“L'equivoco del tifo e del tifoso" associato a teppisti a tutto tondo
di Giorgio Volpatto*

Ancora una volta notizie di scontri tra tifosi delle squadre di calcio. E per effetto transitivo, ancora commenti e discussioni che riportano l'attenzione sui possibili rimedi per porre fine, o almeno contenere, la violenza fuori e dentro gli stadi. Potrebbe pertanto essere il momento giusto di sgomberare il campo da quell'equivoco che, ripetuto troppe volte, ormai viene scambiato per realtà. Equivoco che è soprattutto lessicale.
La definizione di tifosi, per i violenti che provocano incidenti come quello sull'autostrada nei pressi di Arezzo, è francamente del tutto fuori luogo.
Violenti conosciuti alle Forze dell'ordine
Da sempre, e non solo in occasione di questi ultimi avvenimenti, ultimo e più recente capitolo di una lunga sequela di circostanze analoghe, coloro che provocano gli incidenti fomentandone le cause non sono tifosi, ma semplicemente teppisti da strada inseriti, in alcuni casi, nel giro della criminalità organizzata, poco o per nulla interessati al calcio, se non nella misura di un ritorno strettamente personale e per l'organizzazione di riferimento. Ma nulla hanno a che vedere con il tifo. Semmai, fatto notorio, il loro obbiettivo è quello di strumentalizzare la passione di altri per il favoloso gioco del calcio, mescolandosi tra gli appassionati, per organizzare e creare l'effetto-branco, con il preciso scopo di portare allo scontro un gruppo contro l'altro.

La quasi totalità di questi personaggi, che sono una nettissima minoranza rispetto ai soggetti che poi vengono effettivamente coinvolti nelle “battaglie”, è perfettamente conosciuta alle forze dell'ordine che si occupano di contrastare la violenza in occasione di eventi sportivi. Taluni invocano, e tra loro, con dimostrazione di grande lucidità, persino i politici che l'hanno eliminato, il “Daspo a vita”, provvedimento che consiste principalmente nel vietare ai violenti la presenza negli stadi in occasione delle partite. Tuttavia, tale valida misura preventiva, anche se applicata con maggior rigore, non avrebbe evitato gli incidenti accaduti tra i sedicenti tifosi di Roma e Napoli nei pressi di Arezzo. Gli incidenti sono infatti accaduti in un luogo (l'autostrada) che è fuori e ben lontano dallo stadio.
L'efficacia del "modello Thatcher"
Anche senza imitare in tutto e per tutto il “Modello Thatcher”, che dalla metà degli anni '80 di fatto azzerò il fenomeno degli hooligans nel Regno Unito, sarebbe opportuno utilizzare alcuni dei suoi contenuti e, unitamente ad un maggior rigore e decisionismo (che poi vuol dire efficacia...) negli interventi a tutela dei veri tifosi, introdurre finalmente appieno l'obbligo automatico di firma, prima (per impedire la trasferta) e durante il tempo della manifestazione sportiva, per tutti quei soggetti che sono a rischio concreto, o a certezza, di violenza.

I più pericolosi sono tutti già perfettamente identificati o identificabili per trascorsi pregressi, pertanto non resterebbe che introdurre l'automaticità della misura restrittiva di carattere amministrativo per tutti questi soggetti.
Gli stadi, così come strade, autostrade, ferrovie e mezzi pubblici, potrebbero tornare ad essere (senza essere soggetti a vandalismo, tra l'altro) nell'originario e naturale possesso dei tifosi, che si recano alla partita del pallone (come cantava Rita Pavone nei favolosi anni Sessanta) per passione, per sostenere la propria squadra, o anche semplicemente per il piacere di assistere a uno spettacolo sportivo, talvolta "gratificando" arbitro o tifosi della squadra avversaria con un urlo liberatorio..., ma senza la carica violenta che di per sé stessa snatura completamente il concetto di sport e di tifo.
*Avvocato civilista
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