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Il taccuino politico della settimana: Letta e il Pd

a cura di Claudio Artusi|

Riparto dai due temi che la scorsa settimana avevo suggerito di monitorare, il piano vaccini e la crisi del PD, per valutare rispettivamente l’azione di governo e la situazione politica. Sul primo si va avanti e do appuntamento alla prossima settimana per fare il punto. Sul secondo abbiamo avuto un vero e proprio colpo di scena. Ricordiamo che solo qualche giorno fa si discuteva sul “reggente”, ruolo provvisorio, con nomi da seconda e terza fila, in attesa del regolamento di conti fra i gruppi di potere interni al partito. Invece, è bastato un nome per sparigliare le carte. E come per il governo e la chiamata di Draghi, per il Pd la chiamata di Letta ha un motore: la presa di coscienza che era (ed è) in gioco l’esistenza stessa del partito. È giunta così un’altra riserva della Repubblica, un non (più) iscritto al PD, uno rottamato alla quasi all’unanimità da molti di coloro che lo stanno richiamando. Non mi unisco al coro degli estimatori e degli esegeti, dico solo che oggi il PD ha un motivo in più per sperare, e con esso la forma “partito” di cui il PD è rimasto l’ultimo modello. Per una strana coincidenza, mentre Letta diveniva segretario alla quasi unanimità, con due soli voti contrari (quanto dobbiamo temere queste forme plebiscitarie), la Bonino lasciava la sua ultima creatura +Europa! Cito la correlazione perché nuovamente un soggetto (non partito), pur nato con l’autorevolezza della leader e con la credibilità della visione politica, mostra la volatilità di soggetti politici che nascono (e muoiono) con operazioni verticistiche. Nei primi passi di Letta ci sono buoni semi almeno sul metodo. Innanzitutto l’ascolto dei circoli, cioè dei militanti per produrre a brevissimo delle tesi da sottoporre all’assemblea. In secondo luogo l’indicazione esemplificativa di due temi, il voto ai sedicenni e lo Ius soli, che stanno a dire che non vi è l’intenzione di allontanare dal tavolo argomenti spinosi. Ricordo che l’abbraccio con i Cinque Stelle e la gestione da amministratore di condominio di Zingaretti ha sbiadito ancor di più l’identità del PD. In terzo luogo non ha mostrato disprezzo verso i maggiorenti del partito (errore mortale di Renzi con la sua arroganza), ma non ha concesso loro forme di presenza in organi collegiali. È giusto dunque attendere con attenzione e rispetto i passi delle prossime settimane. Capire per chi e per che cosa il Pd si pone nel quadro politico. Capire se intende essere un partito di massa, non per i voti che saprà raccogliere, ma per la vicinanza fra un pezzo di popolazione e i suoi rappresentanti. Capire se sarà disponibile a fare scelte anche divisive, a saper dire anche dei no, a costo di correre il rischio di allontanare milioni di potenziali elettori. Draghi e Letta hanno in questi giorni destini paralleli e ancor più li avranno quando si tratterà di ricostruire. Il rischio da cui entrambi devono guardarsi è la ricerca ossessiva dell’unanimismo: entrambi devono saper subire il disaccordo, mantenendo, pur nel rispetto per coloro che assumono posizioni diverse, la barra dritta della loro navigazione. Ciò che accade in queste settimane lascerà un’impronta decisiva sul nostro essere comunità di cittadini chiamata a navigare nei marosi di questo strano inizio di secolo.

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