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L'EDITORIALE DELLA DOMENICA."Torino, dove vai?"

Aggiornamento: 19 feb 2023

di Pietro Terna


Con l'Editoriale di oggi, domenica 19 febbraio, il prof. Pietro Terna, economista, titolare ogni giovedì della rubrica "Punture di spillo", avvia serie di articoli su Torino e sulla sua amministrazione comunale di centro sinistra guidata dal sindaco Stefano Lo Russo (48 anni), eletto il 21 ottobre del 2021 con il 59 per cento nei voti al ballottaggio con il candidato del centro destra Paolo Damilano. Una prossima tappa sarà l’analisi del bilancio del Comune, a fine marzo.

I temi sono numerosi e molteplici. S'inizia con il riportare materiale utile per un esame della situazione presente e su come, nel bene e nel male, ci si è arrivati. Lo scopo è valutare quali possano essere i passi da compiere. Nell'articolo, Pietro Terna mette soprattutto in ordine elementi ben noti, anche pubblicati via via su La Porta di Vetro.


Moltissimi dei problemi aperti da tempo per Torino lo sono ancora e si sono aggravati. Torino città, ma non tutti i comuni che la circondano e non il Piemonte, segnala da tempo la propria debolezza strutturale. Tutte le aree regionali segnalano difficoltà, ma non paragonabili a quelle del capoluogo.


A che punto siamo

Prima fra tutte la situazione dell’occupazione, il cui segnale più evidente è dato dai giovani e meno giovani che circolano con cubi colorati sulle spalle, per pochi euro di compenso e addirittura con chi gli sequestra le mance

Non esistono misure specifiche e semplici per affrontare i problemi di una aggregazione di persone in una città, ma solo misure generali, diffuse, di rinnovamento urbano a partire dalle infrastrutture. Per questo è ragionevole che il Comune di Torino abbia debiti rilevanti, dovuti a interventi importanti nel recente passato, dalle Olimpiadi con il loro effetto di innovazione anche sociale, al passante ferroviario, alla prima linea della metropolitana. Una città che investe dà lavoro a breve termine e assicura lo sviluppo del suo territorio. Un territorio che sia in grado di attrarre e sorreggere operatori importanti nel settore industriale e in quello terziario.

Torino è un nodo fondamentare nella rete delle città medie europee. In quella dimensione si possono cercare le forze per affrontare il cambiamento tecnologico che rivoluziona i contenuti del lavoro e della vita sociale; per confrontarsi con le nuove modalità di lavoro per durata e organizzazione. Si pensi al telelavoro, esploso con la pandemia, ma ancora ben poco smart; si pensi al cambiamento del tessuto sociale, con la sempre maggior presenza di anziani e di nuovi residenti provenienti dall’estero. Sullo sfondo, l’enorme e inaccettabile differenza tra le zone della città, con “confini” di fatto insormontabili per molti abitanti.

Servono quindi interventi diffusi e la massima priorità va alla formazione a tutti i livelli, sino al fondamentale ruolo dell’Università e del Politecnico. Occorre potenziare la Pubblica amministrazione locale, che ha solo minimamente ripreso a assumere giovani, per la scarsità di risorse nel bilancio comunale. Bilancio che, per molto tempo, è stato ostaggio di una situazione di temuto dissesto per via dell’alto indebitamento – generato, come detto, da investimenti assai importanti – ha recuperato sicurezza nel 2022, ma ora subisce pesantemente la “bolletta energetica”.

Solo se operiamo per mantenere vivo il capitale fisico e sociale della città, abbiamo anche le chance contare su un sistema formato da industria e terziario altrettanto vivo.


Esageruma nen? No, no, esageriamo...


Alla fine degli anni ’50 Agnelli, e Torino, erano di casa a Boston dalla famiglia del futuro presidente americano Jfk Kennedy. L’Olivetti era il secondo produttore di computer al mondo, subito dopo l’IBM. E nel prosieguo dei decenni, Montedison si ritrovava ad essere la settima azienda chimica del pianeta. Mediobanca rivaleggiava con Lehman Brothers e con Lazard tra le banche d’affari. Benetton portava i capi colorati alle masse; Giorgio Armani, Gianni Versace e Dolce & Gabbana portavano l’eleganza a Wall Street. Richiamo la moda perché era stata di casa a Torino e perché Armani compariva tra le grandi firme del Gruppo Finanziario Tessile di Torino. Torino era uno tra i poli significativi del mondo, in una Italia che era una delle grandi economie del pianeta.

Prima di tutto l’area a cui guardare: non è quella del comune di Torino, ma l’Area Metropolitana, come riferimento istituzionale e, soprattutto, la prima e la seconda corona di municipi intorno al capoluogo come tessuto economico e sociale. Il passo in più è quello di considerare la caratteristica metro-montana della nostra realtà, che ne fa un comprensorio di grande interesse paesistico e culturale, con notevoli capacità di attrazione. Quindi l’Area Metropolitana considerata come bacino di servizi e funzioni, ma anche da interpretare come territorio unico da promuovere, per bellezza, storia e cultura, come spazio integrato di vita e lavoro. Un’area che si presta a una promozione internazionale, per attrarre funzioni produttive di alto livello, anche difendendo e soprattutto sviluppando la funzione dell’aeroporto. Ora occorre veramente esagerare, con un elenco innovativo di opere e con l’invito di aggiungerne altre.


Acceleriamo la realizzazione delle grandi opere

Ad esempio, il Parco della Salute (nella foto il rendering) che, dopo una gestazione lunghissima, ha rischiato di smarrirsi prima di diventare un progetto operativo: da qui al 2030 dobbiamo poter assistere alla realizzazione di uno dei più innovativi poli sanitari d’Europa, con le attività di cura, ricerca e sperimentazione, preparazione dei futuri medici, integrazione di nuove attività produttive. Un tema che deve coinvolgere tutte le forze operanti a Torino, in primo luogo le grandi Fondazioni.

Continuiamo con la connessione ferroviaria internazionale di Torino, con la linea ad alta velocità verso Lione attraverso il Frejus, ricordandoci che la vecchia galleria fu voluta da Camillo Benso conte di Cavour e costruita dall’ingegnere Germain Sommeiller. Se Cavour avesse fatto solo calcoli economici a breve, non avrebbe mai proposto quell’impresa; la stessa considerazione vale contro gli oppositori “economici” dell’opera, che si smarriscono con il calcolare previsioni che non tengono conto dell’effetto dell’opera stessa come innovazione nei trasporti.

Continuiamo ancora con lo sviluppo della metropolitana di Torino indispensabile per costruire una città moderna, in cui sia realmente facile vivere e lavorare. E sempre con l’obiettivo di esagerare che ci siamo dati, Torino ha bisogno di fare un altro grande passo avanti urbanistico. Negli ultimi 25 anni, il Piano Regolatore di Gregotti e Cagnardi ha ridisegnato una parte della città; ora occorre un altro slancio di trasformazione, che sappia offrire a Torino e ala sua area nuove occasioni di rinnovamento.

In ultimo, ma solo come elenco, le occasioni di innovazione produttiva (i diversi progetti per la realizzazione di innovation o manufacturing center), dando valore al patrimonio ancora vivo dell’industria e del terziario più progredito. Occasioni che, in stretta collaborazione con gli atenei, devono poter trovare da un lato gli strumenti per rendere operativa l’innovazione generata dalla ricerca e dall’altro saper attrare nuove attività nella nostra area. Per questo non si può che auspicare che la città sappia dipanare la matassa complessa delle iniziative che sono in fase di proposta o primo sviluppo, ma che rischiano di non decollare per la mancanza di un disegno coordinato e di una guida sicura.


Gruppo Fiat, poi Fca, ora Stellantis

Torino, per decenni città povera in quanto prevalentemente operaia, operosa e un po’ grigia, ha consentito alla Fiat la sua grande parabola. La Fiat non ha fatto ricca Torino: l’ha invece fatta crescere oltre misura. Agostino Canonica, manager Fiat, tutor di Umberto Agnelli, presidente della Lancia, raccontò in un libro[1] come lo stesso Vittorio Valletta avesse ben compreso, già nel 1951, che l’ampliamento della Fiat doveva avvenire nel Mezzogiorno; invece, ancora nel 1968, con conclusione nel 1971, nacque l’insediamento da 18 mila dipendenti a Rivalta, nella cintura torinese. La Fiat a Torino superò allora i centomila dipendenti diretti.

Fu una scelta inimmaginabile in questi nostri anni e quella realtà doveva modificarsi profondamente; ma le eredità, positive e negative, devono essere gestite. Da chi? Dagli eredi, dalle persone in qualsiasi modo coinvolte, dai corpi dirigenti e dalle loro associazioni, dalla politica. Che cosa ha fatto il Comune di Torino, in questi ultimi anni, a fronte del progressivo disimpegno della Fiat, poi FCA, poi Stellantis, da Torino? E la Regione? Ma soprattutto, lo Stato italiano? Il confronto con la Francia in tema di auto è impietoso.

Negli anni ’80 dello scorso secolo l’area torinese e quella tedesca di Stoccarda, capitale dello Stato federato del Baden-Württemberg, considerata la "patria dell'automobile" (Porsche, Daimler), erano paragonabili per successo economico e innovazione. Ora occorre fare di tutto per ripartire con nuove scelte, nuove iniziative. I fondi europei che saranno disponibili nei prossimi anni devono avere questa destinazione, con l’attenzione rivolta alla grande capacità manifatturiera che sta nell’intersezione tra meccanica, elettromeccanica, elettronica e informatica, con l’avio e lo spazio come emblemi e con l’innovazione produttiva nei tanti settori tradizionali e nuovi dell’area.


Tocca all'amministrazione comunale reagire

Nel tempo i Comuni hanno perso prima l’ICI e poi l’IMU sulla prima casa, con azioni di Berlusconi (esenzioni), Monti (IMU invece di ICI), Letta, Renzi. Azioni forse anche giustificate in sé, ma tutte in negativo per le finanze locali. A loro volta, i trasferimenti compensativi si sono fatti via via più esigui. Recentemente Torino ha acquisito entrate straordinarie da Roma, entrando a far parte del gruppo dei comuni in forte deficit o molto indebitati (il nostro caso, con un indebitamento che è stato utile per la trasformazione di Torino, ma che ora blocca le risorse). Alle entrate straordinarie così ottenute occorre affiancare fondi propri per il 25%: ecco il motivo dell’aumento delle imposte sul reddito. Torino vede anche, in prospettiva, i fondi per la seconda linea della metro, indispensabile per i cittadini e per rendere la città più attraente verso nuove iniziative economiche.

Ora servono idee, di ogni tipo. Pensare in grande ora vuol dire immaginare Torino come un polo avanzato di un sistema transnazionale. Ragionare come Città Metropolitana, anzi metromontana, vuol dire ad esempio valorizzare la Val di Susa come meravigliosa porta d’accesso alla nostra nazione.

Vuol dire soprattutto lavorare su temi che coinvolgano i giovani e la loro sensibilità, facendo di ogni quartiere un laboratorio di proposta e di ascolto, senza scartare nulla di ciò che emerge perché è troppo difficile o mancano i fondi.

Rivoluzione economica e sociale

Il Comune, grande o piccolo che sia, è quella parte della Pubblica Amministrazione che è più vicina alle persone. Nei comuni piccoli e anche medi il sindaco è spesso direttamente a contatto con i cittadini per aiuto e consiglio. Aiuto non solo economico, ma anche di vicinanza e sostegno. Nelle città grandi quel compito passa a un sistema organizzato per l’intervento, anche se la presenza diretta degli assessori preposti, dei presidenti di Circoscrizione, dei consiglieri delle circoscrizioni, è sempre elemento di grande valore. Un punto di forza è certamente quello dei dirigenti dei servizi dell’amministrazione comunale, di grande competenza e valore.

Ora occorre ripensare sempre più approfonditamente alla struttura del bilancio, rifiutando ogni scelta ripetitiva, con una vera innovazione che tenga conto prima di tutto delle esigenze che provengono dalle Circoscrizioni, che non sono voci di costo, ma strumenti di governo e di soluzione dei problemi. Non immagino che si possa attuare, dopo oltre settant’anni che se ne discute, la tecnica di bilancio a base zero per rinnovare ogni anno le scelte, ma in campi cruciali come quello degli interventi sociali occorre avere la forza di innovare profondamente.

Al nostro welfare serve un’innovazione radicale che articoli in modo competente, e comprensibile ai cittadini, la visione relativa all’emergere di nuovi rischi e problemi sociali, nonché alla possibilità di fronteggiare le nuove sfide con strumenti innovativi. Occorre superare la logica dell’emergenza – l’emergenza genera emergenza – per costruire politiche che investano sulle potenzialità, sulle capacità delle persone e dei loro contesti di vita. Occorre quindi dare vita a servizi abilitanti che permettano di esercitare i diritti essenziali quali vivere con dignità, abitare, lavorare, relazionarsi.


Guardiamo con il dovuto interesse all'IA

Tutto questo per il sociale, mentre in economia la maggiore rivoluzione in corso è quella dell’intelligenza artificiale, i cui contenuti non devono essere esagerati, ma neanche considerati con sufficienza e snobismo antitecnologico: un cambiamento che può interessare moltissimo un’area che ha ancora un alto potenziale produttivo accomunato a una grande capacità di ricerca negli atenei, ma non solo. Del tema IA si è discusso seriamente a Torino, con l’apparizione e la sparizione ripetute di uno stanziamento nazionale importante per la ricerca, direttamente riferito alla nostra area. Ora tutto è silenzio.[3]

Si fa invece gran clamore, giustamente, sui rischi di una accelerazione eccessiva della messa al bando delle auto a benzina e diesel, ma in ogni caso la transizione è in atto e occorre attribuirle il massimo rilievo.

Si appuntano molte attese sul ritorno in Italia di aziende che qualche anno fa trasferirono frettolosamente gli stabilimenti in altre parti del mondo, rincorrendo i bassi costi del lavoro. Il fenomeno del ritorno, il cosiddetto reshoring, è ora avviato: certamente per effetto dell’automazione rientreranno a casa meno posti di lavoro di quelli usciti, ma anche questo è un processo da gestire, dato la complicata situazione demografica[2] nostrana.

Gli ultimi – intelligenza artificiale, filiera autoveicolistica, reshoring – sono temi di massima attualità, su cui ritornare molto presto.


Note

[1] A. Canonica (1978), Imprenditori contestati, Franco Angeli, pp. 45-46. [2] https://www.laportadivetro.com/post/punture-di-spillo-calo-demografico-e-spirito-democratico

[3] Sul tema, rimandiamo ad alcuni articoli della Porta di Vetro:



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