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L’addio ad Angelo Del Boca, raccontò la verità sui crimini coloniali dell’Italia

di Stefano Marengo|


Si è spento a Torino Angelo Del Boca, classe 1925. Partigiano, giornalista alla Gazzetta del Popolo e al Giorno, storico, fu il primo a denunciare i crimini dell’Italia nelle guerre coloniali e l’uso dei gas contro le popolazioni civile durante l’invasione voluta da Mussolini dell’Etiopia nel 1935.

L’Italia, si sa, ha difficoltà a fare i conti con il proprio passato. Nel nostro paese, ancora oggi diamo credito al mito degli “italiani brava gente”. Amiamo dipingerci come pacifici bonaccioni animati da un fondamentale altruismo. I barbari, in fondo, sono sempre gli altri. E così, se pure dobbiamo ammettere che nella tormentata storia del Novecento l’Italia ha commesso degli “errori”, ne concludiamo per forza di cose che ciò è accaduto perché ci siamo ingenuamente trovati presi in mezzo a vicende che non ci riguardavano o più grandi di noi. Siamo caduti nel tranello perverso che ci è stato teso dai veri barbari. Noi non abbiamo – non possiamo avere – alcuna responsabilità. Al termine della seconda guerra mondiale, complice anche un comprensibile desiderio di ritorno alla “normalità”, fu facile – troppo facile – nascondere le responsabilità italiane sotto il tappeto delle atrocità naziste. Di fronte all’enormità di Auschwitz e alla devastazione del fronte orientale, i crimini commessi in Africa e nei Balcani in nome dell’Italia monarchica, che nel frattempo era diventata Repubblica, sembravano poca cosa. Nacque in questo modo una sorta di patto del silenzio che presto, in modo piuttosto sintomatico, venne esteso anche a fatti che risalivano a molti anni prima del conflitto, talvolta a prima del fascismo. Eventi come la colonizzazione dell’Etiopia, la conquista e la riconquista della Libia, la pulizia etnica delle minoranze slave in Istria e Dalmazia scomparirono dal dibattito pubblico, divennero il non detto della nostra coscienza nazionale. Questo muro di omertà, che per più di un verso è tuttora in piedi, cominciò ad essere scalfito nel 1965, quando Feltrinelli diede alle stampe La guerra d’Abissinia 1935-1941, il primo libro dedicato da Angelo Del Boca alla storia del colonialismo italiano in Africa. Del Boca, che si è spento ieri a Torino a novantasei anni, ha avuto la capacità tipica dei grandi intellettuali di coniugare il rigore della ricerca scientifica con la passione della militanza antifascista. Le due dimensioni, per lui, erano intimamente correlate. Per Del Boca, in altri termini, l’impegno per la verità storica era al servizio della convivenza democratica e repubblicana, mentre la postura civile, politica e morale antifascista, per converso, era un prerequisito indispensabile per la correttezza scientifica. Al primo libro del 1965 Del Boca fece seguire, negli anni Settanta e Ottanta, una serie di pubblicazioni, in particolare i quattro volumi di Gli italiani in Africa orientale e i due volumi di Gli italiani in Libia, che furono altrettante pietre miliari per la ricerca sul colonialismo. A titolo meramente esemplificativo, si può ricordare che fu proprio in quei libri che, con una precisione chirurgica, Del Boca documentò crimini come l’uso di armi chimiche sulla popolazione etiope, stragi come quella del monastero copto di Debra Libanos, le azioni genocide dell’esercito italiano in Libia. Ma i meriti di Del Boca non si esauriscono nei temi specifici della sua ricerca. La sua forza è stata la capacità di influenzare nuove generazioni di studiosi, non solo italiani, che negli anni più recenti hanno ulteriormente approfondito la vicenda coloniale italiana. Soprattutto, Del Boca è stato capace di inserirsi in un dibattito pubblico italiano sempre refrattario, per non dire ostile, a confrontarsi con questo passato scabroso. Celebre, in questa chiave, fu la sua polemica con Indro Montanelli, che pervicacemente minimizzava le responsabilità dell’Italia in Etiopia e giunse a definire oscenamente quello mussoliniano – che aveva il suo braccio armato nei marescialli Badoglio e Graziani – come un colonialismo mite, bonario e rispettoso delle popolazioni soggiogate. Con la morte di Del Boca viene meno, senza dubbio, un grande testimone e un ancor più grande studioso del Novecento. Ciò che ci lascia non sono soltanto dei libri che non perdono di attualità, ma l’idea stessa che la liberazione dal fascismo rimarrà anche per noi sempre incompleta se non faremo davvero i conti con i crimini commessi dall’Italia al di fuori dei confini nazionali. L’eredità di Del Boca che oggi più ci riguarda, insomma, è la convinzione che la nostra coscienza democratica e repubblicana sarà sempre precaria e instabile se non guarderà davvero in faccia la sua stessa storia nei suoi lati più neri, nero pece. Occorre dare parole al non detto, conoscerlo, assumersene la responsabilità. L’alternativa è il continuo risorgere, nel ventre molle della nostra società di pulsioni autoritarie e neofasciste. La storia di questi anni, in fondo, non fa che confermarlo.

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