testi cui riferirsi. Oggi vogliamo semplificare ma non sappiamo cosa voler semplificare e allora si nomina una commissione all’uopo: in mancanza di archetipi per sostituire l’esistente è difficile che una norma, una commissione o un sistema di incentivi a pioggia elargiti “a chi ha complessificato il tutto”, possa portare risultati concreti.
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