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Mercedes Bresso

"La giornata mondiale per l’ambiente è comunque poco"

di Mercedes Bresso



Con la moda, ormai invalsa, di dedicare una giornata ai temi più diversi, questa di oggi dedicata all’ambiente sembra davvero troppo poco, una fra tante. Invece, dovremmo fare lo sforzo di riflettere, a ogni scadenza, su quello che è stato fatto nel corso dell’anno per contrastare e adattarci al cambiamento climatico.

Ebbene, come parlamentare europea, devo dire quest’anno abbiamo fatto moltissimo, al punto che il PPE e la destra hanno fatto marcia indietro, quasi spaventati dall’impressionante numero di norme che la sfida del Green Deal, all’inizio accettata da una larghissima maggioranza, stava producendo. Ora, forse, qualche errore è stato fatto e saranno necessarie alcune correzioni nella prossima legislatura, ma sarebbe davvero sciocco negare che l’impostazione data dal vicepresidente Timmermans, con il pieno appoggio di Ursula Von der  Layen, era quella giusta. Sono infatti state riviste in senso più restrittivo o attualizzate alla luce delle nuove conoscenze, tutte le norme sull’ambiente: aria, protezione dei suoli, acqua, rifiuti, riciclaggio, riduzione degli imballaggi, aumento della riparabilità dei beni durevoli, produzione di energia rinnovabile, efficienza energetica degli edifici, dei macchinari, dei mezzi di trasporto, agricoltura più “Green”.


"Il Ripristino della Natura"

Come ho detto, c’è sicuramente bisogno di qualche aggiustamento che si potrà fare ascoltando di più coloro che dovranno applicarle, i cittadini, le imprese, gli agricoltori e soprattutto gli enti locali e le regioni ma anche applicando in modo più rigoroso il principio della neutralità tecnologica dei provvedimenti, però queste modifiche erano necessarie per lanciare la sfida di una Europa leader nelle politiche per l’ambiente. Su tutte queste norme spicca, per la sua originalità e per l’impatto che potrà averla data sui nostri territori, il testo sul “Ripristino della Natura”, che è stato oggetto di ingiustificati attacchi da parte delle destre (anche dal nostro governo).

Si tratta di una norma che parte dalla constatazione che il lungo periodo della industrializzazione del nostro Continente ha prodotto consumi di suolo assolutamente eccessivi e degrado di quelli per usi industriali, urbani, infrastrutturali. E che ha anche prodotto, a causa dell’abbandono delle aree marginali, collinari e montane soprattutto, un peggioramento della qualità degli ecosistemi naturali, che hanno perso in biodiversità e capacità di captare la CO2.

Il regolamento europeo, direttamente applicabile nei nostri paesi, il che significa che non serve una norma nazionale e che quindi ad esempio Regioni e Comuni potrebbero partire subito con le azioni appropriate, prevede dei piani nazionali che individuino le necessità di ripristino; da noi tuttavia si tratta di competenze attribuite alle Regioni che potrebbero già proporre un proprio piano e iniziare ad implementarlo. Disponibili naturalmente a fare modifiche se richieste dal piano nazionale che non potrà comunque essere che generico, date le enormi diversità fra i nostri territori e il loro stato di salute.


Tutelare il suolo agricolo

In Piemonte abbiamo il vantaggio di avere tutti gli studi e gli strumenti di pianificazione territoriale necessari, basterebbe quindi partire. Come? Anzitutto dando concreta attuazione alla norma, esistente, che vieta l’uso di suolo agricolo per usi diversi e spinge verso l’utilizzazione delle are degradate, o delle aree industriali o infrastrutturali o di discariche dismesse.  Fanno eccezione gli usi inderogabili per obiettivi di carattere pubblico. Ma, anche in questo caso, si possono ridurre i danni: ad esempio la linea ad alta velocità Torino Milano prevedeva dapprima di passare in mezzo alla pianura padana: fu invece deciso di passare sui terreni di salvaguardia intorno all’autostrada evitando altro consumo di suolo. Quindi si può iniziare a “ripristinare la natura” sulle terre degradate, utilizzando la biomassa prodotta per usi non alimentari, come i biocarburanti.

In secondo luogo, dovrebbe essere applicata pienamente la pianificazione esistente di protezione e rinaturalizzazione delle sponde fluviali e in particolare delle confluenze, oltre che dei tanti laghetti di cava, creando zone umide e riserve d’acqua in modo da aumentare la qualità degli oltre seimila corsi d’acqua del Piemonte. Questo intervento potrebbe accrescere le difese dalle inondazioni e provvedere risorse per l’irrigazione in caso di siccità e soprattutto cambierebbe la qualità naturalistica del nostro territorio: immaginate di vedere la regione dall’alto di un elicottero, con fiumi, torrenti, rigagnoli, canali irrigui, tutti contornati da una rigogliosa vegetazione: sarebbe magnifico e non porterebbe via terre all’agricoltura, ma, anzi, la renderebbe più protetta dalle piogge eccessive e con una maggiore ricchezza di insetti impollinatori. Il Piemonte ha tra l’altro l’IPLA (Istituto piante da legno e ambiente) che ha le conoscenze e i vivai per aiutare a realizzare i progetti di ripristino con un approccio scientifico.

Uno spazio enorme esiste nelle città, dove con un'adeguata pianificazione si possono piantare milioni di alberi, migliorare la temperatura e fissare una parte consistente della CO2 emessa dalle attività umane. È naturalmente rendere più piacevole la vita dei cittadini.

Sono solo alcuni esempi con i quali vorrei dimostrare come non solo la legge sul ripristino della natura non è una “follia dell’Europa”, ma è anzi una guida per fare qualcosa e magari molto, per l’ambiente ma anche per migliorare la qualità della nostra vita e del nostro bel territorio. Ricordiamoci che una buona politica di difesa dell’ambiente passa innanzitutto dalla protezione del suolo e delle risorse idriche.

Che cosa aspetta la Regione Piemonte a muoversi?

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