La provocazione intelligente di Padoa Schioppa: “le tasse sono bellissime”
di Anna Paschero|
“Dovremmo avere il coraggio di dire che le tasse sono una cosa bellissima, è un modo civilissimo di contribuire insieme al pagamento di beni indispensabili come la sicurezza, come la tutela dell’ambiente, l’insegnamento, la salute e le stesse pensioni, in parte”.
Queste parole del Ministro alle Finanze del secondo governo Prodi, Tommaso Padoa Schioppa, pronunciate nel corso di una intervista con la giornalista Lucia Annunziata, vennero intese da molti come una provocazione e non come un invito a riflettere sul senso dell’esistenza delle tasse, che sono il presupposto della stessa esistenza dello Stato di diritto. Infatti, senza Stato non ci possono essere tasse, così come senza tasse non ci può essere Stato. In questa situazione i cittadini non potrebbero godere di alcun diritto e sarebbero assoggettati alla prepotenza dei più forti, senza diritti e protezione alcuna.
Il motto “No taxation without representation”, tradotto in italiano “nessuna tassa senza rappresentanza”, ha origini dall’art. 12 della Magna Charta Libertatum, decreto che il Re d’Inghilterra Giovanni Senzaterra fu costretto a concedere ai Baroni del Regno nell’anno 1215. Il provvedimento recitava che “nessuna imposta può essere applicata dal Re se non è stata approvata dal Concilio del Regno”. Tale principio è stato poi assunto dagli Stati Uniti d’America, quando, come insieme di tredici piccole colonie inglesi, rifiutarono il pagamento delle tasse chieste dalla Corona inglese per rimpinguare le casse vuote dopo la guerra dei sette anni, ponendo come condizione quella di inviare propri rappresentanti al Parlamento di Londra affinché approvassero, o meno, le tasse loro richieste. Con la dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America del 1776 tale principio ha permesso la nascita dello Stato liberale e di quello democratico e sociale.
Nella nostra Costituzione questo principio è codificato nell’art. 23, secondo il quale “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”.
L’invito dell’allora Ministro alle Finanze è rimasto pressoché inascoltato perché il tema del fisco continua a provocare una sorta di avversione non solo nei cittadini/contribuenti, ma anche in chi li governa. Se non si è mai sentito un esponente politico sostenere che le tasse “sono una cosa bellissima”, (Padoa Schioppa non era un politico, ma un eccellente ministro tecnico) abbiamo spesso per contro sentito dire che “con le tasse si mettono le mani nelle tasche degli italiani”, o altre espressioni demagogiche e avverse al prelievo fiscale, se non favorevoli a condoni a riduzioni della base imponibile, a tassazione di favore, o, in alternativa, al sottacere e ignorare completamente il problema perché affrontarlo diventa molto impopolare.
Con una tale classe politica non si può quindi pretendere che i cittadini/contribuenti possiedano il senso civico, l’educazione morale e la consapevolezza che le tasse devono essere pagate.
La grande riforma del fisco, in senso costituzionale, avvenuta cinquant’anni fa non solo oggi ha perso il suo impianto originario, dettato dai Padri costituenti, ma anche la sua impronta di equità, di solidarietà e di uguaglianza sostanziale, perché, dopo una miriade successiva di aggiustamenti (1000 interventi ad opera di 200 norme legislative) è stata completamente snaturata da parte dei nostri rappresentanti in Parlamento.
I cittadini dovrebbero essere consapevoli che le tasse sono necessarie per la pace sociale, per la democrazia e per la nostra stessa libertà e dovrebbero indignarsi quando esse gravano in misura maggiore del necessario sui redditi più bassi e su quelli medi, anziché su quelli più elevati. L’attuale sistema tributario rende i cittadini diversi per legge e non uguali rispetto alla legge e viene dalla maggior parte di essi percepito come disequo, inaffidabile e poco trasparente.
Alcune delle criticità più evidenti – considerando l’IRPEF che rappresenta circa il 40% del totale delle entrate fiscali e l’11% del PIL – riguardano oltre all’evasione, l’erosione della base imponibile dovuta alla tassazione separata di parte dei redditi, e le aliquote marginali effettive di imposta determinate da deduzioni, detrazioni e benefici accanto alle aliquote legali riferite ai cinque scaglioni di reddito vigenti.
L’ ISTAT nel 2018 ha stimato in 190 miliardi di Euro il valore dell’economia sommersa e in oltre 104 miliardi annui le mancate entrate fiscali e contributive, che aggravano ogni anno il prelievo sui contribuenti onesti. L’Italia è il paese dell’area Euro con maggior evasione fiscale.
Alla tassazione proporzionale dei redditi di capitale si è aggiunta negli ultimi vent’anni quella dei redditi minimi di impresa e di lavoro autonomo, i canoni di locazione, e altri redditi minori. L’estensione dei regimi di tassazione separata produce un carico fiscale diseguale tra le diverse fonti di reddito, genera una violazione del principio di equità orizzontale e incide negativamente sulla capacità redistributiva dell’imposta. Negli altri paesi dell’area Euro sono tassati proporzionalmente solo i redditi finanziari.
L’estrema articolazione e complessità dell’attuale sistema fiscale determina, a parità di reddito lordo, aliquote marginali effettive molto frammentate e variabili: accanto alle aliquote relative agli attuali cinque scaglioni di reddito esistono molteplici aliquote “implicite” generate dai meccanismi di erogazione di una serie di benefici, da deduzioni e detrazioni capaci di alterare profondamente la logica del sistema, anche in senso negativo. L’aliquota marginale effettiva risulta pressoché invariata, anziché crescente, dai 28 mila euro fino a diversi milioni di euro indebolendo la stessa progressività dell’imposta. La formazione delle aliquote marginali effettive non è quasi mai percepita dai contribuenti.
La correzione degli effetti e delle distorsioni prodotte dall’attuale sistema fiscale sulla platea dei contribuenti rappresenta un’azione indispensabile per restituire loro equità e giustizia nel prelievo, in quanto non si può prescindere, né essere subalterni, alla cornice costituzionale a cui l’intero sistema deve essere informato, nel rispetto dei criteri di capacità contributiva e di progressività.
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