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Il volto prismatico di Aleksandr Dugin

Aggiornamento: 14 gen 2023


di Germana Tappero Merlo


Non è affatto inusuale imbattersi in riferimenti al pensiero del filosofo russo ultranazionalista Alexandr Dugin mentre si analizzano testi e dichiarazioni dell’alt-right statunitense, o di gruppi suprematisti di varia collocazione ideologica, come di quelli propri alla cerchia personale dell’ex presidente Trump.


Le influenze di Guénon, Evola, Heidegger

Mi è capitato così che, come analista di fenomeni eversivi estremisti transnazionali, per comprendere meglio approcci e operatività di tutti costoro, fra affinità e differenze culturali, propaganda ed azione, abbia dovuto affrontare parecchie letture, alquanto complesse, dei saggi di questo filosofo, conosciuto alla massa dei media occidentali solo dallo scoppio dell’operazione speciale di Putin in Ucraina, di cui ora affermano, con esagerata ed errata convinzione, ne sia stato il grande ispiratore.


Dugin è conosciuto certamente come filosofo e geopolitico, fra i sostenitori dell’Euroasiatismo[1], la cui origine è però antecedente la sua apparizione sulla scena politica russa, e al destino di nuova potenza imperiale che gli riserva; ma Dugin spazia altresì su innumerevoli fronti differenti. Dugin ha infatti una storia personale, soprattutto culturale, molto articolata, non riassumibile in poche righe se non con il rischio di banalizzarne il pensiero e la portata e che si muove, in particolare, da René Guénon (1886-1951) ad Julius Evola (1898-1974), entrambi scrittori, filosofi ed esoteristi, promotori, fra gli altri, di un Tradizionalismo militante, da contrapporre al Modernismo imperante, e accolto pienamente da Dugin, a cui ha aggiunto una buona dose del pensiero di Martin Heidegger (1889-1976).


Militante anti-sovietico in un mix di estremismi

Nella storia personale di Dugin vi sono un passato da militante anti-sovietico e prese di posizione fra il reazionario neonazista e al contempo comunista, in quel mix di estremi e contraddizioni proprie di quelle che Herman Hesse, in un saggio su Dostoevskij, descrisse per l’Uomo Russo, quello strano personaggio che non è solo isterico, alcolizzato, criminale, poeta o santo, ma “la simultanea combinazione di tutte queste caratteristiche”. Dugin appare infatti così, dove “bene e male, esteriore e interiore, Dio e Satana vivono a stretto contatto”. [2]


Ha infatti coniugato, sin dai suoi esordi, posizioni di un’estrema destra reazionaria con l’esoterismo sino all’occultismo[3], combinando il Tradizionalismo di Guénon e l’apoliteiadi Evola ai postulati della Chiesa ortodossa russa, quella più tradizionale a cui appartiene fra le fila dei c.d. Vecchi Credenti, un movimento che ripropone ed esercita i rituali e le pratiche antecedenti le riforme del XVII secolo. Da qui anche il suo proporsi con una lunga barba e abbigliamento propri del mondo rurale, quello più osservante quella corrente religiosa. Un’identità religiosa, quindi, che emerge come dominante ma che è un tutt’uno con l’appartenenza etnica al popolo russo, da cui un profondo sentimento sciovinistico.


Forti richiami all’esoterismo

Dugin afferma, infatti, di sentire tutto ciò, in particolare il concetto di “popolo”, fortemente posto in pericolo da una cultura di massa, postmoderna e di stampo statunitense, incentrata sull’esasperazione dell’individualità (individuum) e con meccanismi economici e sociali di divisione (dividuum) a sfavore delle collettività originali e tradizionali; a tutto ciò è necessario, quindi, opporsi anche attraverso una guerra. Il richiamo all’azione ha così, per Dugin, forti toni identitari, addirittura esoterici. Perché in fondo, secondo il filosofo russo, gli Stati Uniti e la loro idea egemone di Modernità, che ha portato all’imposizione di una tecnocrazia a vocazione globale, sono il vero nemico, il Satana contro cui opporsi, contro cui combattere una sorta di ‘guerra santa’, sebbene evidenzi la portata positiva di eccezionalità proprie degli Stati Uniti, come l’esperienza di Donald Trump ed, egli spera, del trumpismo che gli sopravviverà.

Riconosce, infatti, all’ex presidente il ruolo di combattente contro le élite liberali a salvaguardia degli interessi del vero popolo americano, quello che lo ha sostenuto e ancora lo sostiene e che, non a caso, appartiene al ceto medio e al profondo mondo rurale sacrificato, dimenticato ed umiliato dai poteri forti. Sovente, infatti, Dugin, come esempio di ignoranza e prepotente arroganza del potere, accenna al commento “basket of deplorables” e i contenuti dispregiativi usati da Hillary Clinton nella campagna per le presidenziali del 2016 per descrivere i sostenitori di Trump[4]. Toni che ancora infiammano i sentimenti dei veri patrioti americani, difensori di un’identità che ha adottato i trumpiani American Firste Make America Great Again non solo come slogan di campagne politiche ma come filosofia di vita, al costo anche di azioni violente e uniche nella storia statunitense, come lo è stato l’assalto del 6 gennaio 2021 a Capitol Hill, sino ad auspicare addirittura una nuova Guerra Civile.


Vicinanze e condivisioni con il trumpismo


Dugin amplia così i suoi spazi di riflessione e d’azione ben oltre la sua Russia, opponendo un articolato pensiero contro il crudele annientamento di tutte quelle identità che siano differenti da quelle conformi agli interessi delle élite dominanti, con il conseguente rischio della scomparsa di intere collettività difformi dagli standard imposti dal liberalismo statunitense, con le loro relative ricchezze culturali e le potenzialità economiche, sociali e religiose. È uno studioso anche dei meccanismi cospirativi, ne conosce l’importanza come del ruolo delle informazioni, conscio che la “verità di un’affermazione non è più importante, in quanto quello che conta è la sua efficacia”. “Il complottismo è la malattia infantile dell’antiglobalismo” afferma Dugin, ma è altresì conscio che sia parte iniziale di un processo storico fondamentale. Approccio e convinzione che, anche in questo caso, Dugin condivide con la cultura del cospirazionismo propria di un Steve Bannon e di un Donald Trump.


L’obiettivo finale che accomuna tutti questi soggetti fautori del cospirazionismo, e dove ben si inserisce il pensiero di Dugin, è il contrasto alla sinarchia, quel governo totale posto in essere da soggetti o ‘agenti’ a sfavore della singolarità di ogni Stato (e l’ Unione Europea, per il filosofo russo, ne è un esempio) perché al servizio di una ristretta élite capitalista, principalmente statunitense e anglosassone, in grado di trasformare l’intero pianeta in un enorme mercato, appiattendo popoli e culture, cancellandone differenze culturali e religiose, riducendo così l’intera razza umana in una massa uniforme di consumatori. In pratica, è la globalizzazione che, per Dugin, è oramai una ideologia, quel globalismo ora entrato in una fase totalitaria tramite il Great Resetdella presidenza Biden[5], a cui opporre un “Grande Risveglio”, quello, guarda caso, proposto da Alex Jones, il “grande complottista d’America”, e poi ripreso e rilanciato dagli attivisti di QAnon[6]. In pratica, è prendere consapevolezza di essere prossimi alla fine imminente, da cui - e Dugin e tutti costoro se l’auspicano - lo scoppio di una rivolta contro le élite al potere da parte di una umanità illuminata. Ebbene, a capo di questa rivolta, inutile dirlo, Dugin pone la sua Russia e, a tratti e non sempre con convinzione, il suo presidente Vladimir Putin[7].


L’omicidio della figlia Darya, terrorismo interno?


Nel pensiero di Dugin, quindi, non è affatto estraneo un richiamo salvifico per l’umanità intera, soggiogata alla logica del liberalismo che, da decenni, opera per liberare l’individuo da ogni forma di identità collettiva: spetta ora alla Russia riprendere in mano le sue sorti e scrollarsi di dosso un dominio straniero imposto ad essa e al mondo intero e, di certo, non voluto. Questo è parte del complesso messaggio del filosofo Alexander Dugin che conta nemici anche interni alla sua stessa Russia se, come sta emergendo in queste ore, sarà confermato che i mandanti dell’attentato in cui è rimasta vittima sua figlia Darya, sono riferibili a elementi dell’Esercito Repubblicano Nazionale, un movimento di “partigiani” contrari a Putin e alla sua avventura bellica in Ucraina. Insomma, terrorismo interno, anche se la notizia è stata divulgata da un ex parlamentare russo dissidente ora cittadino ucraino.[8]Si tratta di indiscrezioni, ipotesi, nulla di verificato al momento dalle indagini. Di certo supposizioni che appartengono alla sfera degli oscuri complotti, sovente irrisolti, orditi contro la genuina volontà popolare di cui Dugin è stato ed è un sacro difensore e, al contempo, testimonianza vigorosamente critica.



Note


[1]https://www.laportadivetro.org/uccisa-in-un-attentato-a-mosca-la-figlia-di-aleksandr-dugin/ [2]G. Lachman, La stella nera. Magia e potere nell’era di Trump, Edizioni Tlon, 2019, p. 243. [3]M. Laruelle, An Ideology of Empire, John Hopkins University Press, 2008, p. 122. [4]https://time.com/4486502/hillary-clinton-basket-of-deplorables-transcript/ [5]A.Dugin, Contro il Grande Reset. Manifesto del Grande Risveglio, AGA Editrice 2022. [6]G. Tappero Merlo, Dalla paura all’odio.Terrorismo, estremismo e cospirazionismo, Tangram Edizioni Scientifiche, 2022, pp. 259-264. [7]A. Dugin, Puntin contro Putin, AGA Editrice, 2018. [8]https://www.theguardian.com/world/2022/aug/21/ex-russian-mp-claims-russian-partisans-responsible-for-moscow-car-bomb

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