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L'EDITORIALE DELLA DOMENICA. Nato-Russia: è scontro globale per l'Artico

Aggiornamento: 31 gen 2023

di Germana Tappero Merlo


Il blocco della Turchia all’entrata della Svezia e della Finlandia nella Nato pesa come un macigno fra gli alleati; anzi, pesa come un enorme iceberg a rischio impatto contro quell’organismo militare, il cui allargamento viene fortemente auspicato per via della guerra in Ucraina, oramai baluardo disperato, come fosse l’ultimo a quanto pare, per la difesa della libertà e della democrazia nel mondo, combattuta ad oltranza contro l’autoritarismo e la prepotenza militare di Putin. Erdogan potrebbe anche cambiare atteggiamento verso la Svezia e la Finlandia sembra voler attendere il risultato delle prossime elezioni del 2 aprile. I tempi appaiono quindi allungarsi, come in una sorta di gran favore di Erdogan verso Putin. Ma nel loro protrarsi trascinano altre questioni strategiche, politiche, economiche e commerciali globali, in cui l’aspetto militare, da tempo, fa da pericoloso contorno. In ogni caso, la questione della Svezia e della Finlandia nella Nato è vecchia, decisamente datata e solo ora, ad urgenza bellica ucraina conclamata, sta delineando chiaramente come tutte le potenziali implicazioni di questo allargamento all’estremo nord dell’Europa e la rinuncia di costoro alla loro tradizionale neutralità – principio inattaccabile, quasi un dogma - possano però diventare emergenze di sicurezza internazionale.


Un forziere di petrolio e gas

E il macigno-iceberg che rischia di schiantarsi sulla Nato è l’esempio che, nel caso, calza a pennello. Perché se Putin teme una minaccia al suo territorio non è solo, od esclusivamente, dal cuore europeo ucraino, ma soprattutto dalle acque ghiacciate dell’Artico, quel forziere di petrolio e gas (valore stimato, 18 trilioni di dollari, e Mosca detiene il controllo di 43 dei 60 pozzi ora attivi), e di altre ricchezze strategiche (un valore di 30 trilioni di dollari fra pescato e minerali) che considera di sua pertinenza e in grado di agevolargli la vita per i prossimi anni di sanzioni e blocchi economici occidentali. Un forziere a cui Mosca ambisce, possedendo ora mezzi ed ingegneria per accedervi – ed ironia della sorte grazie all’autarchia tecnologica imposta alla Russia proprio dalle sanzioni occidentali del dopo Crimea del 2014 - ma che è appetibile anche ad altri competitors economici e soprattutto militari.

Lo schema di Putin sull’Artico è chiaro a chi da tempo nella Nato fronteggia in quelle acque un numero elevato di incidenti per mano di Mosca, come il sorvolo, con trasponder spento, di suoi caccia e bombardieri sullo spazio aereo sopra il Mar Baltico, oppure per la presenza di suoi sottomarini in prossimità delle acque di Svezia e Norvegia, rilevati magari perché impigliati in reti da pesca di grandi imbarcazioni che solcano quei mari. E una data di inizio di questa escalation di incidenti è appunto la crisi ucraina, non quella del 2022, ma già quella iniziata nel marzo del 2014, con l’annessione della Crimea. Da allora, e in un solo anno, vennero registrate, là, fra i ghiacci artici, oltre 100 violazioni russe dello spazio aereo e marittimo internazionale, mentre Svezia e Finlandia lanciavano allarmi di aiuto alla Nato: la prima attraverso la sua intelligence che, dati alla mano, accusava Mosca di aver tentato di sottrarre materiale militare e di reclutare agenti sul suo territorio; la Finlandia, invece, per le accuse dell’intelligence russa circa infiltrati nazionalisti finlandesi nella sua regione di confine, la Repubblica di Carelia, al fine di alimentare revanscismo e sentimenti antirussi. Insomma, il timore per Helsinki di doversi difendere anche militarmente per accuse (vere o presunte) di una Russia decisa a tutelare i propri interessi nazionali.


Testate nucleari sulle coste polari

E ciò vale in particolare ora, da quando la guerra in Ucraina ha definitivamente infranto l’illusione dell’eccezionalismo dell’Artico, ossia l’essere immune da un conflitto aperto per il suo controllo[1]: e non si tratta solo per la quantità di testate nucleari poste da Mosca a difesa dei suoi 22mila km di coste polari, ma dal fatto che il Consiglio artico, nato nel 1996, e che comprendeva Russia, Usa, Canada, Norvegia, Islanda, Danimarca, Svezia e Finlandia, collaborava collettivamente per mantenere la stabilità e nonostante gli incidenti dei sorvoli russi o, ancora prima, in piena Guerra fredda, il rincorrersi sotto quelle gelide acque dei sottomarini di parte di quelle nazioni. La guerra in Ucraina ha però allontanato la Russia da quel “patto del ghiaccio” e soprattutto dai buoni propositi di tutti i suoi appartenenti, nessuno escluso, in una sorta di un via libero collettivo alla conquista delle acque, dei fondali, delle ricchezze e di tutti i tragitti commerciali che corrono poco più a nord delle norvegesi Lofoten e dalla danese Groenlandia sino appunto al mare di Bering. Date queste premesse, il rischio per Putin è quindi che, con l’entrata di Svezia e Finlandia nella Nato, la dottrina militare dell’Alleanza venga pericolosamente accelerata verso una trazione esclusivamente atlantico-nordica, con attenzione strategica primaria proprio sull’Artico.


Il disegno che fu già di Pietro il Grande

Quella distesa di ghiaccio che sta scomparendo lassù - e alcune previsioni su dati scientifici parlano di totale scomparsa del ghiaccio estivo già nel 2035 - e per questo emblema della lotta al riscaldamento globale, da tempo non è più quindi solo una questione ambientale, ma ha assunto una rilevanza strategica anche per le sue ricchezze e il commercio mondiale. E' soprattutto agevolare l’accesso a quel passaggio a Nord-Est (o Northern Sea Route, NSR) lungo 6000 miglia, dal Mare di Barents a quello estremo orientale di Bering, già ossessione russa di potenza, dallo zar Pietro il Grande in poi. Una via marittima in cui, nel 2021, transitavano poco più di 40 milioni di tonnellate di merci, destinate a diventare 90 nel 2024. Una scorciatoia polare, alternativa ai continui blocchi da incagliamento a Suez o agli ingorghi dello stretto di Malacca, e dove già puntano investitori anche della regione arabica, come la DP World, gigante della logistica portuale degli Emirati Arabi Uniti, che per l’Artico ha destinato 2 miliardi di dollari in infrastrutture, in partnership con la Rosatom, l’agenzia atomica russa. La stessa che, dal 2018, supervede allo sviluppo della NSR e soprattutto provvede a rompighiaccio a propulsione nucleare[2], di cui la Russia abbonda (7, stando ai dati ufficiali e circa 30 convenzionali) mentre gli Stati Uniti (Alaska), Canada e Danimarca scarseggiano ampiamente, soprattutto i primi. E se i rompighiaccio hanno un ruolo limitato nella conduzione di una guerra, sono strategici per garantire la sopravvivenza, ma soprattutto mantenere il dominio di quei mari, che sia economico-commerciale e ancor più militare.


Le acque internazionali del Polo Nord

Tuttavia, se le potenzialità di questa rotta e le immense ricchezze di quelle acque sono note, molto meno è la consapevolezza di quanto vincere in Ucraina, impedire una Nato allargata a Svezia e Finlandia e gestire in solitaria l’intero Artico, facciano parte di un unico grande schema di Putin nella sua guerra all’ordine mondiale targato Usa. E nessuno come lui, ad eccezione di Stalin un tempo, ma siamo negli anni Quaranta-Cinquanta del Novecento, crede nel ruolo globale e storico di quel mare ghiacciato, considerato ben oltre un mare nostrum russo. È per Putin il naturale prolungamento di terra ghiacciata della madrepatria Russia e, quindi, della sua sovranità e per questo lo approccia difensivamente, quando invece l’unica grande distesa di terra ghiacciata è agli antipodi, ossia il grande continente dell’Antartide. Nell’Artico, infatti, vi è solo mare e ghiaccio. La differenza sostanziale sta nella natura del diritto da applicare e far rispettare nei contenziosi fra Stati: se per il Polo Sud è quello territoriale, appunto, da cui le battaglie per le rivendicazioni di sovranità statale di numerose nazioni, per il Polo Nord è quello marittimo di gestione delle acque internazionali, che piaccia o meno a Putin. Una questione di non poco conto nelle diatribe internazionali e di fronte a pretese di possesso sovrano.

L'espansione sulla verticale Nord-Sud

Una sfida a cui è difficile sottrarsi, soprattutto per chi, come Putin, fedele all’Euroasismo di Lev Gumilëv[3], la cui realizzazione ambisce fortemente, vede lo spazio come destino in grado di influenzare l’ethnos, quel concetto che va ben oltre quello occidentale di nazione, e che nel suo caso è il mondo russo, una civiltà slava, sovrana e indipendente da quella europea. Ora, poi, gli fa da cornice dottrinale il pensiero di un Alexandr Dugin, perché nell’Artico confluiscono quelle che definisce “le quattro cinture verticali Nord-Sud”: il continente americano, l’Eurafrica, la zona Asia-Pacifico e la zona Euroasiatica, appunto, comprendente Russia e Asia centrale[4]. In pratica, nell’Euroasismo di Gumilëv e ora di Dugin, e sostenuto diffusamente dal Cremlino, l’espansione di influenza delle grandi potenze, in cui la Russia si riconosce, non va più compresa in modo orizzontale Est-Ovest, ma appunto verticale Nord-Sud. Ed è anche in quest’ottica che si collocano le prossime esercitazioni militari fra le Marine di Russia, Cina e Sudafrica nell’Oceano Indiano, annunciate in questi giorni da Lavrov nel corso di una visita a Pretoria[5].

Non manca poi l’aggancio di Mosca alle ambizioni di Pechino sulle acque gelide dell’Artico, perché la geografia, e sarebbe bene ricordarlo, è sempre ispiratrice a tutto tondo del pensiero cinese. Fra esplorazioni di fondali a nord della Norvegia e accordi con la Finlandia (ora sospesi) per la posa di cavi marini per la digitalizzazione di quella regione, Pechino condivide la fame artica di Mosca. Da qui l’“Operazione dragone bianco” voluta da Putin per una sorta di Via della Seta ghiacciata, il cui scopo è trasformare la Cina anche in una potenza artica. Non è escluso, quindi, l’ipotesi di un Consiglio artico russo-asiatico alternativo a quello occidentale, i cui membri invece sarebbero, con Svezia e Finlandia, tutti nella Nato.


“Non esiste Artico senza Russia e Russia senza Artico"

E poi perché, nelle parole dello stesso Putin, “Non esiste Artico senza Russia e Russia senza Artico, e spaccheremo i denti a chiunque pensi di sfidare la nostra sovranità”, pronunciate non a caso all’indomani (giugno 2022) di quelle di Joe Biden, secondo il quale “per il suo dominio potrebbe scoppiare una guerra”[6]. Da qui, e in linea con il Regaining Arctic Domination, del 2021, Biden ha consentito lo stanziamento immediato di un miliardo di dollari al fine di potenziare e consolidare, anche strutturalmente, nuove basi militari in Alaska (alcune poggiano sul permafrost che si sta sciogliendo), mentre per l’Artico europeo vi provvederà l’auspicato allargamento della Nato a Svezia e Finlandia. Di fatto, il tutto appare come una affannata corsa contro il tempo dopo due decenni di impegno americano in aree decisamente più calde, come l’Afghanistan e l’Iraq. E non è un caso che Mosca, che di solito testa il suo deterrente nucleare nell'Artico in autunno, l’anno scorso l’abbia eseguito il 19 febbraio, cinque giorni prima dell'invasione dell'Ucraina.

A fine luglio, poi, in piena guerra, Putin ha pronunciato una nuova dottrina navale, per impedire il dominio dei mari a Washington, certamente, ma anche per imporre la zampa dell’Orso su quelle acque e le loro ricchezze definite, per la prima volta, “area di responsabilità primaria” per la forza navale russa[7]. Ha potenziato quindi la Flotta del Nord per farne il Quinto Distretto militare del Paese, ha riaperto basi dell’era sovietica e, stando ad immagini satellitari, ha costruito nuove piste di atterraggio lungo la costa settentrionale; inoltre, nel settembre scorso, nonostante il gravoso impegno in Ucraina, ha imposto manovre di sottomarini in quelle acque ed esercitazioni (50mila uomini) nella tundra nord-orientale della Čukotka.


La benedizione del Patriarca Kirill

Eppure, basterebbe conoscere la secolare storia di quelle terre così inospitali per sapere che nessuno, lassù, può farcela da solo: e vale per la navigazione, per lo sfruttamento delle risorse e più che mai per una guerra, soprattutto sapendo di non poter contare, all’occorrenza, sulla Cina, viste le sue titubanze per una NSR che Mosca considera con status di “rotta commerciale interna” con giurisdizione illimitata, quando invece, per Pechino, è esclusivamente una rotta internazionale.

Ma qui interviene il soprannaturale. Proprio perché l’Artico è centrale nello schema strategico di Putin, non poteva mancare la benedizione del Patriarca Kirill, e non solo per il credo messianico russo secondo cui la salvezza, un giorno, sarebbe arrivata dalla Siberia, ma perché “nel Nord c’è il Divino, mentre al Sud c’è la natura”, ossia i canali di Suez e Panama, scavati nella roccia e quindi strappati con violenza dall’uomo contronatura. Lassù, invece, per il Patriarca di Mosca, la rotta marittima del Nord-Est, l’unico passaggio naturale tra l’Europa e l’Oriente, con le loro civiltà che hanno forgiato il destino dell’umanità, è una via naturale e quindi prediletta da Dio, una sorta di Terra Santa della Grande Russia per la quale vale la pena combattere una guerra. E poi perché per sopravvivere nell’Artico, l’uomo deve possedere capacità quasi soprannaturali, che appunto lo avvicinano al Divino. A noi, invece, più profani e prosaici, fra le nefaste conseguenze di un clima ferito e le perforazioni per ricchezze sommerse, accanto ad agguerrite ambizioni di dominio, l’ampia distesa bianca del Polo Nord ci appare sempre più come un enorme buco nero con tanta guerra intorno.


Note [1] Per i dati circa presenza militare Nato e Russia, https://www.reuters.com/graphics/ARCTIC-SECURITY/zgvobmblrpd/index.html [2] https://www.highnorthnews.com/en/russia-launches-new-nuclear-icebreaker-it-looks-east-northern-sea-route-shipping [3] https://www.sicurezzanazionale.gov.it/sisr.nsf/wp-content/uploads/2021/12/Ferrari.pdf [4] A. de Benoist, A. Dugin, Eurasia, Vladimir Putin e la Grande Politica, Napoli 2022, p.72. [5] https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/africa/2023/01/23/lavrov-a-pretoria-a-febbraio-esercitazioni-congiunte-della-marina-di-russia-cina-e-sudafrica_22424a5a-1aa0-4c03-9a22-2f3b77988c51.html [6] https://www.arctictoday.com/a-changing-arctic-could-bring-potential-conflict-biden-says/ [7] https://valdaiclub.com/a/highlights/the-new-naval-doctrine-of-russia/

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