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Il fascino degli antipodi

Aggiornamento: 9 apr 2023

Mercedes Bresso in dialogo con Claude Raffestin


Prima di arrivarci ci si immagina gli antipodi ben diversi da quello che sono. Mentre ci avvicinavamo alla Nuova Zelanda, a bordo ogni cittadino europeo dichiarava che il suo paese era agli antipodi di quella nazione. Gli italiani forti della forma di stivale invertito, gli svizzeri del paesaggio di pascoli e foreste, gli spagnoli della collocazione geografica, gli inglesi della sua appartenenza al Commonwealth, ecc, ecc. CLAUDE: “Ciò detto constatiamo che nella più grande città neozelandese, Auckland, la via principale, Queen’s Street, assomiglia come contenuto a una qualunque strada centrale delle nostre città, con gli stessi negozi (Gucci, Prada, Dior, Vuitton, H &M, per fare solo qualche esempio). Dunque a passeggiarci non si prova nessun spaesamento: il milanese, il parigino, il berlinese, ritrovano le stesse pubblicità e gli stessi prodotti. Per non parlare degli Starbucks, dei KFC, dei Mac Donald diffusi ovunque nel paese. Forse per contrasto con questa omologazione mondiale, si capisce meglio che i neozelandesi mettano sempre più in valore, per i turisti certo, ma anche per se stessi la cultura aborigena, quella dei Maori che i loro antenati avevano quasi fatto sparire. MERCEDES: “Oggi il fascino di questi antipodi piccoli e remoti, con circa cinque milioni di abitanti su un territorio grande quasi come l’Italia, consiste sostanzialmente nei meravigliosi paesaggi naturali della zona dei vulcani e dei geyser, perché la maggior parte della terra fertile è coperta da pascoli , frutteti e foreste di pini importati, del tutto simili ai nostri paesaggi rurali e forestali. E l’altra fonte di attrazione sono i Maori, questo popolo orgoglioso, che sta disperatamente cercando di recuperare una cultura, un’arte, un modo di vivere legati alle proprie tradizioni. In fondo dappertutto nel nostro viaggio constatiamo che le popolazioni indigene, dapprima vilipese, assoggettate e sfruttate, quando non largamente sterminate, stanno diventando un motivo di orgoglio e di identità nazionale per la maggior parte dei paesi ex coloniali. Lo abbiamo visto in Ecuador, in Perù, nel Cile, nella Polinesia e lo constatiamo in Nuova Zelanda, come lo troveremo certo in Australia…” CLAUDE: “È la forma attuale che prende il pentimento dell’uomo bianco occidentale, che spesso però non supera l’interesse per gli oggetti artigianali o per il folclore della musica e dei canti, o persino per la tradizione dei tatuaggi, che spinge tanti giovani dei nostri paesi a imitare quelli di questi magnifici guerrieri maori, senza alcun rapporto con un linguaggio simbolico. Con il rischio che si tratti fondamentalmente di uno sfruttamento turistico. Si può apprezzare invece la tendenza più recente a prendere a prestito dalle culture indigene i metodi di relazione con il loro ambiente naturale, che potrebbero in molti casi insegnarci qualcosa.” MERCEDES: “Questo ritorno al passato spiega forse l’attuale ossessione dei neozelandesi per la protezione della loro biodiversità, che li porta a divieti un po’ ridicoli come quello di sbarcare con un sandwich, quando i loro campi sono pieni di specie vegetali e animali provenienti dal mondo intero e una parte dei loro kiwi proviene nelle stagioni fredde dalle nostre coltivazioni italiane. Mi sembra che qui, come un po’ ovunque, ci si dibatte fra la volontà di salvaguardare le nostre radici naturali e culturali e la realtà di un mondo dove tutto circola a una velocità sempre maggiore, dall’informazione ai virus letali! Intanto, tra l’Unione Europea e la Nuova Zelanda è in corso di ratifica un accordo commerciale di grande portata positivo per le nostre economie ma che va ovviamente nel senso di una maggiore globalizzazione, magari un po’ più ordinata..” Non credo, comunque, che sia il caso di tornare all’idea che piccolo e chiuso è più bello, cosa che, dal commercio alla protezione dai virus, mi sembra stia tornando di moda. Ci possono essere al tempo stesso l’amicizia e la collaborazione fra diversi e la protezione delle nostre diversità. Non è questo tra l’altro, il nostro motto nell’Unione Europea: uniti nelle diversità?” Per concludere: abbiamo a volte l’impressione che tanti viaggiatori odierni, circolino per il mondo alla ricerca forse del folclore ma soprattutto per dimostrare a se stessi che sono i migliori o, se affetti da esterofilia come sono spesso gli italiani, che altrove si vive meglio, si pagano meno tasse, si è meno vessati dal proprio governo. Mentre in realtà vantaggi e svantaggi ben sovente si compensano e non c’è veramente un posto dove si vive meglio ma solo eventualmente uno che ci piace di più.

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