Isabella Rauti e una mostra che ci racconta che cos'è stato il suo nostalgico "prima"
Aggiornamento: 19 gen 2024
di Menandro

Non è frequente che l'apertura di una mostra coincida in tempo reale con l'esplosione di una polemica politica. In questo caso, però, è quanto di più salutare - soprattutto per le generazioni più giovani - ci si potesse augurare per il tema e gli argomenti esposti nella mostra che si apre domani, 20 gennaio, nell'Aula magna del Liceo Artistico Cottini di Torino. A cominciare dal titolo e sottotitolo che non danno scampo a interpretazioni di maniera o di circostanza: "Quando morì mio padre. Disegni e testimonianze di bambini dai campi di concentramento italiani del confine orientale (1942-1943)". Il che ci porta direttamente a una delle pagine più atroci della nostra storia: l'occupazione dei territori jugoslavi e per effetto transitivo ai comportamenti delle nostre truppe di occupazione al comando del generale Mario Roatta, già capo dei servizio segreti (SIM) e mandante dell'assassinio dei fratelli Rosselli in Francia, uccisi da esponenti della Cagoule (Cappuccio), l'organizzazione di estrema destra francese contigua al fascismo italiano. Roatta, comandante dell'esercito italiano nella provincia di Lubiana, fu l'autore della "Circolare 3C", con cui si impartivano precise disposizioni di rappresaglia nei confronti della popolazione slovena e la deportazione nei campi di concentramento di Arbe e Gonars degli elementi giudicati ostili. Perseguito come criminale di guerra, fu aiutato ad espatriare in Spagna, al riparo della giustizia, sotto l'ala protettrice del dittatore Franco.
Le atrocità commesse dagli italiani - tutt'altro che italiani brava gente in quegli avvenimenti, così come in altri contesti di guerra, dalla Libia all'Eritrea, alla Etiopia - sono note e sono state documentate con onestà intellettuale dallo storico Angelo Del Boca. Non c'è nulla da aggiungere. Se non che ogni popolo deve fare i conti con sé stesso quando dal proprio passato emergono le aggressioni verso altri popoli.

Questa è la storia. Cruda. Il resto è urticante propaganda e demagogia. Giudizio cui non si accoda, come suggeriscono le cronache e le code polemiche di oggi, la senatrice Isabella Rauti, figlia di Pino Rauti, giovane volontario nella RSI, la Repubblica sociale italiana, fondatore di Ordine Nuovo, organizzazione fascista, senza necessariamente il prefisso "neo" che la precede nelle ricostruzioni storiche, sotto la lente della magistratura durante gli anni della Strategia della Tensione per le sue collusioni con l'eversione nera, e non solo. Oggi Isabella Rauti, militante nel Fronte della Gioventù negli anni Sessanta e poi nel Msi, è sottosegretaria alla Difesa, ed è stata indicata come colei che ha voluto il Calendario dell'Esercito 2024. Una pubblicazione alla sua 27a edizione che si fa precedere da un titolo ridondante, prima ancora che ambiguo o grondante di retorica: "Per l'Italia sempre". Cui segue "Prima e dopo l'8 Settembre...", sottotitolo che fa vibrare le corde dei demiurghi della comunicazione cui è stato commissionato uno spot per rovesciare la realtà, in questo caso, dopo il senso di Patria, il senso della Storia, l'uno e l'altro in sospetto odore di falsità e di manipolazione.
Perché "Per l'Italia sempre", atto di amore per la Patria, presuppone che fino a ieri non lo si fosse o lo fosse, soltanto appannaggio di una parte, quella giusta..., quasi senza ombra di dubbio, per le sue origini politiche, quella della sottosegretaria Isabella Rauti. Che è la medesima, singolare tempismo l'uscita del Calendario, che ha ricordato con il saluto fascista a Roma, le vittime di Acca Larentia.
Un ringraziamento profondo alla frase "Prima e dopo l'8 settembre" è invece dovuto, proprio per l'evidente tentativo di liposuzione della retorica storica insita in essa, alla sottosegretaria del governo Meloni. Lo si deve con estrema sincerità. Perché apre da destra il dialogo su quel "prima" che certifica la morte della Patria, assassinata dal Fascismo, cioè da quella dittatura di cui sono ancora molti, troppi, a sentirsi eredi e nostalgici, e quindi implica il riconoscimento del "dopo", sulla resurrezione della Patria, sul coraggio di centinaia di migliaia di soldati che seppero dire "no" ai nazisti, che rifiutarono l'ingresso nell'Esercito di Salò, ai soldati che dopo l'8 settembre si batterono a Porta San Paolo contro le divise della Wermacht, alla Divisione "Acqui" che scelse di combattere a Cefalonia piuttosto che scivolare nel disonore, consegnando le armi ai tedeschi e, infine, sulle migliaia di soldati che in quel "dopo" presero la strada dei monti e formarono i primi nuclei partigiani di Resistenza per combattere i nazifascisti.
La sottosegretaria Isabella Rauti, al netto delle polemiche, merita dunque un caloroso plauso per la sua deliberata iniziativa che permetterà a chi da domani visita la mostra del Liceo Cottini, di "pesare" bene quel "prima" e quel "dopo". E non soltanto storicamente.
Plauso doppio, perché da oggi, l'Italia democratica ha la scientifica certezza che non deve assolutamente abbassare la guardia, e non lo devono fare soprattutto quei militari sinceramente democratici, dinanzi a possibile rigurgiti fascisti. Che non sono di oggi, ma di di antica data, non appena si metta sotto la lente d'ingrandimento della storia del Secondo dopoguerra, i rapporti tra Forze armate e cenacoli fascisti, tutt'altro che velleitari o innocui, quando in Italia si avverte il vento della richiesta di cambiamento sociale.
Il pensiero corre ai tentativi di colpo di Stato a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta dal "Piano Solo" (1964) del generale, comandante dell'Arma dei Carabinieri, Giovanni De Lorenzo, già capo del Sifar (il servizio segreto militare) al putsch dell'8 dicembre 1970 avviato con l'irruzione di militari al Viminale, organizzato dal principe Junio Valerio Borghese, comandante della X Mas, al cosiddetto "golpe bianco" del 1974 che aveva come ispiratore principale l'ex comandante partigiano ed ex ambasciatore Edgardo Sogno e tra i ministri del governo "forte", secondo la versione pubblica dello stesso Sogno, dell'eroe della Seconda guerra mondiale Luigi Durand de la Penne e Ivan Matteo Lombardo, socialdemocratico il cui nome compariva già tra i patrocinatori del famoso convegno all'Hotel Parco dei Principi nel 1965, considerato la pietra miliare dell'avvicinamento alla luce del sole dell'intellighenzia della destra fascista alle alte sfere delle Forze armate e dei Servizi, anticamera delle operazioni sotto copertura del terrorismo di destra nazionale e internazionale in funzione antidemocratica, attraverso la preparazione di una guerra non convenzionale.
Fu un convegno quello di Roma, cui parteciparono ex repubblichini, giornalisti di provata fede fascista di cui si circondava l'allora Capo di Stato Maggiore dell'Esercito (l'anno successivo, promosso Capo di Stato maggiore della Difesa), il generale Giuseppe Aloja, e nelle vesti di "uditori" Mario Merlino e Stefano Delle Chiaie, il gotha di Avanguardia nazionale, protagonisti della tetra stagione di bombe e attentati sui treni e nelle piazze in Italia. Da quell'assise, promossa dal generale Aloja, prese a circolare il famoso libello "Le mani rosse sulle Forze armate", scritto provocatorio, strumentale, infarcito di menzogne, costruito artatamente a quattro mani proprio da Pino Rauti e dal giornalista e agente segreto del Sifar, poi Sid, Guido Giannettini, neonazista dichiarato, personaggio centrale in tutte le torbide operazioni di destabilizzazione nel Paese, prima tra tutte la strage di Piazza Fontana. Un libro finanziato personalmente da Aloja come ammise (anche se all'epoca non sfuggì alla sensazione di essere una versione di comodo) lo stesso generale interrogato dai magistrati di Milano che nel settembre del 1974 indagavano proprio sui rapporti con Guido Giannettini.
Oggi, per fortuna, non circolano libri di propaganda, ma soltanto un calendario che come un giano bifronte dà l'impressione di voler sedurre gli amanti dei ritorni in scena. E non si vedono all'orizzonte agenti segreti infedeli, militari con la tessera della P2. Ma non illudiamoci: il passato è sempre tra di noi, non ritorna soltanto nella stessa forma.
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