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L’agenda politica della settimana: “Congeliamo Quirinale e Palazzo Chigi”

a cura di Claudio Artusi |

La settimana ha vissuto sia nell’attesa che nel commento del saluto di fine anno del Presidente della Repubblica. È chiaro che si cerca nel detto e soprattutto nel non detto i segnali che ci chiariscano ciò che sta accadendo. Provo a mettere in fila, secondo costume, alcuni dati di fatto. Innanzitutto il Coronavirus nelle sue molteplici varianti è il convitato di pietra, sia perché è probabile che fra il 10% ed il 20% dei grandi elettori potrebbe essere impedito nel partecipare alla votazione, sia perché l’emergenza mal si concilia con l’esercizio della più alta espressione della nostra democrazia. Se ci soffermassimo a riflettere su quanto sopra, dovremmo stupirci che un uomo delle istituzioni come il presidente Mattarella faccia prevalere la rigidità del rispetto della forma costituzionale all’interesse del Paese, che plausibilmente oggi chiede stabilità e continuità. È lecito dunque presumere che un profondo conoscitore della palude delle due Camere parlamentari come il presidente Mattarella abbia il fondato sospetto che un suo gesto di generosità istituzionale si infranga contro una malmostosa barriera di veti e interessi contrapposti. Altro elemento poco chiaro è la quasi esplicita volontà del presidente Draghi di considerare conclusa la sua attuale missione e di mostrare disponibilità ad una sua chiamata al Colle. La sua missione in realtà è solo iniziata e presumere di compierla per interposta persona è una ingenuità che non è certo da Draghi. Senza fare dietrologia, l’atteggiamento del Presidente del consiglio può esprimere una disaffezione dal ruolo che sta svolgendo per via delle crescenti difficoltà che la sua maggioranza crea al governo, soprattutto in vista del rinnovo del Parlamento. Vi è poi un popolo che un tempo si direbbe di peones che sanno che, sia per la riduzione del numero di parlamentari, sia per la presumibile modifica del peso elettorale dei partiti, hanno modeste possibilità di riconferma. Si calcola che solo un 20%/30% degli attuali parlamentari siederanno nell’emiciclo. Senza cinismo, ma con realismo, è plausibile che il fattore di autoconservazione induca a scelte che allontanino il rischio di uno scioglimento anticipato delle Camere. Di conseguenza, i segretari dei partiti, nessuno escluso, hanno pochissima presa sui gruppi parlamentari: sono, si direbbe, generali senza esercito, o quasi! Il clima, dunque, con cui ci avviciniamo all’appuntamento ha molte nubi e nebbia spessa. Può darsi che spunti il sole, ma è altamente probabile che piova e se così fosse l’altissimo debito e gli impegni internazionali da onorare diverrebbero un fardello insopportabile da sopportare non solo per le prossime generazioni, ma già per la nostra. Non faccio una previsione ma un augurio personale, da cui non mi sono discostato fin da primi interventi sul futuro inquilino del Quirinale: che, nonostante tutto, il Presidente della Repubblica e il Presidente del Consiglio rimangano inchiodati nei loro ruoli attuali fino alla fine della legislatura.

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