L’allarme di Biden: Covid e autocrazia, facce malate della stessa medaglia
di Giuseppina Viberti e Germana Zollesi |
L’appello, per non dire l’urlo, lanciato dal presidente americano Biden a favore delle democrazie rischia di cadere nell’oblio a vantaggio di autocrazie che rischiano di prendere il sopravvento. L’argomento è fastidioso e mette a nudo le difficoltà in cui si dibatte il nostro mondo decadente alla ricerca di problemi che non si ha la voglia o la capacità di affrontare, anziché fronteggiare i veri pericoli che incombono sul nostro futuro.
La democrazia è tale solo se viene esercitata: cioè se ci sono persone che s’impegnano per renderla attuale e si realizzano le condizioni affinché si possa realizzare. Nel ripassare il corso della storia sono più le organizzazioni che hanno scelto forme di assolutismo politico accentuato dove il potente (in passato il sovrano) ricavava da sé stesso la propria autorità. Napoleone che pone sul suo capo la corona ferrea ne è una delle iconoclastica rappresentazioni. Il declino delle democrazie
Il mondo attuale ripropone nuove forme di autocrazia, meno evidenti e per questo ancora più pericolose. Alle democrazie del mondo non rimane quindi che allearsi per resistere e respingere prevaricazioni che assumono tratti sempre più violenti. L’alternativa è quella di disinteressarsi e sperare che le popolazioni oppresse trovino la forza di ribellarsi, come hanno fatto pressoché tutte le popolazioni che oggi godono della libertà. Ma è un processo di reazione che sta mostrando la corda. Non a caso, Joe Biden ha sottolineato come la «metà delle democrazie hanno sperimentato un declino negli ultimi dieci anni, compresi gli USA, un paese minato da quattro anni di presidenza Trump e dal suo tentativo di invalidare il voto elettorale. La sfida dei nostri tempi è preservare la democrazia» e «unirci contro le autocrazie»: l’appello della Casa Bianca ad una mobilitazione per difendere diritti e libertà non può lasciare indifferenti. La pandemia ha ulteriormente messo a dura prova il rapporto tra governi e cittadini proprio quando in diverse parti del mondo (da Formosa, alla Crimea, dalla Turchia alla Libia, dalla Bielorussia ad Hong Kong) forze antidemocratiche sfidano le democrazie, forti di un accresciuto peso economico-strategico tale da rendere vane eventuali sanzioni. Il concatenarsi di situazioni ha fatto sì che in molte realtà non solo si realizzino forme autoritarie ma queste sono avvallate da meccanismi elettorali e richiami a legittimazioni di vario genere utilizzate in sfregio dei diritti individuali e collettivi. Per mantenere il loro potere sono disposti a destabilizzare il sistema che li circonda: non conoscono limiti costituzionali fissati dai principi stabiliti in sede ONU, utilizzando sfacciatamente gli strumenti di cui dispongono, declinando in funzione dei loro interessi il rispetto di qualsiasi accordo. Le contraddizioni emerse al G20
In questo contesto sentir parlare di dittatura sanitaria e arrovellarsi in un’infinità di dispute sull’uso del green pass o discutere se il generale Francesco Paolo Figliuolo debba indossare la divisa o abiti civili sembra quanto mai anacronistico. Forse la nostra società pone l’attenzione sui problemi che conosce e crede di saper affrontare e mette nel dimenticatoi gli appelli di Biden, semplicemente perché scomodi. Al recente vertice del G20 sull’argomento (9 e 10 dicembre) sono emerse profonde contraddizioni nel “fronte democratico”: Taiwan, è un’autentica democrazia, ma sempre più frequentemente viene sorvolata da aerei da guerra stranieri; la Russia sta ammassando truppe al confine con l’Ucraina (ufficialmente entrambe democrazie); per alcuni, la Bielorussia organizza un’invasione dell’Europa sfruttando la disperazione degli immigrati del Medioriente; il leader libico Gheddafi fu rimosso grazie ad un intervento armato, ma in Libia non è comparsa nemmeno l’ombra di democrazia. La Cina di Xi Jinping si descrive come una democrazia più compiuta perché più efficace, facendo presa sui Paesi in via di Sviluppo. E quest’ultimo aspetto deve essere tenuto sotto osservazione dall’Occidente democratico in questa fase della pandemia per non correre il rischio di passare come forza decadente ed intellettualoide verso i grandi proclami, ma dalla scarsa incisività pratica. In questo contesto emergono tutte le storture delle nostre democrazie incapaci di attuare appieno politiche di contrasto al virus o, più correttamente, non riesce a stabilire un indirizzo preciso e mantenerlo per un periodo prolungato (dando così l’impressione di rimanere imbelli di fronte all’evolversi della situazione). Pensare che il nostro modo di agire tentennante, incapace di vaccinare tutta la popolazione ed attuare misure di protezione durante le manifestazioni di piazza, possa essere esportato in tutto il mondo per poterlo mettere al riparo dagli effetti della pandemia, appare inconsistente. Il Terzo mondo va difeso dall’assalto del virus
Il virus ha colpito dapprima i Paesi più ricchi del mondo, causa il loro maggior livello di integrazione ed interconnessione globale, coinvolgente commercio, turismo e scambi culturali. E al virus, i paesi ricchi hanno opposto un sistema sanitario sviluppato e politiche di prevenzione quali il distanziamento fisico, l’uso di mascherine per il viso e di sostanze igienizzanti, la possibilità di isolare le persone nelle proprie abitazioni. Una strategia di alto profilo, pressoché impossibile da ricreare in numerose aree del mondo, dove la propagazione del virus ha mostrato uno sviluppo ciclopico se non si dispone di acqua corrente o supporti per la refrigerazione dei cibi.
Tra l’altro, laddove persistono endemicamente malattie parassitarie tropicali, malaria, HIV/AIDS, tubercolosi e colera la capacità di assorbire gli shock della pandemia è decisamente inferiore. I primi dati della provincia sudafricana di Western Cape indicano che le persone che convivono con l’HIV o la tubercolosi hanno un rischio di decesso a causa del COVID-19 più che raddoppiato; analoga situazione nelle riserve Navajo in New Mexico, e tra i lavoratori migranti a Singapore che vivono in dormitori che ospitano fino a 20 persone per camera, solo per citarne alcuni.
Altro problema da non sottovalutare (che ha ricordato in un’intervista televisiva anche il presidente dell’Istituto Mario Negri) è la logistica della distribuzione dei vaccini in Paesi come l’Africa, l’America Latina e il sudest asiatico dove ci sono villaggi senza strade percorribili, dove manca la luce per conservare nei frigoriferi i vaccini e dove la medicina tradizionale è scarsamente considerata. Se l’OMS non chiederà aiuto alle Organizzazioni che da anni lavorano in questi territori sarà molto difficile vaccinare queste popolazioni che continueranno a fungere da serbatoio per le nuove varianti virali.
È giunto il momento di riflettere tutti insieme se la pandemia si sta trasformando in una endemia con un approccio completamente diverso in quanto lo stato di emergenza sta per finire e quindi fra poco i nostro ospedali e laboratori perderanno decine di lavoratori (medici, infermieri, tecnici, ecc) assunti per affrontare la grave carenza di personale presente in Sanità dopo anni di tagli senza una programmazione adeguata. L’Occidente però non può ignorare che il diffondersi del virus in altri Paesi si ritorcerà inevitabilmente su di sé, creando nuove variabili e nuove ondate, così come ignorando i pericoli per la democrazia, prima o poi, la storia presenterà il conto. L’ignorare questi problemi e non raccogliere l’appello di Biden di «combattere instancabilmente per essere all’altezza degli ideali democratici» per concentrarsi su aspetti del tutto marginali è forse il peggior pericolo che stiamo correndo.
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