Il dolore e il talento di Krzysztof Miller al Festival di Fotogiornalismo di Padova
di Tiziana Bonomo |
Krzysztof Miller è in mostra nella cornice di palazzo Moroni a Padova, insieme a grandi e famosi fotoreporter conosciuti a livello internazionale. Le sue foto, infatti, sono raccolte all’IMP, International Month of Photojournalism, il primo Festival italiano interamente dedicato al fotogiornalismo fortemente voluto dal direttore artistico Riccardo Bononi.
Ma chi è, e come è arrivato fino a meritarsi un posto in un festival di caratura internazionale questo fotoreporter polacco poco conosciuto in Italia, ma che ho avuto modo di portare in mostra a Torino alcuni anni? Premetto che Krzysztof Miller è stata una scoperta che mi ha dato emozione e provocato dolore ad un tempo. L’anno zero è il 2017. Il momento è la presentazione del libro di Wojtek Jajelski “Vagabondi notturni” sui bambini soldato in Uganda. È in quella circostanza che ho appreso che il suo amico e collega Krzysztof Miller, compagno di molti reportage, si era tolto la vita l’anno prima.
Ne resto colpita e ciò influenza la decisione di mettere insieme più notizie possibili sulla sua vita: dalle fotografie ai filmati e alle interviste rilasciate. Tutto questo per capire il significato di quel gesto.
Così nell’immagine dell’armeno, in Nagorno Karabakh, vicino al cannone, si avverte che il rumore dello sparo è sovrastato dal silenzio. Il silenzio di quell’uomo che continua a combattere una battaglia che forse mai riuscirà a vincere. Anche nell’immagine dei tre bambini malnutriti con la testa reclinata in avanti, con le braccia appoggiate alle gambe seduti sullo scatolone dell’UNHCR, ci investe il devastante silenzio, con tutta la sua impietosa vergogna, di chi non ha nemmeno più la forza di pensare. In quella postura c’è tutta la fame del mondo, c’è tutto il silenzioso dolore di chi sta per morire di fame.
I bambini sono nel campo profughi per gli Hutu ruandesi in Zaire (odierno Congo) a 95 chilometri dalla città di Kisangani.
Ancora silenzio nella espressiva posa di un ragazzino profugo georgiano sulle montagne del Caucaso che si volta verso il fotografo con il kalashnikov messo di traverso quasi più grande di lui. Il bambino tiene la mano di un uomo adulto e si percepisce distintamente che altro non può fare se non subire silenziosamente il suo destino di profugo. Ma profugo bambino.
La mia commozione di allora si è tramutata nel desiderio di far conoscere attraverso le immagini quest’uomo, fotoreporter polacco, la sua fragilità, la sua sensibilità che altro non sono se non particelle della nostra essenza. Rilasciare sensibilità per alcuni è un processo inarrestabile fino alla morte. Per questa ragione allora ho pensato: cosa posso fare io se non raccoglierla con delicatezza e proteggerla per farla conoscere? Perché merita di essere conosciuta soprattutto quando produce così tanto con così tanta convinzione, coraggio di voler raccontare, di voler far sapere, di testimoniare.
Arriva poi un momento in cui la bravura di Miller è leggibile. Ne è testimone il libro uscito nel 2017 “Fotografie che non hanno cambiato il mondo” di Miller, con i suoi scritti e con l’introduzione di Wojtek. E l’anno dopo, l’allestimento di oltre 100 foto al Museo di Storia di Varsavia, cui è seguita la prima mostra da me curata personalmente a Torino nel 2019, grazie anche all’aiuto di numerose persone, dalla direttrice di fotografia, Beata Sokół di Gazeta al Consolato di Polonia a Milano e quello a Torino, a giornalisti e amici. E mi piace immaginare che forse le parole e le indagini su Krzysztof abbiano in qualche modo stimolato inconsciamente il Premio inedito a suo nome “The Krzysztof Miller Prize”.
Copyright immagini concesso da Artphoto
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