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L'Aids non è scomparso, ma è soltanto "oscurato"

di Giuseppina Viberti e Germana Zollesi

Facciamo un passo indietro e riandiamo al 1° dicembre scorso, 35a edizione della Giornata Mondiale per la Lotta all’AIDS, istituita nel 1988 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.  Il 1988 non fu un anno particolarmente significativo per la sindrome conosciuta oramai dall'inizio degli anni Ottanta, anche se negli Stati Uniti e in altre aree del mondo si erano già registrati casi isolati. La conoscenza della malattia esplose a livello planetario attorno al 1985, quando il noto attore americano Rock Hudson fece coming out, uscì allo scoperto, ammettendo di aver contratto il virus dell'Aids. Seguirono altre vittime note e meno note, molte delle quali era state infettate attraverso trasfusioni di sangue, come l'ex tennista statunitense Artur Ashe, risultato positivo all'HIV nell'agosto del 1988, e a nulla valsero le terapie con il primo farmaco approvato per contrastare la malattia, la molecola dell'AZT, inibitrice dell'enzima della transcrittasi inversa virale. I risultati non furono immediatamente positivi, però accesero proprio nel 1988 la speranza che la scienza sarebbe riuscita a trovare il giusto antidoto. Operazione in parte riuscita che ha avuto però come effetto collaterale quello negativo di progressiva riduzione della percezione del rischio: la collettività non vive più la malattia come un'emergenza, nonostante il numero di contagi e di vittime. Un serio problema che è stato riproposto dalla giornata mondiale per la lotta all'Aids.


Lo slogan della Giornata ‘Let communities Lead’, promosso da UNAIDS (il programma delle Nazioni Unite per l'HIV/AIDS), contiene la chiara indicazione a coinvolgere in tutte le politiche per la lotta all’Aids le varie comunità che sono a rischio o sono colpite dall’HIV.   

Una ricerca condotta da Elma Research su 500 persone con HIV, ha evidenziato che il 40% ha scoperto la positività per caso e due pazienti su 10 non condividono la notizia per paura di essere giudicati o emarginati. Questo importante dato evidenzia che, nonostante siamo passati 35 anni da quando è stata creata la giornata per la lotta all’HIV, la consapevolezza e le informazioni su questa malattia da parte della popolazione generale non sono ancora mature.

Oggi la malattia attraverso trattamenti specifici, può essere tenuta sotto controllo garantendo una buona qualità della vita. Se la terapia è assunta regolarmente, il virus diventa non più rilevabile nel sangue e non trasmissibile da cui deriva il concetto di “Treatment as Prevention”.


Incidenza della malattia in Italia

Le nuove diagnosi sono state 1.888 con un calo dal 2012 e un leggero aumento negli ultimi due anni post-covid. L’incidenza più elevata di nuove diagnosi si riscontra nella fascia di età 30-39 anni, fino al 2019 era tra 25 e 29 anni. La via di trasmissione più frequente è quella sessuale. È confermato il trend dal 2016 ad oggi con la riduzione del numero di nuove diagnosi fra gli stranieri. È invece preoccupante il dato di diagnosi tardive, a volte già in AIDS, e un sommerso di positivi che può essere stimato in circa 140.000 positivi inconsapevoli dell’infezione.

Circa la metà dei pazienti HIV + dichiara di conoscere il valore della viremia indispensabile per decidere con il proprio medico il percorso terapeutico ottimale.

È interessante il dato che circa il 40% dei pazienti ha appreso casualmente dell’infezione (accertamenti fatti per altra patologia, ricovero ospedaliero); dopo la notizia, quasi il 100% dei soggetti comunica la propria condizione a qualcuno: soprattutto partner, famigliari, medico di base; gli amici vengono esclusi in due casi su tre per la forte componente di stigma dato da questa malattia.

In termini comunicativi si può affermare che l’attenzione verso la patologia HIV, così come sta succedendo per il Covid, passata la grande paura tende a scemare e con essa la possibilità di attuare misure di prevenzione idonee: per questa ragione, ricordare periodicamente i danni che può provocare una malattia risulta quanto mai opportuno. 

L’aderenza alla terapia è un punto cruciale: più di un terzo delle persone che vivono con HIV non sempre assumono la terapia. I pazienti chiedono: facilità all’approvvigionamento dei farmaci, contenimento degli effetti collaterali, facilità di assunzione. Inoltre è richiesta maggiore attenzione alla salute mentale: ansia, depressione, insonnia, sono problemi comuni di questa coorte di pazienti. Molti si sentono discriminati soprattutto per quanto riguarda la serenità, la vita sessuale, le relazioni con gli altri e con sé stessi.

Assumere correttamente la terapia (sicuramente molto impegnativa e con effetti collaterali da non sottovalutare) serve a ridurre la carica virale e rendere il virus non trasmissibile evitando la diffusione ad altre persone (vale l’equazione U=U Undetectable=Untrasmittable). Inoltre l’assunzione corretta dei farmaci diminuisce in modo significativo la comparsa di mutazioni del virus che possono causare la “resistenza ai farmaci anti HIV”.


Prevenzione e cura

Il tema è fondamentale. Molto si è fatto, ma molto resta da fare se pensiamo che oltre il 40% dei pazienti, come abbiamo ricordato, ha scoperto la positività all’HIV in modo casuale e soprattutto ci sono circa 140.000 positivi inconsapevoli che possono trasmettere il virus.

Come per le infezioni ospedaliere è iniziata la campagna di comunicazione, ma sarebbe assolutamente necessario riproporre un’attività formativa a livello di media, giornali, ecc. per evitare il dilagare della malattia. Una recente indagine italiana ha messo in evidenza come ogni paziente infettato dal virus dell'Hiv costi circa 8mila euro l'anno tra farmaci ed esami di controllo.

Attualmente è in commercio il farmaco per la profilassi pre-esposizione all'Hiv (PrEP), che va assunto quotidianamente (limitatamente ad un periodo) e ha un costo che si aggira intorno ai 60euro al mese e può essere comprato a carico del SSN se prescritto da un medico infettivologo. Questo farmaco va assunto su indicazione medica e non è certamente la soluzione al problema della trasmissione della malattia.

Costi decisamente più sopportabili delle prime terapie messa a punto all’esplodere della malattia: esperienze accumulate e ricerche scientifiche permettono di meglio gestire qualsivoglia forma morbosa, ma la loro efficacia dipende anche dall’aderenza che i soggetti riescono a mantenere ni confronti delle prescrizioni impartite. Forse la più grande rivoluzione scientifica è riuscire a far applicare le conoscenze dettate dalle evidenze scientifiche.

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