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L'Editoriale della domenica. "Non sprechiamo il coraggio di chi è stato accanto agli ultimi"

Aggiornamento: 27 apr

di Luca Rolandi


Si chiude una settimana storica e unica. Da quel Lunedì dell'Angelo, giorno di Pasquetta come lo vive la società secolare, scandito dall'annuncio alle 7.35 della morte di Francesco, il Papa venuto dalla fine del mondo, al composto, silenzioso e carico di significato funerale di massa di ieri, sabato 26 aprile. Almeno 400 mila persone i cui sguardi prima in piazza San Pietro, poi lungo il percorso che ha percorso il corteo funebre fino alla Basilica di Santa Maria Maggiore, si sono posati sulla salma del Vicario di Cristo, l'uomo che più di ogni altro si è speso per mantenere viva la Pace, in tempi di guerre crudeli e diffuse, e combattere l'ingiustizia sociale. E, con una coda di insaziabile desiderio del giorno dopo, fino alle prime luci dell'alba di oggi, sfogliando i commenti che emergono dalle prime pagine dei nostri quotidiani sull'ultimo addio a Francesco, alla ricerca di capire in tempo reale, protervia tutta umana, come se fosse già possibile, che cosa abbia rappresentato l'ultimo Vescovo di Roma, uomo sempre più fragile, eppure mai domo, negli spiragli finali della sua vita, sempre accanto agli emarginati, agli esclusi, testimone universale di ciò che era stato per i "cartoneros" di Buenos Aires, quei raccoglitori di rifiuti, figli della crisi Argentina di inizio anni Duemila, che lui aveva difeso dalle angherie del Potere e contribuito a restituire loro dignità umana.

Il cristiano si interroga su dove ora si trova Jorge Mario Bergoglio, persona, oltre ogni altra relazione, lui che è stato erede dell'Apostolo Pietro. Il mistero della vita e della morte, il grido di un Papa sulla cui tomba vi è posato un semplice Franciscus, che non ha dimenticato nessuno dai volti senza nome vittime di tutto il male e i paradossi del mondo. Si interrogano anche i non credenti o credenti in modo diverso, altre fedi, altri orizzonti. E il popolo di Dio lo ha ripagato con una manifestazione di amore che ha dato l'impressione di riportare indietro la Chiesa cattolica al secolo breve, al Novecento, all'amore che il mondo, credente e non credente, scoprì di provare per il "Papa buono", per Giovanni XXIII, Papa Roncalli, per il pastore di anime che scosse l'impalcatura un po' impolverata della curia romana promuovendo il Concilio Vaticano II. E Papa Francesco ha dialogato e camminato con il mondo, si è interrogato e ha costruito, come ha ricordato ieri nella sua omelia il cardinale Giovan Battista Re, quel "filo conduttore della sua missione: la convinzione che la Chiesa è una casa per tutti, dalle porte sempre aperte; una Chiesa capace di chinarsi su ogni uomo, al di là di ogni credo o condizione, curandone le ferite".

La teologa Mariella Perroni ne ha chiosato in maniera profonda il suo pontificato, umano e diretto con queste parole: "l’immagine di spalle di un vecchio uomo irrigidito e quasi senza vita di fronte al quale una folla festante esprime invece tutta la sua inesauribile vitalità segna un punto di non ritorno, diviene icona di un pontificato, “parola” di un discorso di addio di un papa per cui i gesti sono stati più magisteriali delle parole". Era la domenica di Pasqua, vissuta come ha potuto. Era l'inizio di quell'ultimo viaggio cui tutti sono chiamati.


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