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Il cinema di Fenoglio, nel centenario della nascita

di Antonella Calzavara|


Termina con questo articolo la rievocazione di Beppe Fenoglio, a cento anni dalla sua nascita. Antonella Calzavara, cui si deve l’intero percorso rievocativo dello scrittore prematuramente scomparso il 18 febbraio del 1963, ci inoltra ora nella trasposizione cinematografica che ha attinto dalle opere di Fenoglio.

Fu Elio Vittorini (1908-1966) a sottolineare tra i primi il carattere cinematografico della scrittura di Beppe Fenoglio, una scrittura “piena di fatti” e caratterizzata da un’evidenza oggettiva. A ruota Italo Calvino vide “molto cinematografo” nella Paga del sabato. Se il primo giudizio, forse, conteneva un’intenzione riduttiva, è tuttavia senz’altro condivisibile la considerazione che spesso nell’opera fenogliana i fatti siano raccontati senza commento, con una sorta di morale implicita. Il filmico di Fenoglio sta anche nella passione per il dettaglio, nello sguardo che si ferma sul paesaggio o che isola il personaggio, il gesto, l’episodio come in un fotogramma. Questo ovviamente non esaurisce la forza dello scrittore: quando Beppe Fenoglio racconta la Resistenza, la “guerra civile”, infatti, lo stile asciutto e scabro diventa epico, addirittura immaginifico per la potenza dello stile, per le callidae iuncturae tra sostantivo e aggettivo, tra sostantivo e verbo. Sono sferzate che non ti aspetti, deviazioni della lingua che lasciano il lettore attonito e ammirato. Difficile trasferire questa atmosfera in immagini. Eppure, Fenoglio è anche uno scrittore visivo, e alcune descrizioni hanno una potenza sensoriale tale da consentire al lettore un’esperienza quasi immersiva.

Forse, è anche per questo che il cinema ha saputo attingere liberamente alla sua opera senza tradirne lo spirito. Guido Chiesa, legato da una lunga fedeltà allo scrittore albese, cui ha dedicato anche uno splendido documentario, nel 2000 fa uscire nelle sale Il partigiano Johnny; nel 2017 sono i fratelli Taviani a cimentarsi in Una questione privata. Il partigiano Johnny di Guido Chiesa, 2000

Un’operazione come quella realizzata da Guido Chiesa è ardua e ambiziosa, perché si tratta di muovere i propri passi su un terreno molto scivoloso: ancora oggi nessuno sa bene cosa sia il “libro grosso” di Beppe Fenoglio, e ci sono volute quattro edizioni per dimostrarci senza alcun dubbio la sua labirintica complessità. Guido Chiesa però non si fa intimidire (l’amore è coraggioso) e opera come un filologo esperto tra le varie redazioni: per esempio, colma le lacune narrative attingendo a Primavera di bellezza, sorta di prequel del romanzo nella forma in cui quasi tutti i lettori lo conoscono (quella dell’edizione curata da Dante Isella), e dimostra così anche una notevole capacità di antivisione, poiché anticipa una scelta che comporrà la prima parte del Libro di Johnny, nella recente edizione a cura di Gabriele Pedullà. La scelta di Stefano Dionisi come protagonista è particolarmente felice, perché unisce alla somiglianza fisica il tratto malinconico e allo stesso tempo lucido, di chi si impegna a capire quale sia la parte giusta in cui stare. Restano nella memoria alcune scene: tra tutte, il lento incedere sulla collina del padre del protagonista, la cui stanchezza è quella di una generazione che teme per i propri figli; e l’inquadratura finale, con il primo piano enigmatico di un giovane che con ogni probabilità sta per incontrare la morte. Infine la frase, lapidaria e a questo punto beffarda, che annuncia la fine della guerra, di poco successiva. Una questione privata di Paolo e Vittorio Taviani, 2017

Programmaticamente più facile la trasposizione di un racconto più coeso come l’amatissimo Una questione privata. Qui, semmai, l’insidia è nascosta proprio nella maggiore facilità, con il rischio di una riproduzione senza anima.

E invece il film, assai bello, vive di intensi primi piani del protagonista (interpretato da Luca Marinelli) – questa volta non tanto fisicamente somigliante quanto vicino nel sentimento, nella febbrile e ossessiva quête – e di riprese del paesaggio dominate da una nebbia lattiginosa che nasconde e rivela capricciosamente una verità che Milton desidera e teme al tempo stesso. Grandioso il finale, con piccole ma fondamentali dislocazioni del testo: la corsa di Milton trascorre dalla pioggia e dal fango – compagni della paura di morire vittima di un’imboscata – fino a una collina verde e illuminata da un sole che cerca, debolmente, di affermarsi. “Sono vivo. Fulvia, a momenti mi ammazzavi”: queste le ultime parole del protagonista, che poi volge le spalle allo spettatore e si inoltra nella nebbia, scomparendo definitivamente alla vista. I precedenti articoli La Langa di Fenoglio, nel centenario della nascita in https://www.laportadivetro.org/wp-content/uploads/2022/03/model_ac2.pdf La Lezione di Fenoglio, nel centenario della nascita in https://www.laportadivetro.org/wp-content/uploads/2022/02/model_ac-.pdf

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