La "fretta" non è una variabile indipendente per le imprese
di Giuseppe Scalenghe
"Servono risposte urgenti. Il costo della bolletta energetica europea è cresciuto di 1.000 miliardi". Nell'analisi del Sole-24 ore di ieri, 10 settembre, articolo firmato dall'editorialista Adriana Cerretelli, il titolo è già di per sé eloquente e scandisce il precipitare della situazione sul piano economico: "La crisi corre, l'Europa arranca". In due concetti dicotomici è racchiuso, infatti, il dramma dell'imprenditoria europea e nazionale, e in particolare fissa, anche se non vi è scritto, quanto quella crisi corre per l'Italia, per le imprese e i cittadini italiani, per una comunità più di altre esposta al caro-bolletta, agli aumenti fluttuanti, ondivaghi che si registrano alla pompa di benzina, all'esplosione incontrollata del prezzo del gas. Rincari da mille miliardi pari a un quarto in più della cifra stanziata per il Pnrr di 750 miliardi in 7 anni, il che dà la misura, in primo luogo, dell'insostenibilità oggettiva per le imprese a proseguire nell'attività produttiva.
Non è un caso che ogni giorno, come una sorta di Spoon River dell'industria, le cronache citano i nomi di aziende che annunciano fermate, sospensioni o, provvedimento meno grave, riduzioni di orario, comunque fattori negativi che potrebbero però preludere alla definitiva chiusura, cioè al licenziamento di migliaia di lavoratori e di conseguenza all'intervento di misure di sostegno per le famiglie: l'anticamera della paralisi. E non si tratta di scenari apocalittici, perché oggi le aziende per sopravvivere di fatto scaricano in ultima istanza una parte dei rincari sul consumatore finale e l'altra su se stesse con l'appiattimento dei profitti che si tradurrà in riduzione degli investimenti. Un circolo vizioso e devastante che vale, non dimentichiamolo, per le aziende sane... Per le altre, può significare soltanto il de profundis.
Da qui l'urgenza di trovare un accordo sul prezzo del gas e sulle altre fonti di energia. Da qui la fretta di siglare intese comunitarie che riflettano il ruolo compiuto e costruttivo dell'Europa e non una sommatoria astratta di Stati. Le ragioni sono semplici quanto banali: il sistema non prevede la fermata del cronometro, né è previsto il time out come nello sport e ogni secondo che trascorre nell'inazione equivale a una condanna del nostro manifatturiero e di trasformazione che insieme ai lavoratori fino ad oggi hanno evitato il tracollo del Paese che rimane a rischio, sia per i ritardi accumulati nelle infrastrutture e logistica, sia per il suo debito pubblico.
In ultimo, sono meritorie e da apprezzare le proposte degli attivisti dell'organizzazione non profit Oxfam,[1] che affrontano la questione degli extraprofitti delle multinazionali che hanno guadagnato 1,15 trilioni di dollari dalla crisi pandemica e dell'energia. La proposta di Oxfram è secca: tassiamo il 90 per cento di quei profitti da cui si generebbero mille miliardi a livello globale con cui finanziare il welfare universale. [2] Ma, in attesa dell'incerto, di cui si deve assolutamente discutere per dare valore concreto alla redistribuzione della ricchezza, fulcro centrale per contrastare le diseguaglianze nel mondo, le imprese per sopravvivere e continuare a redistribuire ricchezza, seppure in maniera imperfetta, esigono il "certo". E quel "certo" è una risposta al prezzo dell'energia che rischia di soffocarle.
Note
[1] Oxfam è una confederazione internazionale di organizzazioni non profit che si dedicano alla riduzione della povertà globale attraverso aiuti umanitarie progetti di sviluppo in Oxfam Italia - insieme contro la povertà
[2] Roberto Ciccarelli, Mille miliardi per il Welfare Universale dalla tassa sugli extraprofitti al 90%, Il Manifesto, 10 settembre 2022 in https//:ilmanifesto.it
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