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Insicurezza ad oltranza (parte 1)

Aggiornamento: 21 apr 2023

di Emanuele Davide Ruffino e Germana Zollesi

Gli effetti scatenati dal virus su generazioni mai colpite da una pandemia, hanno interessato tutti gli asset portanti della società con una particolare preoccupazione sulla capacità di reazione da mettere in atto per affrontare la crisi. Ad essere intaccato è il modo di essere, in quanto le ferite inferte alle nostre sicurezze saranno profonde. Per secoli, allo scoppio di una epidemia ci si rifugiava nella “fede” di manzoniana memoria (oggi per scambiarci un segno di pace dobbiamo ricorrere agli sms), facendo mancare quella solidarietà di gruppo che ha aiutato le popolazione a mantenere un’unitarietà di azione nei periodi bui. Inoltre, il rifugiarsi negli esperti e nelle task force non sembra più offrire sicurezza, sia per oggettive carenze dei pareri espressi, sia per l’atteggiamento ondivago assunto dai detentori del sapere. Il fatto che ci siano difficoltà nell’interpretazione dei fenomeni ha caratterizzato l’evoluzione di tutte le discipline scientifiche. La medicina riuscirà a scoprire tutto su Covid-19, ma nasceranno sempre altre forme morbose che ci impediranno di raggiungere l’immortalità. Le scienze economiche non ci renderanno mai tutti ricchi, indipendentemente se riprenderanno o meno le manifestazioni e le contestazioni di piazza. Le scienze psicologiche e sociali non ci renderanno mai tutti felici… Come si vede, si è di fronte, dunque, a banalità assolutamente scontate, che però quando vengono riproposte causalità imponderabili della vita siamo sempre meno disposti ad accettare. La nostra mente reagisce con il rifiuto e con l’invocare una soluzione miracolosa palesemente inesistente: i virologi si contraddicono tra loro, confutare gli economisti dalla parte avversa assorbe molte più energie che non l’elaborare soluzioni razionali e gli studiosi del comportamento umano saranno sempre più impegnati a ridurre i danni dal mindvirus che ci lascerà il coronavirus. La domanda che dobbiamo porci non è solo più su quale livello di insicurezza siamo stati assorbiti, ma a quale livello si sono fermate le nostre capacità di ragionare. Negli Usa sono state adottate 50 soluzioni diverse, quanti sono gli Stati federali: la varietà dovrebbe essere sinonimo di fantasia e di intelligenza, lo scatenarsi di un’infinità di polemiche ricorda però più la mediocrità dell’essere umano. Per dirla con un linguaggio metafisico, la realtà è un continuo divenire (diversamente da Dio che è immutabile) che dev’essere studiata nelle sue caratteristiche e con metodi d’indagine propri per individuare un ordine razionale. Per Galileo, la natura è governata da un ordine oggettivo, quasi matematico, e soprattutto privo di finalità aprioristiche ma dettate solo dall’esperienzialità e, per rimanere sul terreno della filosofia, Immanuel Kant aggiunge che sperimentando s’individuano le regole secondo cui si svolgono i fenomeni della natura e di prevedere il loro svolgimento. Predire cosa comporterà il Covid19 dovrebbe basarsi sulle esperienze che si stanno realizzando in ogni parte del mondo e non sugli scontri faziosi generati dalla megalomania dei singoli: surrogati inconcludenti della mancanza delle competizioni sportive. Il miraggio degli antidoti fai da te

Lo spavento generato da Coronavirus ha generato una serie di reazioni colorite: dalle potenzialità terapeutiche della nicotina, alla possibilità di iniettare sostante disinfettanti direttamente in vena, dalla contagiosità della pizza italiana, alla vendita di sostanze miracolose su internet (che però non sono state sufficienti per evitare la caduta a ruota libera del PIL) e altre soluzioni che la fantasia, non solo italiana, si è inventata. Più comprensiva è la volontà di far qualche cosa per reagire ad un nemico invisibile che non si può affrontare con la spada in un assalto all’arma bianca e ciò ci fa sentire inermi. Ed allora le persone dotate di senso civico si sono lanciate nel ripetere in modo assillante la prescrizione del rimanere a casa (slogan più che appropriato per ridurre gli assembramenti) e così anche chi vive in aperta campagna rischia di non poter uscire di casa per una passeggiata per non parlare di marito e moglie che al ristorante dovranno essere separati da una parete di plexigas (almeno si ridurranno un po’ i battibecchi). A sostegno degli atteggiamenti ieratici di chi sostiene il rimanere a casa c’è la presa d’atto che il sorseggiare un aperitivo ai navigli non è un diritto sancito dalla Costituzione Italiana, così come i giuristi dell’estremo oriente nutrono dubbi sul “diritto” di un giovanotto sudcoreano, positivo al virus, di frequentare tre discoteche in una sola sera. Il non disporre ancora di vaccini ha scatenato la richiesta ai tamponi o di esami sierologici: una rincorsa che non si vedeva dall’uscita di un disco del Beatles. Il mondo scientifico è ancora diviso, non tanto sull’affidabilità dei tamponi, quanto sul comportamento “liberatorio” che si può generare. Il fatto di essere negativo il giorno cui si è eseguito il test, nulla dice se lo si è anche il giorno successivo, però sicuramente induce ad un comportamento… più leggiadro. La rincorsa al tampone e ai test sierologici senza seguire un rigido protocollo epidemiologico fa sì che i risultati ottenuti non riflettano la reale situazione ma quella di una coorte di soggetti ansiosi. A ciò si aggiunge l’incapacità degli esperti di stabilire indicazioni univoche e non lasciate alla sensibilità dei singoli, mentre si dovrebbe insistere sull’applicazione delle normali (e non costose) prescrizioni di sicurezza e igiene.

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