L'anniversario: 25 anni fa, le spoglie del Che sepolte a Cuba
di Vice
Il 17 ottobre del 1997, a trent'anni dalla sua spietata esecuzione avvenuta in Bolivia il 9 ottobre del 1967, i resti di Che Guevara venivano traslati nel Mausoleo di Santa Clara, insieme con le spoglie dei suoi compagni di lotta, da Carlos Coello ad Alberto Fernández Montes de Oca, Orlando Pantoja Tamayo, René Martínez Tamayo, Juan Pablo Navarro-Lévano Chang, Simeon Cuba Sarabia.
Nella cerimonia solenne nella piazza della Rivoluzione di Santa Clara, dove il 31 dicembre del 1958 si era consumato il crollo del regime del dittatore Fulgencio Batista, il Lìder màximo Fidel Castro aveva parlato appena 18 minuti. Un discorso commosso, ma limitato nella sua esposizione sui vissuti personali e politici dell'icona della rivoluzione cubava che ispirava i movimenti rivoluzionari e le aspettative dei giovani nel mondo. Pochi giorni prima, il ministro della difesa Raul Castro, fratello di Fidel e designato a succedergli, aveva salutato nella piazza della Rivoluzione, in cui si eleva il monumento a José Martì, l'ultimo viaggio del Che da l'Avana a Santa Clara, con un percorso inverso a quello dei giorni del ferro e del fuoco.
Ma Ernesto Che Guevara, entrato nel mito e nella leggenda, era diventato, forse anche per i vertici del governo cubano, qualcosa di diverso da quel "comandante" degli anni Cinquanta. Ideali e passioni si erano come eternizzati al servizio di un consumismo ideologico che si presentava e ancora si presenta con un corredo di magliette, felpe, fotografie, dvd, libri.
In quegli stessi giorni, dalla Buchmesse, la Fiera del libro di Francoforte, dove furoreggiava la figura del Che, lo scrittore peruviano, Mario Vargas Llosa, diventato un corrivo liberal, s'intratteneva con i giornalisti, chiosando sulla mercificazione dell'immagine dal capo guerrigliero quasi con una vena malinconica, ma in odio a Fidel Castro: "Credo che il Che si rivolterebbe nella tomba. Questa mondializzazione del suo mito mi fa un effetto strano. In parte è divertente, d’altro canto è triste vederlo trasformato in un prodotto di massa. Qualcosa di imposto dalla pubblicità. Tutto quello per cui ha combattuto, contro cui lui si è scagliato per anni è completamente distrutto. La sua popolarità è il simbolo della sua disfatta. Credo proprio che si tratti della dimostrazione che le sue idee sull’avvenire, su come il mondo avrebbe dovuto evolversi sono state dimenticate. Il Che era contro il commercio, la società dei consumi".[1]
Con toni diversi, ma nella sostanza identici, si esprimeva anche lo scrittore messicano Jorge G. Castaneda, autore della biografia del guerrigliero argentino Companero: vita e morte di Che Guevara: "[...] è un mito culturale soprattutto perché l'epoca che simboleggia ha lasciato tracce profonde. Negli Anni Sessanta politica e cultura procedettero assieme, ma la cultura è durata mentre la politica no. [...] Gli Anni Sessanta sono ancora fra noi perché hanno causato una irreversibile rivoluzione culturale nella parte moderna del globo. Qualcosa cambiò, nel 1968, per cui il mondo non sarebbe più stato lo stesso. [...] Dunque il Che sta bene nel posto che gli è proprio: nelle nicchie riservate alle icone culturali, nei simboli di quelle ribellioni che filtrano in profondità nel terreno della società sistemandosi nei suoi angoli e fessure più riposti. Per molti di noi, oggi, le poche caratteristiche attraenti e degne della nostra vita quotidiana sono dovute agli Anni Sessanta, e Che Guevara impersona quell'epoca meglio di chiunque altro". [2]
Per un singolare caso del destino, il giorno successivo all'inumazione del Che, moriva ad Atlanta, in Georgia, colpito da un feroce tumore ai polmoni Roberto Goizueta, amministratore delegato della Coca-Cola, considerato uno dei più talentuosi manager della multinazionale americana. Nato a Cuba 65 anni prima da una famiglia facoltosa, con l'avvento del castrismo Goizueta aveva abbandonato l'isola nel 1960 insieme con i suoi cari e un centinaio di azioni della Coca-Cola che gli derivavano dall'essere stato un dipendente a Cuba della società di Atlanta. Di sé amava dire con ironia che se non fosse stato per Fidel Castro - e per il Che, si potrebbe aggiungere - lui non sarebbe esistito, almeno non come manager di successo e d'inventiva, e uomo più ricco della comunità ispanica negli Stati Uniti, il 120esimo nella classifica dei più ricchi d’America pubblicata da Forbes.[3]
In quegli stessi giorni, mentre la televisione dell'Havana raccontava la vita del Che visto da più angolazioni, e conosciuto da amici e compagni di lotta, i cubani erano emotivamente attratti da ciò che stava accadendo nel braccio di mare che li separa dagli Stati Uniti. A Miami, un loro connazionale di 22 anni, dal cognome famoso Livan Herandez, stava portando per mano al titolo delle World Series 1997, 93ª edizione della serie di finale della Major League Baseball, la squadra dei Florida Marlins opposta ai Cleveland Indians. Hernandez, fratello del fuoriclasse Orlando, cancellato dalla storia del baseball cubano per i sui rapporti con agenti sportivi americani, aveva approfittato due anni prima di una tournée in Messico della nazionale cubana per chiedere asilo politico a Monterrey. Nel 1996, era passato da qualche decina di dollari al mese di guadagno a Cuba a un ingaggio premio di due milioni e mezzo dollari e a quattro milioni di stipendio per quattro anni firmando per i Marlins.
Dal Che a Livan Hernandez, passando per Roberto Goizueta, prendeva così forma in quei giorni di ottobre l'idea di libertà e emancipazione diversamente intese che ancora dividono Stati Uniti e Cuba, con quest'ultima all'indice di un anacronistico el bloqueo, l'embargo.
[1] Antonella Fiori, «Il Che si sta rivoltando nella tomba» Vargas Llosa attacca l’ultima moda, l'Unità 20 ottobre 1997 in https://archivio.unita.news/assets/derived/1997/10/20/issue_full.pdf
[2] Jorge G. Castaneda, Icona dei nostri Anni Sessanta, La Stampa, 18 ottobre 1997 in http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,16/articleid,0616_01_1997_0287_0153_8417857/
[3] Anna Di Lellio, Roberto Goizueta La scalata di un cubano in vetta alla Coca Cola, l'Unità, 19 ottobre 1997 in https://archivio.unita.news/assets/derived/1997/10/19/issue_full.pdf
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